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Il lieto fine delle piogge acide

Come il mondo è riuscito a vincere la prima sfida ambientale globale. E perché il successo è forse irripetibile

Non rappresentano più una minaccia globale, per quanto a livello locale esistano ancora dei problemi
(Depositphotos)
14 ottobre 2022
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Vi ricordate delle piogge acide? Chi è nato dopo gli anni Ottanta probabilmente risponderà "no": in quel periodo le piogge acide, con i danni alle foreste e alle forme di vita acquatiche, erano la grande minaccia ecologica. Oggi di quel problema si parla molto meno, le nuove generazioni difficilmente ne hanno sentito parlare e questo per un motivo molto semplice: le piogge acide non rappresentano più una minaccia globale, per quanto a livello locale esistano ancora dei problemi.

Tuttavia non è un buon motivo per dimenticare la storia di questa emergenza ambientale, sia per le eventuali lezioni che possiamo trarre su come affrontare a livello politico e sociale il riscaldamento globale, sia perché in realtà ogni tanto qualcuno le piogge acide le cita ancora, ma come esempio di previsione apocalittica che non si è avverata, sostenendo che lo stesso vale per altre "isterie ecologiste" che semplicemente passeranno di moda. «Non è successo nulla perché abbiamo fatto qualcosa in merito» ci ha spiegato Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano. Grazie ai provvedimenti presi, «l’acidità delle precipitazioni è diminuita e le foreste danneggiate da queste piogge si sono poi riprese».

Una questione di pH

La deposizione acida umida – questo il termine tecnico, dal momento che il fenomeno non riguarda solo la pioggia ma anche neve, grandine, nebbie, rugiade eccetera – indica il passaggio dall’atmosfera al suolo di particelle acide.

I chimici misurano l’acidità di una sostanza con il pH che indica la concentrazione attiva degli ioni idrogeno: una soluzione neutra ha pH pari a 7; un valore inferiore a questo indica una soluzione acida, uno superiore basica. L’acqua distillata, ossia priva di impurità, è neutra, ma l’acqua piovana ha in realtà un pH leggermente inferiore – circa 5,5 a seconda di pressione e temperatura – a causa dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera che si discioglie nell’acqua. È grosso modo l’acidità di un tè o un caffè. Tuttavia nell’atmosfera possono essere presenti altre sostanze che, disciogliendosi nell’acqua, ne abbassano ulteriormente il pH rendendola quindi più acida; convenzionalmente si parla di piogge acide quando il pH è inferiore a 5. Sono in particolare due le sostanze che possono causare le piogge acide: gli ossidi di zolfo e quelli di azoto che nell’atmosfera portano alla formazione di due acidi forti, l’acido solforico e l’acido nitrico. L’effetto di queste sostanze può essere molto importante: in un reportage pubblicato nel dicembre del 1979 dalla rivista ‘Le Scienze’ si riporta di un temporale in Scozia con un’acidità paragonabile a quella dell’aceto (pH 2,4).

Anche se gli ossidi di zolfo e di azoto possono essere di origine naturale – prodotti ad esempio da eruzioni vulcaniche o da fulmini –, la loro presenza nell’atmosfera è legata soprattutto all’attività umana, in particolare all’utilizzo del carbone. Prima della rivoluzione industriale il pH delle precipitazioni era generalmente superiore a 6, come mostrano alcune ricerche compiute sui ghiacciai e dagli strati di ghiaccio continentali.

Gli effetti delle precipitazioni

A causa dell’accumularsi dell’acidità in terreni e bacini d’acqua, gli effetti delle piogge acide riguardano come accennato soprattutto la vegetazione e gli animali acquatici. Tuttavia i primi effetti sono stati osservati su manufatti: la corrosione di statue e monumenti in marmo – pietra particolarmente sensibile all’acido solforico – è risultata evidente già nell’Ottocento, ma tutti i materiali risentono dell’azione delle piogge acide rendendo la tutela dei beni architettonici un altro settore particolarmente sensibile al problema.

Per quanto riguarda gli ecosistemi acquatici, le piogge acide alterano il pH di bacini e corsi d’acqua, in particolare quelli – come i laghetti alpini – che non hanno risorse naturali per contrastare l’aumento dell’acidità. Molti insetti, pesci e anfibi sono sensibili al pH dell’acqua e le piogge acide hanno portato in alcuni laghi alla scomparsa di intere specie, con effetti a catena sull’intero ecosistema.

Più complessa l’azione delle piogge acide su piante e foreste. Da una parte c’è l’azione diretta della pioggia – o della nebbia, spesso più acida della pioggia – sulle foglie: la rimozione dello strato superficiale, la cosiddetta cuticola, aumenta la perdita d’acqua della pianta. Ci sono poi gli effetti dell’acidificazione del terreno che può portare alla perdita di nutrienti e alla liberazione di ioni metallici, in particolare di alluminio, tossici per le piante. C’è anche un effetto indiretto: la diminuzione del pH compromette la fissazione dell’azoto da parte dei microrganismi presenti nel terreno, un meccanismo molto importante per la vita delle piante.

Un problema complessivo

Negli anni Sessanta il fenomeno delle piogge acide ha iniziato a essere studiato sistematicamente sia in Europa sia negli Stati Uniti. Due figure particolarmente importanti furono lo svedese Svante Odén e lo statunitense Gene Likens non solo per aver presentato solide prove del legame tra piogge acide e utilizzo di carburanti fossili, ma anche per avere portato il tema all’attenzione dell’opinione pubblica coinvolgendo attivamente la cittadinanza: la misurazione dell’acidità della pioggia è stata una delle prime esperienze di ‘citizen science’, una modalità di "scienza partecipativa" oggi molto diffusa.

Ma a Odén e Likens si deve anche la comprensione dell’ampiezza geografica del fenomeno delle piogge acide. L’inquinamento atmosferico era infatti considerato un fenomeno perlopiù locale: le emissioni nocive di una fabbrica erano un problema per le persone che abitavano lì vicino e poteva quindi essere risolto semplicemente allontanando l’inquinamento, ad esempio con ciminiere più alte, prassi che di fatto ha aumentato il problema delle piogge acide, facilitando la dispersione in atmosfera degli ossidi di zolfo e di azoto. La scoperta che le foreste della Scandinavia soffrivano a causa delle fabbriche in Germania e nel Regno Unito ha portato a un profondo ripensamento di questo approccio, mostrando la necessità di accordi internazionali volti a garantire la riduzione delle emissioni. Nel 1979 è stata stipulata a Ginevra la Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza che, con i suoi protocolli, ha portato a una riduzione, rispetto al 1980, del 70% delle emissioni di zolfo provenienti dovute a industrie, centrali termiche e raffinerie; le emissioni di ossidi di azoto sono invece diminuite del 25% tra il 1990 e il 2000 grazie a norme più severe sui gas di scarico dei veicoli a motore. E questo con effetti positivi sull’acidificazione del suolo e delle acque.

Interessante il caso degli Stati Uniti: nel 1980 il presidente democratico Jimmy Carter firmò l’Acid Precipitation Act che si proponeva di risolvere il problema delle piogge acide in dieci anni; tuttavia lo stesso anno perse le elezioni contro il repubblicano Ronald Reagan e la protezione dell’ambiente cessò di essere una priorità: secondo il nuovo presidente prima d’imporre misure troppo onerose per le industrie sarebbe stato necessario studiare meglio il fenomeno. In questo era supportato dalle industrie del carbone che cercarono, anche se con risultati modesti, di screditare le ricerche sulle piogge acide. Così, fu solo sul finire della sua presidenza, dopo una sconfitta alle elezioni di metà mandato, che Reagan decise d’imprimere una svolta ecologista alla propria politica ratificando tra l’altro uno dei protocolli della Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza. Nel 1990, con presidente George H. W. Bush, il Clean Air Act divenne legge approvata a larga maggioranza dal parlamento statunitense e anche le industrie del carbone dovettero adattarsi alle nuove regole.

Dalle piogge acide al riscaldamento globale

Le foreste sono ancora lì non perché gli allarmi degli scienziati fossero esagerati o inconsistenti, ma semplicemente perché il problema è stato individuato e studiato e soprattutto sono state trovate le soluzioni e il necessario consenso per implementarle. L’acidità delle precipitazioni è diminuita e le foreste danneggiate da queste piogge si sono riprese, come nel 2018 ha mostrato uno studio al quale ha partecipato anche l’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio WSL. Del resto, come ha spiegato Giorgio Vacchiano, «non è mai stata messa in discussione la capacità della natura di riprendersi dalle catastrofi indotte dall’uomo, il problema è piuttosto la nostra capacità di adattarci».

Che cosa è cambiato dagli anni Ottanta a oggi? Perché si è riuscito ad affrontare il problema delle piogge acide mentre sul riscaldamento globale si fatica a trovare una strategia globale? Secondo diversi studiosi uno degli elementi è la maggiore polarizzazione politica e sociale: negli Stati Uniti la protezione dell’ambiente era una preoccupazione maggiormente sentita dai democratici, ma non era completamente estranea ai repubblicani che infatti l’hanno fatta propria integrandola nella propria visione politica, istituendo un mercato di scambio delle emissioni che permette alle industrie che non vogliono o non possono diminuire le emissioni da solfuri e nitrati di acquistare, da altre aziende più virtuose, delle "quote di inquinanti". Oggi, e non solo negli Stati Uniti, il riscaldamento globale è invece un tema che definisce la propria appartenenza politica ed è quindi difficile pensare a un compromesso.

Tuttavia è anche cambiato il tipo di minaccia: come abbiamo visto le piogge acide sono il risultato di emissioni che avvengono anche a migliaia di chilometri di distanza ma, come sottolinea Vacchiano, rappresentano comunque un problema localizzabile. Era possibile identificare le industrie nel bacino della Ruhr e le foreste scandinave mentre per il cambiamento climatico «non c’è un Paese che possa riconoscere un preciso problema al suo interno», dal momento che i gas a effetto serra agiscono su scala davvero globale. Inoltre gli inquinanti alla base delle piogge acide erano tossici per l’uomo. «C’era l’interesse ad affrontare una minaccia immediata per la salute pubblica», mentre l’anidride carbonica di per sé non è tossica e quindi per il cambiamento climatico questa minaccia immediata non c’è.