Stiamo perdendo terreno
Fornitore di importanti servizi e funzioni ecosistemiche, insieme ad aria e acqua, il suolo è uno dei presupposti fondamentali per la vita. Innanzitutto, esso è la superficie e l’habitat su cui viviamo, la base materiale e tangibile che sostiene qualsiasi infrastruttura umana. Il suolo è poi fonte di ogni materia prima, all’infuori dell’energia solare: dal legno al petrolio, dalle fibre tessili ai minerali, dalla produzione alimentare al sostentamento della biodiversità.
Invisibili ai nostri occhi ma proprio sotto i nostri piedi, miliardi di minuscoli organismi (batteri, alghe, funghi,…) filtrano e convertono svariate sostanze penetrate nel terreno, regolando di fatto il ciclo naturale dell’acqua, dell’aria e delle sostanze organiche e minerali. Il suolo è, in conclusione, un anello fondamentale del flusso energetico e del ciclo dei nutrienti che contraddistinguono l’ecosistema Terra. Gli obiettivi tanto discussi in questi giorni a livello internazionale (fermare la perdita della biodiversità, mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C, garantire a tutti il diritto a un’alimentazione adeguata) non potranno essere raggiunti senza un suolo fertile e sano.
Con il termine “suolo” ci si riferisce allo strato superiore della crosta terrestre, il cui spessore può variare da pochi centimetri a non più di un paio di metri. Sembra poco? Esaminiamo allora più da vicino il complesso processo di formazione del terreno. Mentre la roccia madre viene lentamente scomposta in particelle minerali dall’azione di acqua e acidi, la vegetazione pian piano invade questa superficie creando, attraverso la decomposizione di materiale organico morto (foglie, rami, carcasse, escrementi), un ricco strato di humus. Componenti organici e minerali si mescolano grazie all’attività di lombrichi, talpe, larve ecc. dando vita allo strato fertile del suolo. Le piogge contribuiscono poi alla formazione dello strato sottostante, il cosiddetto “orizzonte minerale” in cui si depositano sali, elementi minerali e acqua. L’interazione tra clima, topografia e gli esseri viventi produce tipi di suolo molto diversi tra loro, ad esempio sabbiosi o argillosi, acidi o alcalini, impregnati d’acqua o drenati, fertili o poveri di nutrimenti. Ma tutto ciò sull’arco di diverse migliaia anni! Si stima che, in un anno e nelle giuste condizioni, uno strato di terreno fertile riesca a crescere di soli 0,1 mm. In altre parole, bisogna aspettare un millennio affinché si formi uno strato di terra di soli 10 cm, mentre basta un’ora di pioggia intensa o il passaggio di veicoli pesanti per perderlo irreversibilmente. Sappiamo oggi che il suolo è una risorsa limitata e non rinnovabile. Eppure, ogni anno 24 miliardi di tonnellate di suolo fertile vengono persi a causa dell’attività umana.
Il clima contribuisce alla formazione del suolo, ma anche il suolo a sua volta influenza la composizione dell’aria, in particolare per quel che riguarda la quantità di CO2 e altri gas serra nell’atmosfera. Sapevate che il suolo è il secondo più grande serbatoio di carbonio dopo gli oceani? Contiene infatti più carbonio di quanto se ne trovi nell’atmosfera e in tutta la vegetazione terrestre messe insieme. Sono soprattutto i suoli organici come le paludi e le torbiere a stoccare le maggiori quantità di questo elemento, sotto le vaste foreste boreali del Nord America, della Scandinavia e della Russia settentrionale. Cambiamenti minimi nella quantità di materia organica nei terreni possono avere un grande effetto sull’atmosfera, e di conseguenza sul riscaldamento globale. Ancora una volta, agricoltura e urbanizzazione giocano un ruolo chiave nel deterioramento di queste condizioni. Bonifica delle zone umide, coltivazioni intensive, estrazione della torba come combustibile: le perdite globali di carbonio sotto forma di CO2, dovute a una mal gestione della risorsa suolo, sono stimate a circa 66 miliardi di tonnellate dal 1850 a oggi. Il Seeland, antica zona paludosa sull’altopiano svizzero utilizzata oggi in modo intensivo per l’agricoltura, ne è un esempio lampante: dal 1863 al 2004 si è constatato un abbassamento generale del terreno di quasi 2 metri. Il volume perso corrisponde a 34’000 tonnellate di CO2. I nostri suoli hanno ancora il potenziale di assorbire grandi quantità di gas serra e aiutarci nella lotta al riscaldamento climatico, ma solo se gestiti nel modo corretto. Alcune tecniche adatte a questo scopo includono la riduzione dell’aratura, la prevenzione dell’erosione e degli incendi, la semina di colture di copertura, nonché la riqualifica delle zone umide.
Sono diverse le cause alla base della perdita irreversibile di terreni sani, la maggior parte delle quali di natura antropica. L’agricoltura in particolare, che così tanto dipende da una buona qualità del suolo, non è senza macchia: l’utilizzo di macchinari pesanti porta, infatti, alla compattazione del suolo, cioè a una drastica riduzione della porosità del terreno che impedisce all’acqua e all’aria di penetrarvi e circolare. Il ciclo di questi elementi viene così interrotto, la crescita delle radici ostacolata, la biodiversità del sottosuolo messa in pericolo. Le superfici destinate alla coltura intensiva sono anche particolarmente a rischio di erosione: acqua e vento possono facilmente portarsi via il fine strato esposto di terra fertile, causando non solo perdite economiche all’agricoltura ma anche contaminando siti lontani dove questa terra andrà infine a depositarsi. La terra porta infatti con sé diverse sostanze nocive, provenienti dall’inquinamento atmosferico, dall’uso di concimi aziendali, dallo smaltimento illegale di rifiuti, dall’uso di prodotti fitosanitari e pesticidi. Sostanze che dal terreno penetrano poi nelle acque, nell’aria e, attraverso le piante, nella catena alimentare. Ma il nemico principale del suolo è forse un altro: l’urbanizzazione. La parte di terreni ormai cementata e impermeabilizzata in Svizzera ammonta a più del 60% della superficie totale. Negli ultimi 40 anni l’incremento delle aree urbane è stato superiore alla crescita della popolazione, distruggendo gran parte delle funzioni ecologiche del suolo e rubando spazio al settore agricolo.