Nasce www.ticinoscienza.ch, testata online per raccontare la ricerca scientifica basata nel nostro cantone. Ne parliamo con Silvia Misiti e Paolo Rossi Castelli
Davanti all’idea di un Ticino cantone scienziati, è difficile non pensare alla “Repubblica dell’iperbole”. Tuttavia, al netto della passione per le esagerazioni, nel nostro cantone trovano spazio numerosi istituti di ricerca, nell’ambito biomedico e non solo. Per saperne di più, c’è il sito d'informazione Ticino Scienza (www.ticinoscienza.ch), un progetto della Fondazione Ibsa per la ricerca scientifica di Lugano.
Sul sito troviamo non solo articoli e approfondimenti sugli studi più importanti dei ricercatori ticinesi, ma anche una sezione dedicata alla nuova Facoltà di Scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana, una Sezione sul progetto “Cultura e Salute” e l’elenco aggiornato delle pubblicazioni scientifiche dei ricercatori che lavorano in Ticino.
A coordinare i contenuti del sito, il giornalista scientifico Paolo Rossi Castelli, al quale abbiamo chiesto, innanzitutto, quale pubblico si vuole raggiungere. «Ticino Scienza vuole raccontare a un pubblico normalmente lontano dal mondo della ricerca quello che avviene all’interno dei laboratori e delle strutture in cui si studiano nuovi farmaci (in Ticino è molto attiva, ad esempio, la ricerca sugli anticorpi monoclonali per curare il Covid-19), o si scrivono nuovi algoritmi per i sistemi di intelligenza artificiale, o si preparano nuove soluzioni per gestire nel modo migliore l’energia, e così via». Cittadini qualunque, quindi, ma naturalmente «desideriamo essere letti anche dagli addetti ai lavori, nella speranza che nasca, intorno al sito, una sorta di comunità».
Inoltre, sul sito si cercherà «di valorizzare le numerose iniziative di divulgazione scientifica che vengono organizzate nel cantone, per calare nella vita concreta i risultati e le scoperte di un mondo importante (quello del sapere scientifico, appunto), ma che tende a rimanere separato». Un aspetto, quest’ultimo, particolarmente importante: «Soprattutto in questo periodo di pandemia i cittadini chiedono tantissimo alla Scienza, vogliono essere “salvati” dai ricercatori, ma poi non hanno idea di come lavorano (anche per la scarsa capacità comunicativa, spesso, degli scienziati). Ticino Scienza vuole cercare di rompere questo isolamento, almeno dalle nostre parti, e di tradurre, letteralmente, il linguaggio spesso difficile della Ricerca».
Avvicinare la popolazione alla ricerca scientifica che è non solo complessa, ma talvolta anche incerta: come raccontare, ad esempio, che una promettente scoperta potrebbe non portare a nulla? «Fare il ricercatore, soprattutto in campo biomedico, richiede un’enorme pazienza e un’altrettanto grande ostinazione» risponde sempre Paolo Rossi Castelli. «Capita a molti di passare anni, o addirittura decenni, a studiare un frammento di verità (per esempio, il ruolo di una proteina alterata nell’insorgenza di una particolare forma di cancro), e di scoprire poi che quel filone di ricerca non porta a nessun risultato utile». La delusione del ricercatore diventa la frustrazione del giornalista, «perché i lettori chiedono certezze (la cura definitiva contro i tumori, appunto, o contro la malattia di Parkinson), e noi invece possiamo offrire solo piccoli tasselli, che spesso vengono smentiti da altre ricerche successive». Tuttavia bisogna resistere alla tentazione, in cui molti altri media purtroppo cadono, «di lanciare notizie “sensazionali”, che danno risposte reboanti, ma lontane dalla realtà: ai lettori di Ticino Scienza cerchiamo di fornire un’informazione onesta, anche se frammentata». Con un obiettivo ambizioso: «Imparare, insieme ai lettori, a gestire la fragilità e la forza, nello stesso tempo, della ricerca scientifica, che è poi anche quella della vita».
E per completare la risposta, Paolo Rossi Castelli ci propone uno dei contenuti di Ticino Scienza, un’intervista a Maurizio Molinari, direttore di laboratorio all’Istituto di ricerca in biomedicina ed esperto di malattie rare: “Vedo la ricerca come un insieme atomizzato, polverizzato, di progressi. È rarissimo che ci sia la scoperta “decisiva”, un unico studio che cambi radicalmente le cose. Non dobbiamo aspettarci questo. La ricerca va avanti, e avanza notevolmente, grazie a un numero veramente alto di migliorie, che provengono dai gruppi sparsi in tutto il mondo. Occorre un’enorme quantità di pazienza e di lavoro. Il progresso si forma su tanti anelli che, solo quando si chiudono, portano alla conoscenza.”
Il sito nasce per raccontare la ricerca ticinese: non è un po’ strano focalizzarsi su un territorio quando – citiamo qui il sociologo della scienza Robert Merton – una delle caratteristiche del pensiero scientifico è proprio l’universalità? Ci risponde la direttrice della Fondazione Ibsa Silvia Misiti. «In Ticino non c’è una Scienza “particolare”, diversa da quella del resto del mondo. Se esiste un’attività umana che collega letteralmente migliaia di città e luoghi diversi sparsi per il pianeta è proprio la ricerca scientifica: nei laboratori di Bellinzona o Lugano si studia quello che anche i ricercatori di New York, Pechino o Sydney “trattano” ogni giorno, all’interno di un network molto interconnesso».
Del resto, prosegue Misiti, le ricerche “ticinesi” che finiscono sulle riviste scientifiche portano spesso le firme di ricercatori europei o americani che hanno collaborato con loro. «All’Istituto di ricerca in biomedicina e all’Istituto oncologico di ricerca, affiliati all’Università della Svizzera italiana, si trovano persone di almeno dieci nazionalità diverse, credo, o forse più, con un’unica lingua comune (l’inglese) e tante culture differenti. Fanno parte di una comunità che oggi lavora a Bellinzona, ma fra qualche mese potrà trasferirsi a San Francisco, e poi a Berlino, Zurigo, Amsterdam, in una dimensione (una delle poche, insieme allo sport professionistico di alto livello…) veramente internazionale».