Intervista alla storica Francesca Gori, ospite sabato a Lugano del festival Echi di storia
La politica si è sempre appellata alla storia per portare avanti le proprie priorità, spesso calcando la mano su alcune interpretazioni. Ma nella Russia contemporanea questo rapporto tra potere politico e memoria storica arriva a trasformare la storia in uno strumento di propaganda. «In Russia l’uso politico della storia e della memoria tende a cancellare alcuni eventi fondamentali della storia sovietica a favore di una narrazione che enfatizza Stalin, la Seconda guerra mondiale, lo spirito patriottico, la contrapposizione con l’Occidente» ci ha spiegato la storica Francesca Gori. Oggi alle 18, all’Asilo Ciani di Lugano, Francesca Gori sarà ospite, insieme a Marcello Flores, del festival Echi di storia organizzato dall’Associazione ticinese insegnanti di storia (www.echidistoria.ch).
Esperta di storia del dissenso in Unione Sovietica, Gori è stata tra i fondatori dell’Associazione Memorial Italia, sede italiana della più importante organizzazione di ricerca sui crimini sovietici. «Lo storico, con coraggio e onestà, ha il compito di ricostruire il passato attraverso fonti, documenti, testimonianze senza piegare la storia del passato a fini politici contingenti». Per il suo lavoro, Memorial ha ricevuto nel 2022 il Nobel per la pace e ha dovuto cessare le attività per ordine delle autorità russe.
Come si è arrivati alla chiusura di Memorial?
Memorial per anni si è impegnata nella ricostruzione delle repressioni staliniane, raccogliendo materiale e testimonianze dai familiari delle vittime. Se all’inizio, verso gli anni Settanta e Ottanta, erano alcuni intellettuali a capire l’importanza della memoria, nel 1991 il governo – parliamo dell’era di Gorbačëv – apre gli archivi di Stato. Ma è un’apertura che dura molto poco.
Quanto è stato importante poter accedere agli archivi? Lo chiedo dal punto di vista sociale più che storico.
È stato fondamentale: il sistema repressivo aveva condizionato tutti i settori della vita, tutte le attività, la cultura, la scienza, il lavoro. Tracciare una storia delle repressioni ha significato riscrivere la storia della Russia.
L’apertura degli archivi permise l’accesso a una quantità sterminata di documenti riguardanti tutte le sfere della vita sovietica. Occorreva però integrare materiali non sempre attendibili con i ricordi famigliari, con il carico di emozioni e sofferenze che avevano lacerato la Russia sovietica. Venne quindi condotta una straordinaria operazione di raccolta e di elaborazione di storia orale attraverso interviste ai sopravvissuti, ai parenti delle vittime, a vari testimoni. L’apertura degli archivi ha permesso di ricostruire anche la storia degli emigrati italiani che una volta giunti in Urss furono arrestati e inviati nei gulag.
Diceva che la fase di apertura degli archivi è stata molto breve.
Verso la fine degli anni Novanta iniziò una graduale chiusura degli archivi, inserendo ad esempio membri dei servizi segreti a decidere le autorizzazioni per visionare certi documenti.
In quel periodo furono anche pubblicati nuovi manuali scolastici di storia nei quali il Terrore staliniano, il Patto Ribbentrop-Molotov tra l’Urss di Stalin e la Germania di Hitler, l’eccidio di Katyn’ sono ridotti a episodi secondari; viene invece dato molto spazio alla modernizzazione della Russia, alla vittoria nella Grande guerra patriottica contro i nazisti, a un lungo periodo di pace nel Secondo dopoguerra.
Il perno della propaganda nell’era di Putin è tuttavia la paura del ritorno dell’instabilità degli anni Novanta, alla quale si aggiunge la propaganda sui nemici esterni e interni, già nota nelle epoche precedenti.
Parliamo dei primi anni di presidenza di Putin, quando nei Paesi occidentali Putin era visto come un amico.
Si guardava alla Russia come a un Paese europeo, destinato a confrontarsi con il sistema europeo anche dal punto di vista culturale. Ma via via Putin attraverso la propaganda cercava di convincere i suoi cittadini che era in grado di indicare la via giusta e di difendere il Paese. Era un’ideologia nazionalista molto confusa che si basa sulla assoluta particolarità del mondo russo: tutto ciò che viene dall’esterno, dal mondo non russo, è una minaccia.
Questa propaganda era già in atto nel 2012, con l’inizio del terzo mandato di Putin dopo un quadriennio da primo ministro, e sicuramente nel 2014 con l’invasione della Crimea.
Purtroppo l’Occidente ha sottovalutato questi segnali.
Ci sono differenze, dal punto di vista della costruzione del consenso, tra la Russia di Putin e quella staliniana e sovietica?
Nell’era di Stalin il consenso era costruito su una ideologia comune tra popolazione e autorità, l’ideologia sovietica che si basava sulla costruzione di una società felice, con la propaganda che raccontava di un Paese industrializzato nel quale tutta la popolazione avrebbe goduto di una serie di beni. Durante il periodo del Terrore questo consenso diminuì, perché la gente aveva paura, ma rimase abbastanza forte.
Il periodo del Grande terrore venne infatti rielaborato come un errore, uno sbaglio subito superato dalla gloriosa vittoria nella Seconda guerra mondiale. E questa lettura, che era stata messa in discussione nel ventesimo congresso del partito che nel 1956 diede il via alla destalinizzazione, è adesso sostenuta da Putin.
Il consenso per Putin invece su cosa si basa?
Abbiamo una sorta di patto con la società russa: benessere economico in cambio di potere politico. Patto che, nei primi anni Duemila, Putin riesce a rispettare anche perché la Russia arrivava da un periodo con una forte instabilità economica, gli anni Novanta di El’cin. Il consenso iniziale si basava, oltre che su questo patto, anche sulla propaganda, partendo da nuovi testi scolastici.
Ultimamente quello di Putin è un consenso anche di terrore, perché ora la situazione in Russia è completamente cambiata. Pensiamo alla legge che etichetta come “agenti stranieri” associazioni come il Levada Center, il Centro Sacharov e la stessa Memorial, ma ci sono leggi ancora più dure. Le associazioni Lgbt vengono ad esempio equiparate ai movimenti terroristici e basta partecipare a una manifestazione per finire in prigione. Chi parla male della guerra o del governo si prende tranquillamente fino a 15 anni di carcere.
La propaganda, come accennato, inizia sui banchi di scuola.
Meno di un mese fa sono stati approvati i “Principi fondamentali della politica dello Stato della Federazione Russa nel campo dell’educazione storica”. Si tratta di un’iniziativa perfettamente coerente con il disegno di Putin di uno Stato sempre più totalitario.
Leggere questo decreto è interessante perché vi ricorre continuamente la parola “scientificamente”, usata per nascondere la natura politica e ideologica di questa misura.
Con questo decreto, che riguarda tutte le scuole dalle Elementari all’Università, si denunciano quelli che vengono definiti tentativi di deformazione della verità storica. Di fatto si trasforma la storia in uno strumento di giustificazione del regime, mettendo in secondo piano avvenimenti che sono invece importanti, come il già citato Patto Molotov-Ribbentrop o anche la stessa rivoluzione, creando una bizzarra continuità tra Russia zarista e periodo sovietico.
Questa continuità è davvero bizzarra, tenendo conto che l’Unione Sovietica è nata da una rivoluzione che gli zar li ha uccisi.
A noi appare molto strana, ma è funzionale al consenso popolare perché parla di una Russia imperiale, di una Russia autocratica, di una Russia forte che deve saper reagire alle minacce provenienti dall’esterno. Perché c’è sempre un nemico esterno da combattere. Nei manuali di storia, infatti, la Rivoluzione d’ottobre non è più una “rivoluzione”, ma una “insurrezione”: c’è molta attenzione alle parole utilizzate.
In Occidente non ci abbiamo fatto molta attenzione, ma con l’invasione dell’Ucraina Putin ha fatto una cosa molto significativa: ha criticato Lenin. Lo ha criticato perché ha commesso l’errore di concedere l’indipendenza all’Ucraina. Stalin invece ha vinto la Seconda guerra mondiale.
E questa propaganda così sistematica e capillare funziona: la popolazione crede davvero che sia colpa della Nato e dell’Europa, crede davvero che gli ucraini siano russi che, negando la propria identità, stiano tradendo la loro russità. E in questa narrazione distorta della storia la Russia è semplicemente la nazione che ristabilisce l’ordine giusto delle cose.