Marcello Simonetta, ospite giovedì del Liceo di Bellinzona, ci racconta dell’inferno nel quale il pensatore fiorentino sarebbe stato gradito ospite
In un anno dantesco che si avvia verso la conclusione, il Liceo di Bellinzona in collaborazione con la Fondazione Sasso Corbaro per le Medical Humanities dedica un incontro a un altro fiorentino forse altrettanto noto ma certamente meno rinomato: Niccolò Machiavelli. Il fondatore della scienza politica moderna, il cui nome è diventato sinonimo di cinismo e spregiudicatezza. Immeritatamente, ci ha spiegato Marcello Simonetta, docente alla Sapienza di Roma e ospite, giovedì 28 ottobre alle 18 nell’Aula multimediale, del liceo bellinzonese per parlare di ‘L’inferno di Machiavelli’.
A cosa si deve questo titolo, a parte l’omaggio a Dante?
La leggenda vuole che Machiavelli, subito prima di morire, abbia fatto un sogno in cui visitava un luogo molto noioso che gli dissero essere il paradiso, ma tutta quella gente vestita di bianco non lo interessò molto. Poi visitò un altro luogo dove tutti erano molto eleganti e simpatici, he gli dissero essere l’inferno. “Io mi trovo benissimo e vorrei restare qui” la risposta.
Questa è la versione, un po’ semplificata, della leggenda postuma che mi sono divertito a integrare nella conclusione del mio ‘Volpi e leoni’, dedicato ai rapporti tra Machiavelli e i Medici. Ho immaginato che sì, Machiavelli all’inferno ci voleva andare, ma quando si rese conto che all’inferno ci sarebbero finiti anche i Medici cominciò a ripensarci. Non posso dimostrare cosa avesse in testa Machiavelli ma al momento della sua morte questa deve essere stata una delle sue considerazioni, perché i Medici tanto bene non gli avevano fatto… tanto quanto i Borgia erano autori espliciti del male, i Medici sono stati ipocriti apostoli del bene e in questo forse ancora più pericolosi.
All’inferno però ce lo hanno mandato anche gli altri.
Un altro modo di guardare al titolo, un po’ meno giocoso, è il fatto che Machiavelli descrive la nostra realtà umana come un inferno: non è tanto l’inferno suo, ma l’inferno nostro, l’inferno in cui viviamo di cui hanno scritto tanto gli esistenzialisti del Novecento.
Machiavelli conosceva Dante?
Come tutti i fiorentini conosceva Dante a memoria. In un’opera che si intitola ‘Dialogo intorno alla nostra lingua’ – a volte non è stata riconosciuta come opera di Machiavelli, ma le posso assicurare che è sua – prende le distanze da Dante in particolare proprio sull’Inferno notando come avesse trovato solo cinque ladri fiorentini da mettere all’inferno… al che Machiavelli si fa una grande risata: “Fossero solo cinque!”. Così facendo mette in ridicolo l’idea di poter contenere i peccati umani in una lista limitata di nomi.
Conosceva anche il Dante pensatore politico?
Non credo che Machiavelli avesse letto le opere esplicitamente politiche di Dante. Se c’era un poeta politico a cui faceva riferimento era piuttosto Petrarca. Non è un caso che ‘Il principe’ finisca con la citazione di una celebre canzone di Petrarca.
Dicevamo della cattiva reputazione di Machiavelli.
È la fama del manipolatore, del dissimulatore, appunto, machiavellico. Il punto è tuttavia capire se Machiavelli stia attribuendo all’umanità dei comportamenti che non sono morali o se piuttosto non stia descrivendo la realtà come è. È questa la grande difficoltà che lui pone: la verità effettuale, come lui la chiama, consiste nel guardare le cose come sono e non come noi vorremmo che fossero o come dovrebbero essere. Con questo spietato empirismo lui mette in difficoltà l’edificio morale cristiano, ma non solo cristiano, perché nella retorica secondo lui ipocrita il dover essere prevale sull’essere.
La realtà è un’altra.
Lui come persona non era particolarmente machiavellico, anzi: ha dimostrato in più situazioni di non essere in grado di sfruttare le occasioni. La fortuna ha giocato contro la sua virtù, per usare una sua espressione. Altri suoi contemporanei hanno dimostrato di essere assai più machiavellici dello stesso Machiavelli. Nel mio libro ‘Tutti gli uomini di Machiavelli’ ho fatto un ritratto dei suoi amici, dei suoi nemici e anche della sua amante mostrando alla fine in modo indiretto, se vuole un po’ pirandelliano, come va riletto il mito di Machiavelli. Spero che l’edizione delle sue lettere, che sta per uscire e che mi vede tra i curatori, apra un dibattito che porti a una revisione di questi luoghi comuni.
Chiuderei con Dante: in quale cerchio dell’inferno avrebbe messo Machiavelli?
Avrebbe avuto l’imbarazzo della scelta. Però Machiavelli non era un violento, nonostante dica che la violenza bisogna usarla quando è necessario, e non era neanche un grande mentitore, nonostante avesse fatto qualche scherzo ai suoi amici. Tutto sommato io lo vedrei simpaticamente in compagnia dei lussuriosi: era un uomo molto libidinoso e lo racconta con dovizia di particolari, secondo me in parte esagerati o inventati, ma certamente non era fedele a sua moglie. Senza gli esiti tragici di Paolo e Francesca, lo potremmo mettere a svolazzare fra di loro.
Lui naturalmente si sarebbe visto in compagnia dei grandi intelletti vestiti “di panni reali e curiali” che sono nel limbo, a fare queste grandi discussioni ignorando le sorti dei veri dannati.