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King Vidor ‘The Crowd’, la folla o del fallimento dell'individuo

Il 7 agosto alle 15.30 al Fevi di Locarno il capolavoro che ha ispirato De Sica e molti altri. Le musiche saranno suonate dall’Osi

Storia di un individuo qualunque
(Wikipedia)
6 agosto 2024
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“Una storia squallida e priva di azione, di una lunghezza empia”. Così scrisse Variety dopo la prima di ‘The Crowd’ di King Vidor che debuttò, il 18 febbraio 1928, nel maestoso Capitol Theatre di Manhattan, New York. Film uscito quattro mesi dopo che ‘The Jazz Singer’ aveva suonato la campana a morto per l'era del muto, il giudizio lapidario di Variety non era condiviso da Film Daily, addirittura entusiasta: "È così fedele alla vita... stringe il cuore, offusca l'occhio e gioca con ogni emozione”, mentre il New York American lo inseriva nella lista dei dieci migliori film dell’anno. Lui, King Vidor, cinquant’anni dopo, in un’intervista del 1978 spiegherà: “Ho realizzato film da bravo impiegato e film che uscivano dalle mie viscere. Questo è quello che mi è uscito dalle viscere. C’era molta ipocrisia nei primi film e volevo allontanarmene”. E si era preso dei bei rischi per questo film che la Metro-Goldwyn-Mayer gli concesse solo perché poteva “permettersi un film sperimentale ogni tanto” e approvò il progetto senza vedere la sceneggiatura. D’altra parte, il suo film precedente ‘The Big Parade’ (1925, immenso capolavoro, ndr) aveva fruttato allo studio il profitto più grande fino a ‘Via col vento’ (1939), regalandogli la prima delle cinque nomination all'Oscar come miglior regista.

Storia di un uomo qualunque

‘The Crowd’ racconta l’esemplare vicenda di John Sims. Nato il 4 luglio del 1900, 124esimo anniversario della dichiarazione d'Indipendenza, suo padre aveva esclamato: “Quest'ometto farà stupire il mondo”. E glielo ripeteva spesso prima di morire, lasciandolo solo a 12 anni. Il momento in cui il figlio apprende la notizia è una delle leggendarie pagine di cinema, fotografata magistralmente da Henry Sharp: il bambino sale una lunga scala scoprendo passo dopo passo il dolore. Lo ritroviamo a 21 anni, anonimo impiegato in un ufficio di Manhattan. La presentazione di quell’enorme ufficio anonimo tra decine e decine di grattacieli è pagina di grande cinema newyorchese al di là di segnalate dipendenze espressioniste; l’unicità del luogo è qui foriera della solitudine umana.

In questo Vidor senza luci chapliniane, John incontra Mary (Eleanor Boardman, ex attrice di teatro e un volto interessante tra le Wampas Baby Stars del 1923, che il regista avrebbe sposato nel 1926). Tra John e Mary scoppia l’amore e Vidor lo canta preoccupato, perché Boardman è incinta e certe scene alle cascate del Niagara e sulle giostre a Coney Island non sono certo adatte a lei che non vuole controfigure. Succede che John e Mary hanno il primo figlio e la scena in ospedale è magnifica. Hanno anche una figlia, lui non è un modello di marito e padre, ma porta a casa lo stipendio. Anzi, un giorno porta a casa un bel gruzzolo per avere inventato uno slogan, e proprio quel giorno un camion investe la loro figlioletta, che muore. La sua vita precipita e nel suo precipitare coinvolge il resto della famiglia: perde il posto di lavoro, fatica a trovarne altri, Mary lo schiaffeggia, lui cerca di suicidarsi, solo il bambino lo prende per mano e lo aiuta. Vittorio De Sica ha spiegato che per il suo ‘Ladri di biciclette’ si era ispirato a questo film. Finalmente John accetta di non “stupire il mondo” e per guadagnare diventa quell’uomo sandwich che aveva sempre deriso, quel pagliaccio che ora lo fa ridere a teatro, insieme alla moglie e al figlio, in mezzo alla folla.

Flashback

Tutto era cominciato dopo ‘The Big Parade’, Vidor lo ricorda nella sua autobiografia, insieme a Harry Behn, che di quel film ha scritto la sceneggiatura. “Abbiamo semplicemente elencato le cose importanti che accadono all’uomo medio”, disse Vidor, consapevole che il pubblico voleva evadere dalla dura realtà dell’esistenza. Si rivolse poi al drammaturgo-poeta-romanziere John VA Weaver che scrisse ‘The Clerk Story’, uno scenario di 49 pagine. Partendo da quello, togliendo parti e personaggi, Vidor arrivò nell’ottobre del 1926 a un trattamento di 14 pagine soprannominato ‘March of Life’ da cui derivò la sceneggiatura finale intitolata ‘The Mob’. Vidor cercò un attore sconosciuto per il protagonista, ritenendo che “il film avrebbe avuto molta più convinzione”. Trovò James Murray, comparsa che faceva anche servizio nei teatri, debole come personaggio che interpreta nel film che lo ha lanciato, attore che terminò subito la sua carriera per il vizio dell’alcol, riducendosi a mendicare per le strade, simile alla deriva del suo personaggio. Morì a 35 anni, era il 1936.

La musica

‘The Crowd’, le cui musiche, nella proiezione del 7 agosto alle 15.30 al Fevi, saranno suonate dall’Osi, ha ispirato Vittorio De Sica per ‘Ladri di biciclette’, ‘Tokyo Chorus’ di Yasujiro Ozu, ‘Christmas in July’ di Preston Sturges, ‘The Apartment’ di Billy Wilder, ‘The Trial’ di Orson Welles, ‘Playtime’ di Jacques Tati. Nel 2017 Carl Davis (scomparso lo scorso anno), presentando alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone il suo lavoro di compositore per ‘The Crowd’, scrisse nel catalogo della manifestazione: “In ‘The Crowd’ (…) sentiamo il charleston, il foxtrot e il blues. I suoi personaggi non sono generali, re e rivoluzionari, ma persone comuni alle prese con le questioni quotidiane. Ma ciò non rende le loro vite meno importanti e, a volte, eroiche. Per risolvere il lato “eroico” della vita della nostra coppia centrale, viene impostato un tono classico e operistico, che ricorda un’opera verista della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo. (…) Dopotutto, gli anni 20 furono l’era del jazz. Dall’orchestra sinfonica ho disegnato un ensemble jazz con clarinetto, sassofono, tromba e trombone, aggiungendo una sezione ritmica, pianoforte, chitarra (a volte suonando l’ukulele), batteria, un violino solista e un contrabbasso. La grande orchestra e l’ensemble jazz prima si alternano, infine si uniscono”.

Ero presente a quella proiezione, ricordo gli applausi e un senso di gioia profonda nello scoprire che la musica aveva cancellato l’idea di “una storia squallida e priva di azione, di una lunghezza empia”.

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