Fuori dal film

La sindrome Polanski

È la predisposizione alla edificazione di cinte murarie poste a tutela della nostridudine. Con l'elezione di Maja Hoffmann, qualcuno pare ancora soffrirne

Maja Hoffmann, presidente designata del Locarno Film Festival
(Ti-Press)
2 agosto 2023
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Sono passati nove anni da quando una leonata da tastiera è riuscita a indurre un regista di fama internazionale a giudicare irricevibile l’invito del Festival del film di Locarno. La sua vita, il suo passato pesavano più della lama tagliente con la quale sviscerava il reale; la sua storia privata sconvolgeva più delle storie che metteva in scena. E così, più intransigente delle leggi internazionali, incapace di raffreddare l’indignazione con la pezza fredda sul cranio, il dadaista di Facebook ha costretto quelli che desideravano respirare la stessa aria di Roman Polanski a piangere sull’inchiostro versato.

La sindrome Polanski è da allora la predisposizione alla edificazione di cinte murarie, reali o simboliche, poste a tutela della nostridudine. Viene fuori come il getto di sangue da un brufolo che s’impiglia nell’unghia. La si legge sui settimanali avocado (verde la polpa, neri nòcciolo e buccia) scappa anche agli animatori della radio, che parlano dei nostri quotidiani come se nostro non fosse ciò che ci interroga, bensì solo il pensiero sorto tra Airolo e Chiasso. Infine può avvelenare anche me, quando cerco un posto di lavoro e il timore che venga preferito qualcuno che viene da fuori si affaccia come un sogno in una notte di raclette.

La sindrome Polanski è quel momento in cui la paura di valere poco, di scomparire di fronte a qualcosa di pericoloso suggerisce di saracinescarsi nel grembo patrio, più sicuro del confronto con chi pensa e ama senza dire bilux o tunnel. Ha anche le sue spie linguistiche specifiche, la più utilizzata il ma avversativo, che introduce la condizione secondo la quale la frase principale andrebbe rivista. Gli stranieri vanno bene, ma dovrebbero rispettare le nostre regole. Altrimenti? Muri a go-go.

Pochi giorni fa Maja Hoffmann è stata nominata quale prima donna alla testa del Festival del film di Locarno. Prenderà l’eredità del presidennostro Marco Solari e si capirà se saprà essere un valore aggiunto per la rassegna verbaniosa. La vedremo all’opera, sempre che la sindrome non produca effetti irreversibili. Perché già si sentono i primi schizzi di veleno. Non parla italiano, non è disponibile con la stampa, è ricca sfondata, non vivrà in Città vecchia, è amica di. Insomma, Maja Hoffmann non è dei nostri. Ecco forse perché è stata annunciata con un anno d’anticipo, per consentire una lenta digestione dell’avocado.