La governance futura non è di competenza del managing director’, che sul nuovo presidente rimanda al Cda. E sui numeri del 75esimo...
Al PalaCinema, casa del Locarno Film Festival, l’ufficio di Marco Solari fa angolo con quello di Rapahël Brunschwig, responsabile della gestione operativa e finanziaria dell’evento. Sommata con lo statement ultimamente ricorrente – la collocazione forse già significava qualcosa. Anche il misurato Brunschwig è reduce dalla premiazione: «Questi sono temi di competenza del direttore artistico, ma il film brasiliano è la prova di come in modo organico al Festival emergano i grossi temi della contemporaneità, portati dalla creatività di autori da tutto il mondo. Questa è una delle ragion d’essere del Festival. A voler creare apposta questa sinfonia di tematiche così importanti, non si otterrebbe di meglio. È sufficiente una giuria libera». Ma la notizia del giorno è un’altra…
Rapahël Brunschwig, partiamo dalla coda di quanto detto nella stanza a fianco: si può dire che con l’addio di Marco Solari la sua figura diventi ancor più centrale?
Chiaramente, la governance futura del Festival non è di competenza del managing director. Io mi adatterò a quelle che saranno le riflessioni sulle future modalità operative, sui futuri equilibri tra Presidenza e Direzione. Va detto intanto che il prossimo anno Marco Solari ci sarà ancora, con grande complicità e con equilibri che, evidentemente, si sono evoluti negli anni, già dai tempi di Mario Timbal. Posso dire che porteremo avanti quelle che sono le strategie di rafforzamento del Festival: da una parte l’esperienza fisica degli undici giorni, e poi tutto quello che vi stiamo costruendo attorno.
Si è fatto un’idea di come sarà il Festival senza Marco Solari?
Io sono sicuro che Marco Solari riuscirà a lasciare un Festival più forte. Così come è riuscito a fare tutto questo sul piano organizzativo, sono fiducioso che lui e il Consiglio di amministrazione faranno le giuste scelte affinché il Festival possa continuare a essere un valore aggiunto per il territorio, e crescere ulteriormente.
Commenterebbe queste parole dette poco fa? "Sempre che Rapahël voglia restare"…
Rapahël Brunschwig è grato di poter fare questo lavoro, un progetto nel quale è facile credere profondamente, che ha un impatto, che può contare su di una squadra straordinaria. Marco, Giona e io siamo gli elementi più visibili, ma dietro vi è una squadra di capi settore che per valore, teoricamente, sarebbero tutti membri di direzione. Il nostro compito è quello di dare una direzione, di definire le priorità e mettere le persone giuste al posto giusto, affinché possano dispiegare i potenziali del Festival e i loro stessi potenziali, e convincere di questo chi ci sostiene. È un bel momento quello che stiamo vivendo, pur restando sempre delicato. Aggiungo che il mio essere presidente degli Eventi letterari Monte Verità (dall’autunno 2021, ndr) è un altro dei motivi per i quali sono ben ancorato qui, un ulteriore contesto stimolante nel quale c’è ancora tanto da fare.
Veniamo all’edizione appena conclusa. Qualcuno vi rimprovera che al 75esimo sia mancato l’effetto ricorrenza, e qualche ‘fuoco d’artificio’ in più…
La ricorrenza, lo ha detto bene il presidente, è un punto di partenza per il futuro. Quando si organizza un Festival si tenta tutti gli anni di realizzare la migliore edizione di sempre. Abbiamo aggiunto due libri, una serata speciale, le Cartoline dal futuro, iniziative di comunicazione particolari, mai fatte, due locomotive. L’organizzazione ha comunque un certo rigore: i ‘fuochi d’artificio’ sarebbero stati fuori luogo. Il Festival è un luogo dell’intensificazione. Qui ci sono 30 progetti in 11 giorni, in pratica organizziamo 6 Festival diversi: i professionisti, la Rotonda, l’attività dei partner, la parte di mediazione culturale, le residenze e il BaseCamp, la Piazza Grande e i concorsi, e ognuno a un carattere festivaliero. Io credo che la forza del Festival sia proprio quella di riuscire ad attrarre altro attorno a sé, e l’abbiamo visto dai simposi medici a quelli sulla digitalizzazione, eventi sui media in Svizzera il sabato sera. Camminando per le strade della città, si poteva percepire la connotazione festosa, che può far riflettere, ridere, piangere, ma ciò che facciamo è già in sé un fuoco d’artificio.
Un commento sulla mera contabilità, che poi tanto mera non è mai?
Siamo soddisfatti. In Piazza Grande abbiamo raddoppiato rispetto allo scorso anno, tornando alle cifre del 2019, al netto della pioggia. Globalmente siamo scesi del 20% contro una previsione di perdita prevista del 30%. Qualcuno ha inteso questo risultato come perdita di uno spettatore su 5, che invece è da leggersi in questo modo: in un mondo in cui in sala non ci va più nessuno, siamo riusciti a portare 4 spettatori su, potenzialmente, nessuno, per un totale di quasi 130’000 spettatori. Ci sono poi stati dei cambiamenti: con la prenotazione in sala, che nel 2019 ancora non esisteva, si è persa un po’ di agilità; c’è ancora chi ha paura del Covid-19, e ci sono iniziative che non abbiamo conteggiato: l’installazione al Rivellino di Hito Steyerl e la realtà virtuale non rientrano in questi dati, perché conteggiati sulla base di indicazioni definite con l’Ufficio federale della cultura. È esclusa anche la Rotonda, per la quale si parla di numeri da 70 a 90mila persone, cifre importanti per le quali possiamo ritenerci soddisfatti. Per noi quest’anno la variabile maggiore e non controllabile era proprio la risposta del pubblico e la nostra grossa domanda era: il Festival, così com’è strutturato ora, ha senso di esistere? La risposta è stata sì, sia dal punto di vista dell’industria presente in forza, e con nomi sempre più rilevanti, sia per quanto riguarda il pubblico, sia per la risposta rispetto ai contenuti che vengono mostrati. In questa eterna battaglia per la rilevanza del Festival possiamo dirci soddisfatti. Si può sempre fare meglio, ed è il compito che ci aspetta a partire da questa mattina.