Di ‘How’s Katia’ s’è detto; interessante ma incompleto ‘Petrol’; piace (al netto di qualche moralismo) ‘Petites’
Come vanno le cose tra i Cineasti del presente? Se il Concorso internazionale e la Piazza scorrono senza particolari sussulti, nella sezione dedicata ai talenti emergenti abbiamo trovato alcuni lavori interessanti, ricordandoci che registe e registi al loro primo (o secondo) lungometraggio forse mancano di esperienza ma non di idee e di voglia di raccontare.
Dell’ucraino ‘How Is Katia?’ abbiamo già accennato sull’edizione di sabato: il film di Christina Tynkevych colpisce con una storia dura e una non banale riflessione sulla giustizia. Quando un’auto investe la piccola Katia mentre attraversa la strada sulle strisce, la madre Anna potrebbe riconoscere, in cambio di un ricco e utile risarcimento dalla potente famiglia dell’investitrice, che si sia trattato di una fatalità e che nessuno ha colpa. Ma Anna – una brava Anastasia Karpenko – non cede neppure quando il resto della famiglia le volta le spalle e l’unica possibilità per ottenere una qualche forma di giustizia sembra essere una facile vendetta. Christina Tynkevych fa un buon lavoro di regia, con primi e primissimi piani quasi claustrofobici e un uso sapiente della camera a mano. La regista ha saputo dare sostanza a una denuncia sociale che – ad esempio in momenti come il confronto tra Anna e la madre dell’investitrice – sa scavare in profondità mettendo allo scoperto responsabilità individuali e collettive: il problema non sono le forze dell’ordine incapaci, i tribunali corrotti, l’avidità delle banche che non esitano a togliere la casa a chi rimane paga in ritardo le rate del mutuo; il problema è una società incapace di pensare al futuro e di credere in qualcosa che non sia il proprio tornaconto.
Interessante, anche se incompleto, ‘Petrol’ dell’australiana Alena Lodkina: si racconta della relazione tra due ragazze, la timida studentessa di cinema Eva e la carismatica artista Mia. L’intento è forse raccontare il disorientamento di una generazione, ma la narrazione risulta confusa e nonostante alcuni momenti divertenti rimane un esercizio fine a se stesso. Discorso simile per ‘Love Dog’ di Bianca Lucas, una coproduzione tra Polonia, Messico e Usa che prova a indagare la solitudine umana partendo da John e dal suo tentativo – tra lunghe e bizzarre sessioni di chat online e tristemente surreali incontri di persone – di elaborare il lutto per l’improvvisa morte della fidanzata Ambientazione interessante – siamo nel Mississippi rurale e postpandemico –, personaggi a tratti intriganti ma il gioco di rimandi tra la solitudine del protagonista e quella della società regge fino a un certo punto, con il coinvolgimento del cane che dà da titolo al film. Si sente la mancanza di una sceneggiatura solida.
Nel fine settimana è arrivato anche ‘Petites’, esordio cinematografico di Julie Lerat-Gersant, regista che però ha una solida esperienza teatrale e si vede, soprattutto per come coordina il cast di giovani attrici dalla parlata adolescenzialmente veloce. Protagonista del film è Camille (l’eccezionale Pili Groyne), una sedicenne incinta che un tribunale decide, dopo un tentativo di aborto, di allontanare dalla madre – che a sua volta ha i suoi problemi – per portare avanti la gravidanza in una casa famiglia. Qui conosce Alison, un’altra ragazza madre, e si confronta con l’educatrice Nadine: scontato che alla fine arrivi a conoscere meglio se stessa, ma Lerat-Gersant si impegna a non fare il solito film sull’aborto o sulle ragazze madri e certamente ci riesce, per quanto ‘Petites’ ceda leggermente al facile moralismo.