fuori dal film

Cinema is back. Ma cosa è tornato di preciso?

Il cinema è tornato, si legge prima dei film. Una novità che non si capisce bene, tra l’autoreferenziale e il falso trionfale

11 agosto 2021
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Prima di ogni proiezione, chi frequenta Locarno lo sa bene, lo schermo s’ingialla per ospitare il tradizionale ruggito napoleonico di un felino che, con passo forse appesantito da una generosa porzione di polenta e brasato, percorre lo schermo da sinistra a destra. Il significato è credo abbastanza elementare, il nero dell’animale, il giallo dello sfondo ritornano nei cartelloni pubblicitari e vanno a simboleggiare un festival del cinema che si vuole tradizionale e dinamico, deambulante verso il futuro, con le zampe ben consapevoli del fardello di cultura che le macchie del pelo sembrano rievocare ad ogni passaggio. Locarno è il grande momento della cultura ticinese e non solo, non si bada a spese, avrebbe voglia di dire Marco Solari Hammond (tanto per evocare l’ormai intramontabile Jurassic Parck). Anche se così non è, perché ogni edizione nasconde una corsa ai finanziamenti che prevede dialoghi, cene, investimenti pubblici e privati, politica. Ricordo ancora i fischi che, da ragazzo, inondavano la Piazza, quando l’istituto bancario simbolo della violenza economica capitalista faceva bella mostra di sé, mondandosi la coscienza con il sostegno alla cultura. Le sedie rosse, allora, erano rosse, e noi si veniva al festival con la consapevolezza che il cinema, quello impegnato, quello che getta sguardi rivelatori sul mondo, stava cedendo il passo a un’epoca diversa e divertita, caratterizzata dalla mediazione, in salsa, tra clamore e cinema d’autore, tra Open doors, Wim Wenders e Gianni Morandi.

Gli anni del virus hanno probabilmente aiutato il sipario a calare anche sugli ultimi vezzi polemici, quelli che, per ricordare il momento forse più caldo, avevano indotto Roman Polanski a rinunciare alla sua partecipazione. Oggi i conflitti etici sembrano essersi trasferiti del tutto fuori dalle sale, sono recenti eppure sanno già di vecchio, se si pensa che la crisi climatica di cui tutti sentiamo la presenza fatica a imporsi di fronte al tema della credibilità della scienza e del vaccino, della libertà che inizia o finisce dove iniziano o finiscono le libertà dell’altro. Gli ultimi dati, quelli inventati da me questa mattina, stabiliscono che i vaccinati acquistano più birra e meno Panadol dei boh-vax, che invece si arrovellano e percepiscono un clima sociale ostile. In ogni caso, al di là delle preferenze etiche, resta faticoso respirare in una mascherina, soprattutto da una certa età in su, soprattutto quando la paura del virus ti suggerisce di non approfittare del buio che ammanta la sala cinematografica per abbassare la tela azzurra. Vi sono, evidentemente, anche dei lati positivi, come gli occhi delle persone, che stiamo imparando a leggere e a contemplare, ma soprattutto gli odori di piedi, che nelle sale cinematografiche sembrano esserci meno, perché la mascherina attenua, e se ottura i nasi, libera dalle scarpe.

Dopo il passaggio del leopardo nero, sempre sullo schermo, compare da quest’anno una scritta: Cinema is back. Il cinema è tornato. Non riesco a capire bene il significato di questa novità, che si muove tra l’autoreferenziale e il falso trionfale. È pur vero che, tra tutte le difficoltà, stiamo in tanti seguendo i film, stiamo reagendo, faticosamente, augurandoci che i dieci giorni di Locarno siano un inizio e non un ritorno a come eravamo. Augurandoci che a tornare non sia l’inglese come lingua dell’egemonia culturale, bensì l’inglese basico che sintetizza tutte le lingue del mondo, come simbolo di un festival che tornerà a farci riflettere sul nostro tempo, su ciò che siamo, su ciò che sarà inevitabile.