Lo sguardo intimo di Lucienne Bloch, amica e narratrice, nella Sala Arsenale del Castel Grande a Bellinzona fino al 26 gennaio
La sua immagine è ovunque: magliette, tazze, portachiavi e persino immortalata nei poster che adornano le pareti delle camere di aspiranti artisti. Sopracciglia indomite, labbra dipinte, una cascata di fiori tra i capelli – un’estetica inconfondibile che ha consacrato Frida Kahlo a simbolo globale. Ma, come ogni icona, anche lei ha pagato il prezzo della celebrità: ridotta a un logo, semplificata fino all’essenza di un souvenir. “L'icona è una sottrazione per far diventare un'immagine più semplice possibile da ricordare. Però sottraendo tolgo anche delle informazioni,” spiega Vittoria Mainoldi, curatrice della mostra ‘Inside the Life of Frida Kahlo’, inaugurata nella Sala Arsenale del Castel Grande a Bellinzona e visitabile fino al 26 gennaio. “Con questa mostra cerchiamo di ridarle queste informazioni, raccontando la storia di un'amicizia tra due donne”, aggiunge Mainoldi.
L’iniziativa è proposta da GC Events in collaborazione con la Fortezza di Bellinzona e non è la solita mostra ridondante o celebrativa, ma un viaggio attraverso lo sguardo intimo di Lucienne Bloch, amica e narratrice straordinaria, che restituisce una Frida Kahlo lontana dai cliché. Gabriele Censi, titolare GC, ringrazia la città e la Città, nella persona di Renato Bison, sottolinea il valore di iniziative come questa, “che danno nuova vita agli spazi e portano al pubblico un'esperienza unica”, strizzando pubblicamente l'occhio all’aspetto turistico legato al Natale.
C’è qualcosa di incredibilmente moderno nel rapporto tra l’artista messicana e Bloch. Al centro della mostra, la loro amicizia si dispiega come un album fotografico. Entrambe con radici mitteleuropee, entrambe figlie di padri appassionati di fotografia e musica, entrambe immerse nell’arte e nella politica. Bloch, più amica che fotografa, cattura con il suo obiettivo una Frida Kahlo autentica, svelandone una bellezza spontanea. “Frida Kahlo era la moglie del famosissimo muralista Diego Rivera, all'epoca lei meno conosciuta del marito, era una donna che cercava di far passare il suo messaggio e la sua voce, anche liberandosi dalla ingombrantissima presenza del marito,” racconta la curatrice.
Una complicità che emerge in ogni scatto e crepa la maschera impassibile dell’artista di Coyoacán. Kahlo non è la figura austera immortalata da Nicholas Murray o Imogen Cunningham, ma una donna viva, che oscilla tra malinconia e ironia. Frida che mangia un gelato, che riposa su una panchina, che ride quando per anni abbiamo creduto che fosse incapace di farlo. Le foto di Bloch non costruiscono un mito, lo smontano, pezzo dopo pezzo. “Vedete la quotidianità: qua c’è un’amica che scherza con un’amica”.
Castel Grande, l’allestimento
Le foto di Lucienne Bloch sfiorano l’archeologia artistica, tracciando con cura la carriera di Frida Kahlo, quando i suoi dipinti non sapevano di essere destinati a milioni di franchi. In una serie di scatti vediamo i suoi quadri in momenti di transizione: appoggiati su cavalletti, freschi di colore, e attaccati alle pareti come fossero decorazioni qualsiasi.
Ma come ogni documentario che si rispetti, la svizzero-americana non si ferma alla celebrazione dell’artista: racconta anche il dolore. Dopo un aborto, l’autrice di ‘La colonna spezzata’ trovò conforto nella vicinanza di Bloch. “Rivera la pregò di andare a vivere con loro per dare un sostegno a Frida mentre lui era occupato sul cantiere di questi murales”, racconta Mainoldi. Uno degli scatti più emblematici della mostra riguarda la distruzione del celebre murale che Rivera aveva realizzato per il Rockefeller Center: un’opera giudicata troppo politica e cancellata prima ancora di poter essere vista dal pubblico. “Lui aveva idea che questa cosa sarebbe potuta succedere. Manda Frida e Lucienne sul cantiere. Frida distrae la portineria iniziando a chiacchierare, mentre Lucienne si infila nel cantiere, sale sul ponteggio e scatta l’unica foto che esiste del murales”.
La politica non era mai sullo sfondo. I costumi riprodotti, che si stagliano sulla parete della mostra come torri di una scacchiera, sono riproduzioni degli abiti tradizionali che amava portare. “Negli anni 30 in Messico ci si vestiva come negli Stati Uniti”, puntualizza Mainoldi. “Frida, invece, riaffermava le sue radici popolari, riportando questo messaggio politico e sociale della rivoluzione, della tradizione messicana”. I colori e i dettagli sartoriali dei suoi abiti raccontano la sua visione: un Messico autentico, radicato nella terra e nella cultura popolare, che paradossalmente sono oggi gli stessi dettagli che hanno reso Frida Kahlo un’icona perfetta per il merchandising capitalista.
A prima vista, ‘Inside the Life of Frida Kahlo’ potrebbe sembrare l’ennesima mostra su di lei, ma grazie alla visione produttiva e, soprattutto, alla curatela attenta, restituisce una Frida al femminile: un ritratto intimo, raccontato da chi la conosceva fin troppo bene.
© Lucienne Bloch
Frida at the Barbizon Plaza Hotel