In molti l’hanno sempre e solo vista come la moglie di John e non l’artista già affermata prima dei Beatles. A Londra, una retrospettiva
Londra – Nel 1981, poco dopo l’assassinio di suo marito, avvenuto davanti ai suoi occhi all’esterno del Dakota Building a New York, dove vivevano con il loro figlio di 5 anni, Yoko Ono realizzò una foto degli occhiali insanguinati del suo amato. John Lennon, diventato padre per la seconda volta, aveva finalmente trovato la distanza dai palcoscenici e dalle prime pagine dei giornali per dedicarsi completamente alla sua nuova famiglia, trascorrendo le sue giornate facendo il pane e giocando con Sean, diversamente da quanto era riuscito a fare con il suo primogenito Julian nel suo primo matrimonio. Mark David Chapman lo strappò via da questo idillio con quattro colpi, lasciandolo morto sul marciapiede ai piedi di Yoko. Quegli occhiali, con le ultime tracce di DNA del marito e padre di suo figlio, divennero la copertina dell’album solista di Ono, ‘Season of Glass’.
Per Yoko Ono, l’arte è sempre stata un connubio di vita e morte. Questa è la chiave per comprendere l’artista e la donna, ormai 91enne. Yoko Ono è indissolubilmente legata alla sua arte. La mostra ‘Music of the Mind’, ospitata dalla Tate Modern di Londra, una retrospettiva ampia dell’intera carriera e, di conseguenza, della vita di questa artista, dovrebbe chiudere definitivamente il dibattito tra coloro (molti) che l’hanno sempre vista solamente come la moglie di, e coloro (pochi) che hanno provato a riconoscerle che era un’artista affermata già prima di incontrare i Beatles. D’altronde, John stesso l’aveva definita “l’artista sconosciuta più famosa del mondo: tutti conoscono il suo nome, ma nessuno sa cosa fa”.
Distinguere Yoko Ono da John Lennon è sempre stata un’impresa nobile, ma ardua, e ormai appare del tutto irrilevante. La Tate Modern lo riconosce, dedicando un’intera stanza alla coppia e al loro famoso Bed-In per la pace del 1969. A pochi passi da quell’installazione, è stata saggiamente posizionata la celebre scala bianca che Yoko Ono espose alla Indica Gallery di Londra nel 1966. Fu su quella scala che John salì per leggere, attraverso una lente di ingrandimento, il minuscolo messaggio lasciato dall’artista giapponese, giunta a Londra dalla scena avanguardistica newyorkese. Sospeso sul soffitto della galleria, c’era una minuscola iscrizione della singola parola ‘YES’, scritta con inchiostro d’India su tela preparata. Quella piccola parola di tre lettere ebbe un grande effetto su Lennon: “Era positivo,” disse più tardi. “È un grande sollievo quando arrivi in cima alla scala e guardi attraverso la lente di ingrandimento e non c’è scritto ‘no’ o ‘fottiti’; c’è scritto ‘YES’. Era un’affermazione semplice piuttosto che la solita roba noiosa e negativa... rompere il pianoforte con un martello, distruggere la scultura. Quel ‘YES’ mi ha fatto restare.”
Eppure, fu da quel momento che il mondo iniziò a urlarle contro un sonoro ‘NO’, banalizzando tutto, considerandola colpevole di aver causato la rottura dei Beatles. Lei, una donna asiatica, si era messa, secondo l’opinione comune, tra Lennon e McCartney, creando una frattura incolmabile nella più grande collaborazione artistica della storia della musica popolare occidentale.
Yoko Ono non ha causato la rottura dei Beatles. L’attribuire a lei la colpa, a causa della sua costante presenza, è stata sempre un’accusa assurda e pigra, radicata nel maschilismo e nel razzismo. Ribadito anche dal recente documentario di Peter Jackson ‘Get Back’. Una sorta di grande fratello all’interno dello studio di registrazione dei Beatles durante la lavorazione del loro ultimo album. Yoko e John, inseparabilmente innamorati, sedevano fianco a fianco, mentre i Beatles registravano. Ma è ora evidente come anche le partner di Paul, Ringo e George, insieme a vari ospiti, entrassero e uscissero liberamente dallo studio, sottolineando gli evidenti doppi standard. George, il più polemico in quel momento, portava persino gli Hare Krishna in studio.
A. Pizzicannella
A Londra, fino al primo settembre
Il tempo e il materiale d’archivio restaurato hanno trattato questa donna con gentilezza, rendendo finalmente più semplice liberarla da un’accusa infamante e riconoscerle l’eleganza e l’attenzione con cui ha saputo gestire l’incredibile eredità del marito dopo la sua morte. Yoko Ono è stata sempre una delle artiste più originali; era semplicemente necessaria una sensibilità avanguardistica molto sviluppata per vederlo, mentre a criticarla erano coloro che erano attratti dal pop dei Beatles. La metà di quella partnership di scrittura, Paul McCartney, ammise anche che Lennon non avrebbe mai scritto ‘Imagine’ senza l’influenza di Yoko Ono, artista concettuale. “Quando è arrivata Yoko, parte del suo fascino era il suo lato avanguardista, la sua visione delle cose,” dice McCartney. “Lei gli ha mostrato un altro modo di essere, che a lui piaceva molto. Quindi era il momento per John di andare avanti.”
A New York, Yoko, aveva lavorato con John Cage e La Monte Young, i principali compositori d’avanguardia dell’epoca. Dal 1960, il suo loft a Tribeca era stato un luogo importante per alcuni degli eventi più significativi di Manhattan. E, sebbene non fosse un membro ufficiale del noto gruppo artistico Fluxus, era intimamente associata a esso. Fluxus, nei primi anni ’60, rappresentava l’Everest dell’avanguardismo artistico.
La relazione di Yoko con l’avanguardia e il suo modo di vivere l’arte come espressione libera e sperimentale furono decisivi nel plasmare la visione artistica di Lennon negli anni successivi al loro incontro. Influenzò la direzione artistica e personale di Lennon, spingendolo a esplorare territori creativi che altrimenti avrebbe potuto ignorare. Il loro legame si dimostrò essere una fusione di mondi artistici, dove la musica incontra l’arte visiva, il politico si intreccia con il personale, e il popolare si fonde con l’avanguardista. Questa sinergia tra John e Yoko non solo definì una nuova direzione per la loro arte ma anche per la cultura popolare dell’epoca, testimoniando il potere trasformativo dell’amore, dell’arte e dell’immaginazione nel plasmare il mondo.
Yoko Ono incarna l’essenza pura della sua arte: dalle installazioni alla musica, dal suo trasferimento dal Giappone a New York fino all’Indica Gallery, passando per gli schizzi di sangue del marito che la macchiarono quella sera davanti al Dakota, fino al prosieguo di una lunga esistenza segnata dal fantasma e dall’assenza del suo imponente partner. Tutto questo compone il ritratto di una 90enne che è diventata, a tutti gli effetti, arte incarnata.
A. Pizzicannella
A Londra, fino al primo settembre