Stefano Boroni racconta in un fumetto il dramma del Joola, traghetto senegalese affondato nel 2002 causando più morti del Titanic; tra cui un suo amico
All’inizio, una dedica: “Pour Domizio et Barbara et tous les autres êtres qui dansent autour du Joola”. Alla fine, una lunghissima lista: i nomi dei morti in un naufragio che ha causato più vittime dell’affondamento del Titanic (in cui persero la vita 1’518 persone, 705 i sopravvissuti). Il transatlantico britannico colato a picco nel 1912 durante il viaggio inaugurale è entrato nella memoria collettiva; non così il Joola, traghetto senegalese inabissatosi nel 2002 in acque territoriali del Gambia portando con sé 1’863 persone.
Vent’anni dopo, Stefano Boroni racconta il dramma in cui scomparve anche un suo amico d’infanzia, il ticinese Domizio Lepori (27 anni, scenografo, in viaggio con la compagna Barbara Schudel). Lo fa con il fumetto ‘Que la mer vous soit légère’ (Harmattan éditions et Sept éditions, prefazione di Adrien Absolu), titolo che prende spunto da un’espressione senegalese usata come preghiera ai defunti, “che la terra sia loro lieve”. «Alla base di questo progetto – ci spiega Stefano Boroni, grafico e illustratore – la voglia di onorare il Domi. Non volevo però rimanere sul lato fattuale della tragedia, troppo dura»; per questo il naufragio si intuisce, ma non è rappresentato in maniera cruda. «Per me era importante trasmettere un messaggio: cioè che anche nelle situazioni difficili si può continuare a camminare con fiducia». In un primo tempo l’amico era uno dei personaggi della narrazione; «poi mi sono reso conto che non c’era bisogno che fosse rappresentato e che la storia stava in piedi ugualmente». Domizio è comunque presente, indirettamente, con il personaggio di Antigone (Lepori era in Senegal per allestire la tragedia ‘Antigone’), che preparava per una rappresentazione teatrale.
Il fumetto trasforma la tragedia in una favola onirica. I protagonisti, «che rappresentano un po’ la società senegalese dell’epoca e un po’ chi era sul Joola», vedono il traghetto rovesciato dal fondale marino, dove si ritrovano alcune vittime. Il capitano, il soldato, la veggente, il professore, il ribelle; Big Foot il piccolo calciatore, a ricordare come il Senegal fosse ancora in piena euforia dopo la storica vittoria nella partita d’esordio del Mondiale 2002 sui campioni in carica della Francia. E Gran-Ma, una donna «che ha portato peso per tutta la sua vita e sembra sollevata di non doverlo più fare, provando quasi un senso di liberazione. Ciò che porta a porci una domanda: cosa succede quando è il nostro momento? Chi resta, è triste di vedere le persone partire; ma cosa capita a chi muore? Anche per chi se ne va, c’è sempre solo tristezza o a volte ci si sente liberati da un fardello di sofferenza?».
Il sottotitolo – ‘La vraie fable du bateau Joola’ – è un ossimoro, «e a me piacciono gli ossimori. Per quanto i personaggi siano vivi e parlino, lo scenario è sott’acqua e dunque impossibile. Malgrado la situazione cercano una via d’uscita, cioè rimontare in superficie». Ce la fanno solamente in due; ma nonostante la catastrofe, l’albero che cresce in fondo al mare è una nota di speranza e un inno alla vita. «Al contempo i dialoghi contengono informazioni raccolte in libri e articoli scritti sull’accaduto. ‘La vera fiaba’ «riassume il proposito» di un album che dà voce a chi voce non ha avuto. E non manca, Boroni, di denunciare in punta di pennino le molte manchevolezze: il sovraccarico di passeggeri, l’incuria delle autorità senegalesi, il ritardo dei soccorsi. «Mi premeva però anzitutto disegnare queste persone e, attraverso ciò, dar loro dell’importanza. Disegnare qualcuno è dargli attenzione e amore. Ho voluto dare la voce a chi è affogato; ma anche accarezzarli con il pennello». Perché quella del Joola è la storia di un abbandono.
Ha scelto il bianco e nero, con tavole disegnate con inchiostro di china. «Il colore per me è tecnicamente più complicato; e poi se da un lato attraverso il tratto e il disegno emergono frammenti di vita e di gioia, d’altro canto il bianco e nero dà un senso di melanconia». Inoltre mette in rilievo i disegni a colori di altri artisti noti, ai quali Boroni ha chiesto di contribuire. Aprono ogni capitolo le tavole di: Grzegorz Rosinski (L’arrivée); Alex Baladi (C’est ta faute!); Bernard Cosey (Ensemble); Tom Tirabosco (Le matelas); Jean-Louis Tripp (L’échelle humaine); Adrienne Barman (L’arbre); Benjamin Flao (Epilogue). Completa l’opera la testimonianza di Patrice Auvray, uno dei pochissimi sopravvissuti. E poi, come un pugno, milleottocentosessantatré nomi (affiancati da età e attività). È l’elenco – a colori «per dare un velo di dolcezza» – di chi è rimasto in fondo all’oceano, che occupa quindici pagine. «È un omaggio a loro. Ma volevo pure che chi legge il fumetto avesse i nomi dei morti in mano, affinché non rimanessero un numero. Perché in quel naufragio hanno perso la vita persone reali».
Stefano Boroni destinerà la percentuale che gli spetterebbe sulle vendite di ‘Que la mer vous soit légère’ all’‘Association nationale des victimes et rescapés du Joola’.
Il Joola era un traghetto di proprietà dello Stato senegalese, che faceva la spola tra Dakar e Ziguinchor (porto sul fiume Casamance). Era stato concepito per trasportare 536 passeggeri, ma al momento dell’incidente a bordo c’erano quasi duemila persone.
Già in cattive condizioni (nel viaggio inaugurale dopo tredici mesi di stop per lavori di riparazione ai cantieri navali di Dakar, l’ingegnere tedesco che aveva supervisionato le operazioni di manutenzione aveva scelto di non salire a bordo), il 26 settembre 2002 l’imbarcazione era finita in mezzo a venti tempestosi e un forte temporale quando si trovava al largo in acque territoriali del Gambia. Verso le 23 si è rovesciata, in meno di cinque minuti: i sopravvissuti sono 63; il bilancio ufficiale parlerà di 1’863 morti. I soccorsi hanno impiegato dieci ore ad arrivare sul luogo del naufragio, ad appena una ventina di chilometri da terra. Solamente alcune centinaia di corpi verranno recuperate nei giorni seguenti; il relitto della nave si trova ancora in fondo all’oceano. Nonostante le dichiarazioni delle autorità (tra le quali quella dell’allora presidente della Repubblica, Abdoulaye Wade, il quale aveva garantito che tutta la verità sarebbe stata rivelata e promesso sanzioni), non si è svolto alcun processo e nessuno è mai stato riconosciuto responsabile dell’incidente.
Terminato il percorso al Centro scolastico per le industrie artistiche (Csia) a Lugano, Stefano Boroni ha proseguito la formazione a Losanna. Vive nel capoluogo vodese da trent’anni, ma «mi sento come se fossi qui in ‘perenne’ scambio di studio», ci dice con una risata. Ha mantenuto un forte rapporto con le origini. «Per me il Malcantone rimane il Malcantone. Sono attaccatissimo al Ticino e alla regione in cui sono nato e cresciuto; che per me è i castagni, il fiume, gli amici, la montagna».
Padre di quattro figli, è insegnante part time all’Eracom e artista indipendente. Dal suo osservatorio, ci risponde, ritiene che l’interesse per le arti grafiche da parte dei giovani sia sempre alto. «Basti vedere il numero sempre elevato di ragazzi che si presentano agli esami di entrata delle scuole. Dal mio punto di vista credo che da un lato cerchino begli esempi e ritengano che seguirne i passi sia stimolante; e dall’altro avvertono la necessità di scoprire la loro creatività. In un mondo visuale talmente vasto e con tanti stili, ognuno ha bisogno della sua parte di creazione; senza per forza rientrare sotto delle ‘etichette’, come invece tendono a fare gli storici dell’arte. Ciò che mi affascina è invece il fatto che gli artisti siano sempre più veloci delle classificazioni».