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Gianni Celati un anno dopo

Il maggiore scrittore italiano ‘vivente’ non c’è più da un anno. Chi sia il maggiore ora non si sa: se non viene in mente senza cercarlo, forse non c’è.

Sondrio, 10.1.1937 - Brighton, 3.1.2022
(Keystone)
21 gennaio 2023
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"Nato nel 1937, a Sondrio, due passi dalla Svizzera. – Padre usciere di banca, litiga col proprio direttore. – Padre condannato per punizione a trasferimenti da un capo all’altro della penisola a proprie spese...". Così avanti fino alle 2000 battute: la vita riassunta da lui stesso di Gianni Celati.

Nella copertina del primo numero che gli dedicò la rivista Riga (il 28), c’è un ritratto dello scrittore con altri due ‘ritratti’, di una strada e di una Renault 4. La strada si prolunga sulla sinistra, una curva si intuisce in fondo; la macchina, verde e targata BO, sta al centro; a destra seduto sul bordo, nell’erba, Gianni Celati chino su un taccuino. Da fermo, o in fotografia, sembrava adulto, a sessant’anni o settanta; in movimento un ragazzo. Qui pare un ragazzo anche da fermo.

Il maggiore scrittore italiano ‘vivente’ non c’è più da un anno. Chi sia il maggiore adesso non si sa, ma se non viene in mente senza cercarlo, forse non c’è. Tutti scrittori minori, per ammissione di alcuni degli stessi interessati, e qualcuno medio.

Uno che scriveva

Gianni Celati non si credeva uno scrittore ma uno che scriveva. E uno che scrive, scrive tutto. La mancanza di privilegi (lo Scrittore, la Scrittrice che fa santo ciò che tocca), scelta da te involontariamente e con un po’ di astuzia, ti dà la libertà. E pratichi tutti i generi – probabilmente senza crederci, ai generi – senza accorgertene: racconti e romanzi, saggi e traduzioni, resoconti di viaggi, annotazioni, interviste che diventano scrittura... Uno che scrive, scrive anche quando traduce, naturalmente, e tra i libri migliori di Celati si devono includere le versioni della Certosa di Parma o di Bartleby o dell’Ulysses, dell’Uomo che dorme di Perec o dello sconosciuto, delizioso romanzo di William Gerhardie Futilità. Uno che scrive, scrive quando ha trovato qualcosa o quando la deve cercare. Tace per sette anni. Prova con le immagini, il cinema (‘Strada provinciale delle anime’, per dire un solo titolo) oltre che con le parole. Tenta molte strade perdendosi sempre, perché la vera meta è non arrivare, o un’altra da quella che ti prefiggevi. Celati portava avanti un suo discorso, fin dall’inizio, che non sapeva quale sarebbe stato pochi minuti, o secondi, dopo. Una linea sinuosa, incespicante, continuamente distratta, spesso interrotta, che seguiva fiducioso senza badare a dove portasse. Fece diversi proseliti, più o meno all’altezza non tanto di lui, ovviamente, ma di proselito di Celati.

Il viaggiatore incantato

Se conta qualcosa il fatto editoriale nella vicenda di un autore, si può dire che ha pubblicato con grandi e piccoli. Prima con i grandi – Einaudi, Feltrinelli –, poi negli ultimi anni con i piccoli e i minimi, per totale disinteresse ai suoi libri una volta scritti. Intanto però, anche dopo, uno dei grandi continuava a corteggiarlo per fargli tradurre l’Ulysses. Pedinamento durato cinque anni che infine l’ha convinto. Civetteria, noncuranza o assenza di rispetto editoriale, scrive nella sua nota della traduzione: "quelli dell’Einaudi" mi chiedono da cinque anni, eccetera. Uno scrittore libero perché un uomo libero? Non so se si sia acquistato molte inimicizie, ma credo di no. Spregiava nettamente, allegramente il più della letteratura che si andava facendo nell’ultimo mezzo secolo, credendo solo in Campana e in D’Arzo, in Gadda, in Delfini e in alcuni dei classici italiani più classici: del Duecento, del Seicento.

‘Il viaggiatore incantato’, titolo di Leskov – certo tra i suoi autori – è una buona definizione anche per lui. Viaggiava nella vita e nelle pagine degli altri, viaggiava nella sua scrittura, senza avere idea di cosa ci fosse dietro l’angolo, senza mappe. Innamorato delle parole "impensate" dei matti e dei bambini – "esos locos bajitos", li cantò Joan Manuel Serrat –, ha cercato di mettersi alla loro scuola, riuscendoci quasi a ogni nuova tappa e nuovo libro. E pensando sempre di aver fallito.

Così termina il suo ‘Esercizio autobiografico in 2000 battute‘: "Film in Senegal, incapace di finirlo. – L’Italia invivibile. – Campa facendo conferenze. – Andata così. – Dal 1990 a Brighton, con la moglie Gilliam Haley".

Avrebbe annotato il giorno della sua morte con disillusione simile? Credeva alla letteratura fino a un certo punto. Forse non credeva ad altro ma non la credeva sacra, perché altrimenti chi la esercita sarebbe toccato dal sacro anche lui. Il che ovviamente è falso oltre che ridicolo.