A colloquio con Guillaume Canet e Mélanie Laurent, tra la passione per il cinema e il sogno di fare un film senza concedere interviste
Sul set di ‘Le déluge’, il film che mercoledì sera ha aperto la Piazza, c’erano ben cinque registi: quello che ha effettivamente diretto il film, Gianluca Jodice, poi il direttore della fotografia (Daniele Ciprì), il produttore (Matteo Rovere) e i due protagonisti, Guillaume Canet e Mélanie Laurent.
Canet e Laurent, rispettivamente Luigi XVI e Maria Antonietta nel film che racconta la prigionia precedente il ghigliottinamento rivoluzionario del 1792, hanno ricevuto l’Excellence Award della 77ª edizione – non ovviamente per il film di Jodice, ma per la loro importante carriera che li ha visti, appunto, anche registi. Anzi, nell’incontro con alcuni giornalisti che è seguito alla conversazione con il pubblico di ieri mattina, i due hanno sottolineato che la loro passione per il cinema riguarda più la regia che la recitazione, tanto da essere diventati “attori per caso”. Per Canet – ma il suo tono ironico lasciava intendere di non prenderlo troppo sul serio – i primi lavori da attore erano un modo «per sopravvivere e per risparmiare i soldi per poter poi fare i miei film: non lavoravo davvero sul personaggio… poi ho iniziato a fare il regista e ho iniziato a chiedere agli attori di prepararsi, di leggere quel libro o di guardare quell’altro film. Finché non mi sono reso conto che stavo chiedendo di fare cose che io, da attore, non avevo mai fatto. Quando sono tornato a recitare, ho iniziato a fare questo lavoro e per questo si vede questa grande differenza, nelle mie interpretazioni prima e dopo aver fatto il regista».
Jodice, dal suo punto di vista di regista senza ambizioni da attore, ha confermato: «Per me è rilassante lavorare con altri registi, perché tutti conoscono le follie, le stranezze, le stronzaggini di un regista e quindi è tutto attenuato nella deriva negativa del set».
Per la cronaca, sia Canet sia Laurent hanno citato libri letti per avvicinarsi ai rispettivi personaggi. Soprattutto per Mélanie Laurent, confrontarsi con il periodo di prigionia – di fatto iniziando dove di solito si finisce di raccontare la vita di Luigi XVI e di sua moglie – ha permesso di conoscere da vicino il proprio personaggio, di capire chi è davvero Maria Antonietta al di là delle maschere regali.
Ma alla fine l’aspetto più impegnativo sono forse stati i costumi, con diverse ed estenuanti ore di trucco prima di poter girare il film. «Ma per fortuna ho finito il film con qualcosa come dieci minuti di make-up, perché man mano che prosegue la prigionia Maria Antonietta diventa sempre meno regina, subisce proprio una trasformazione fisica perdendo la cipria sul viso, la parrucca e anche vari strati di vestiti». Ci sarebbe poi tutto il discorso sul corsetto, che forse da solo meriterebbe un documentario.
Niente corsetto per Canet, ma l’attore si è comunque dovuto confrontare con le protesi per raggiungere la corporatura di Luigi XVI. Gli viene chiesto se non ha pensato di fare come De Niro sul set di ‘Toro scatenato’ e ingrassare sul serio. «L’ho già fatto, per un altro film: avevo messo su 16 chili ma ho scoperto che per tirarli tutti giù mi ci vogliono 16 anni!».
Perché fare un film? «Fondamentalmente perché hai qualcosa da dire e la vuoi dire a voce alta» ha risposto sempre Canet, aggiungendo anche «il fuggire da cose che non voglio affrontare».
Chiediamo, a entrambi, quanto sia importante questo doppio ruolo, di attore e regista. «Credo sia molto importante e ci sono grandi registi che sono anche attori e anche ottimi attori e sono convinto che quando hai la possibilità di fare entrambe le esperienze, puoi davvero imparare molto».
Per Mélanie Laurent nel cinema ci sono spesso difficoltà di comunicazione e fare cose diverse aiuta a comprendere altri punti di vista. «In un film che ho appena diretto ho preso in mano la cinepresa: ero io a inquadrare il film e wow! Ho scoperto un nuovo mondo, con tutti questi tecnici che mi aiutavano e mi assistevano, persone che di solito erano lontane. Per me è stato come scoprire una nuova versione del cinema. Sarebbe bello avere un ambiente nel quale ognuno cambia lavoro ad esempio ogni tre giorni, così da conoscere davvero quello che fa ognuno e magari rendersi conto delle difficoltà. Prima di prendere in mano la cinepresa non mi ero resa conto di cosa significa aver scelto, per il mio film, attori belli grandi e alti che mi sono ritrovata a dover guardare dal basso verso l’alto…».
La conversazione è poi girata sull’equilibrio tra vita privata e lavorativa. «Non smetti mai davvero di lavorare, ma hai sempre la testa pronta a cogliere qualche idea o spunto» ha spiegato Canet. E per la privacy? Cosa fare con tutte le persone che vogliono conoscere i dettagli privati della vita delle celebrità spesso condannandole sulla base di pettegolezzi? «Per quello ho trovato la soluzione: niente social media, non leggo nulla su di me, né di positivo né di negativo» ha spiegato Laurent. «Ho smesso 12 anni fa e adesso vivo in una bolla: non dico che sia bello, ma almeno non vengo a sapere nulla che non vorrei sentire». Conclude Canet ridendo: «Un’altra cosa che sarebbe bello fare è dirigere un film, interpretarlo… e non dare neanche un’intervista!».