‘La bicicletta di Bartali’, un'occasione per i più piccoli per avvicinarsi alla guerra tra Israele e Palestina. Parla il regista, Enrico Paolantonio
Il film d’animazione è uno strumento didattico dal grande potenziale, tuttavia relegato spesso al solo pubblico dei bambini, visto il carattere infantile che assume. Se il cinema crea un dialogo che anela a essere artistico o culturale, l’animazione potrebbe costituire un ponte educativo che connette genitori e bambini a tematiche complesse, come nel caso del conflitto israelo-palestinese, già percepito come nebuloso dagli adulti. Questo è ciò che cerca di fare ‘La bicicletta di Bartali’ (in concorso nella sezione Kids), che racconta l’amicizia tra un giovane arabo e un ebreo, accomunati dalla passione per il ciclismo e uniti dal filo invisibile di Gino Bartali, che contribuì a salvare ottocento persone durante l’Olocausto. Abbiamo incontrato il regista, Enrico Paolantonio, per sviscerare qualche retroscena di questa magica vicenda.
Qual è l’origine e da dove nasce l’urgenza di raccontare questa storia?
La storia nasce da Israel Cesare Moscati, autore del soggetto, deceduto purtroppo prima della fine del film. Si trattava di una paginetta breve, che possedeva già delle caratteristiche molto interessanti da lui sviluppate. Cesare ci teneva a raccontare questa storia, in parte reale, per quanto riguarda il lato storico del ciclista Gino Bartali (nella foto a sinistra, ndr), e in parte romanzata, attraverso quest’amicizia particolare tra due ragazzi. Per lui e per noi, era fondamentale mettere in risalto questo rapporto, che cresce all’interno di un contesto non facile, quello di Gerusalemme. Con entusiasmo, abbiamo iniziato a lavorare subito dopo aver ricevuto il soggetto, assieme all’autore, allo sceneggiatore Marco Beretta e alle varie produzioni dislocate in tutto il mondo.
Una coproduzione mista e disparata, quali difficoltà ha generato per la realizzazione?
Per i film di animazione, lungometraggi soprattutto ma ormai anche serie, è diventato tassativo fare coproduzioni: l’animazione ha un costo di realizzazione molto elevato, che necessita di ricevere un contributo anche da paesi esteri. La Rai ha finanziato la parte italiana, assieme al contributo statale, quindi a livello di comprensione generale non ci sono stati problemi. Non si trattava solo di investire un budget, bensì di svolgere un lavoro di portata notevole: la produzione irlandese ha lavorato molto sulle scenografie, mentre quella indiana ha curato l’animazione più nello specifico, quindi il controllo e gran parte del materiale artistico partiva dall’Italia, sia come direttive ma anche come supporto visivo.
Come e con quale tecnica è stato animato?
La parte di scrittura è stata svolta con l’autore e lo sceneggiatore in Italia, quindi anche gli stroyboard, il character design e le scenografie di base. Il design dei personaggi è stato realizzato da un disegnatore e fumettista molto noto, Corrado Mastantuono: lavorando già per Disney, ma anche per Bonelli, ha la capacità di passare molto facilmente dal disegno umoristico a quello più realistico. Ha creato la base dei personaggi, poi rivisitati, perché l’animazione è anche composta dai dettagli e dalle sottigliezze, che rischiano di perdersi in un ciclo produttivo molto ampio. Per quanto riguarda l’animazione vera e propria, in gran parte gestita appunto in Oriente, è prevalentemente in 2D, senza CGI, tuttavia ha seguito un processo diverso da quello solito su carta: è un misto di disegno in fase, cioè disegno per disegno, con elementi paperless, ovvero marionette di personaggi che vengono mosse grazie a software dedicati.
Che cosa rappresenta il serpente che perseguita il protagonista?
Avevamo la necessità di avere una parte del racconto che fosse più chiara, considerando che la tematica non era semplice da affrontare o raccontare. Dovevamo avvicinarci anche ai più piccoli, quindi abbiamo adottato lo stratagemma di inserire Sara, la bambina molto candida e diretta, che parla attraverso questi disegni onirici e questa vipera, che rappresenta l’odio che invade l’animo delle persone e le rende inconciliabili, anche se vivono nello stesso luogo. Una vipera che poi si trasforma in un muro, l’invisibile muro di divisione che separa le persone. Abbiamo lasciato questa parte fantasiosa e onirica proprio per far comprendere il concetto a un pubblico un poco più vasto.
Qual è il messaggio che vuole trasmettere?
È difficile voler lanciare un messaggio. Ciò che mi premeva era sensibilizzare attraverso delle emozioni e trasmettere al pubblico l’idea che c’è qualcosa di sbagliato, qualcosa che non va e che non funziona. Bartali dice una cosa importante e che forse racchiude il cuore del film, cioè che lo sport deve essere innanzitutto una scuola di vita e di solidarietà. Noi abbiamo cercato di essere equilibrati, parlando attraverso i personaggi e mostrando anche cose negative, poi lasciamo al pubblico la libertà di farsi il proprio giudizio. Ci rivolgiamo ai giovani, la classe dirigente del futuro, anche nella speranza che possano raffigurare una gestione politica migliore di quella attuale. Eppure le guerre esistono da sempre e forse raccontano un comportamento violento inscindibile dal genere umano. De André diceva: “Io ho cantato della guerra di Piero per decenni e non è ancora cambiato niente, però continuo a cantarla”.
I cinque bimbi di ‘Grandir’
‘Grandir’ di Séverine Barde, fuori concorso, è tra le proiezioni del mercoledì di Castellinaria. Alle 18.15 a Giubiasco va in scena un tuffo nel mondo dell’infanzia, l’avventura di cinque bambini molto piccoli e dei loro compagni di classe, in una scuola elementare situata in un quartiere di Ginevra con una presunta diversità socio-culturale. Poco prima, alle 14 e alle 16, ‘Mary e lo spirito di mezzanotte’ (2013, anch’esso fuori concorso), storia di una bimba di undici anni appassionata di cucina, film d’animazione di Enzo D’Alò.