L’intervista

Con Claudio Bisio in ‘L’ultima volta che siamo stati bambini’

Poetico, lieve, divertente e sì, femminista: è il suo esordio alla regia, in gara nella sezione Kids del 36esimo Castellinaria

Da sinistra, Italo (Vincenzo Sebastiani), Vanda (Carlotta De Leonardis) e Cosimo (Alessio Di Domenicantonio)
24 novembre 2023
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“Perché mi sputi?”, dice Riccardo (Lorenzo McGovern Zaini), figlio di commercianti ebrei. “Perché sei un ebreo”, gli risponde il rotondetto Italo (Vincenzo Sebastiani), figlio del federale Anacleto Barocci (Claudio Bisio); “Ma io sono Riccardo, ci conosciamo!”, dice il primo; “Embè? Mica può sputa’ solo agli ebrei che non conosce”, ribatte Cosimo (Alessio Di Domenicantonio). Quel ragazzino ebreo così biondo che a guardarlo “pare ariano”, dice che lui andrebbe anche a combattere per la patria; “È pure un ebreo balilla!”, commenta Italo. Insomma, Riccardo ha i requisiti per entrare nel gruppo e così l’orfanella Vanda (Carlotta De Leonardis), che ogni giorno sgattaiola da una crepa nelle pareti del convento e ci mette poco, tosta com’è, a farsi accettare dai tre amici.

La notte del 16 ottobre, il rastrellamento nazista del ghetto ebraico si porta via Riccardo e tutta la famiglia. Li hanno messi sopra un treno che da Roma Tiburtina si dice vada in Germania “ai campi di lavoro”, quel lavoro che, si sa, rende liberi. Italo è fiducioso, “capiranno che Riccardo è un ebreo normale”, e siccome i tre amici rimasti sono legati a lui da un patto di sputo (perché ‘di sangue’ fa ribrezzo), con la luce del giorno decidono d’incamminarsi sui binari, in direzione del treno. Sulle loro tracce si mettono il fratello di Italo, Vittorio (Federico Cesari) e Suor Agnese (Marianna Fontana), nel cui convento vive Vanda.

Inizia così ‘L’ultima volta che siamo stati bambini’, l’esordio alla regia di Claudio Bisio, ieri a Giubiasco per presentare al pubblico del 36esimo Castellinaria il film tratto dall’omonimo romanzo di Fabio Bartolomei, letto, amato, voluto: «Non era previsto che avrei fatto la regia – ci dice Bisio prima della proiezione –. Avevo soltanto comprato i diritti del libro. Poi, quando i miei coproduttori mi hanno visto così coinvolto, mi hanno spinto a fare da solo. Ho accettato con riserva: l’avrei diretto io soltanto se avessi trovato i bambini giusti. Li ho trovati e ho detto sì».

Partiamo da Anacleto Barocci, ‘membro del Gran consiglio fascista, consigliere e amico personale del Duce’. E milanista. Noto solo ora la tua somiglianza con ‘lui’…

Nel senso che sono un po’ mussoliniano? Me lo dicono da tanti anni, da quando ho perso i capelli, ma a parte la pelata, ci sono anche gli occhi, il naso, la mascella. Mi è sembrata un’occasione. Dicono che questa sia una parodia, ma guardando certi filmati del Duce mi sembra di essere stato addirittura iperrealistico. Lui comunque andava decisamente oltre.

Se ci sono dei binari e dei bambini, il rimando a ‘Stand By Me - Ricordo di un’estate’ di Rob Reiner è quasi d’obbligo, ma c’è pure del neorealismo, c’è Benigni…

‘Stand By Me’ è corretto, ci metto anche ‘La guerra dei bottoni’, ‘I Goonies’ e i molti film sulla Shoah da ‘La vita è bella’ a ‘Jojo Rabbit’, da ‘Train de vie’ a ‘Il ragazzo con il pigiama a righe’. Ci metto anche ‘Un sacchetto di biglie’, bellissimo film francese. Siamo partiti dalla storia, con Fabio Bonifacci, cosceneggiatore, abbiamo cambiato alcune cose, come la parte finale e poi mi sono rimboccato le maniche: con la pandemia di mezzo, ci abbiamo lavorato quasi 5 anni.

Come nei film che hai citato, la guerra fa capolino nella spensieratezza tipica della giovane età, in modo il più lieve possibile.

Sì, soprattutto nel cuore del film, quando la crudeltà si rivela. Non c’è un soldato, una divisa, una camionetta, un aereo. I miei coproduttori mi avrebbero messo a disposizione tutto, mi hanno anche suggerito di inserire qualche riferimento visivo più diretto, ma ho voluto che ci si dimenticasse della guerra come se ne scordano i bambini nel film. Certo, vanno a salvare il loro amichetto, ma si fanno prendere dalla tenda, dalle galline, dalla fame. In fondo scappano di casa, c’è complicità, è una storia di amicizia.

Quanto c’è della tua infanzia?

I giochi iniziali, una pistola di legno e alluminio che sparava palline di carta, cerbottane, fionde, cose pericolosissime che oggi sarebbero vietate dall’Unione europea. Una delle fionde usate nel film è la copia di quella che creò mio nonno con la fiamma ossidrica, un pezzo unico in modo che non si rompesse il manico, perché accadeva sempre. Come elastico, lui aveva usato il copertone delle ruote della bicicletta.

Provo a non svelare nulla. Il finale è triplo: la scena clou, poi un salto nel tempo e alla fine una canzone che piega le gambe, che dice “la storia dà torto e dà ragione”…

L’ho voluta anche quando non avevamo la sicurezza di averne i diritti. Sì, le parole raccontano, “nessuno si senta escluso”. È una canzone che ho sempre inteso come non ideologica, volevo che il film fosse altrettanto, fermo restando che la guerra è sempre orrenda, da entrambe le parti. Il libro è del 2018, la sceneggiatura parte prima della guerra in Ucraina, lungi da noi cavalcare quel che accade ora in Israele, lungi da noi essere sul pezzo, malgrado lo siamo comunque.

‘Stand By Me’ non ha una bussola come Vanda, che cava d’impiccio i maschietti rissosi. Magari non redimerà Vittorio, ma così è anche Suor Agnese che, per citare Fiorella Mannoia, è una ‘combattente’…

Se qualcuno dovesse mai dire che questo è un film femminista, sarò contento. Vanda è un’orfanella, con una sua furbizia tutta contadina. Carlotta De Leonardis era già bravissima in ‘L’Arminuta’. Della suora si capisce subito che ha un piglio oltre a una sua religione, che nell’espressione “il dio che conosco io vuole bambini felici” è la religione più giusta che ci sia.

Domani Giorgio Verdelli accompagna qui ‘Enzo Jannacci. Vengo anch’io’, film che ti vede tra coloro che lo ricordano. Posso chiederti un passaggio di consegne?

Mi si vedrà fare il tamburo, che è quello che mi chiese Enzo tanto tempo fa cantando ‘Prete Liprando’. In questi giorni è uscito anche ‘Io, noi e Gaber’, dove a intervistarmi è Riccardo Milani, tempo fa ne uscì uno bellissimo su Dario Fo. “Jannacci, Fo e Gaber”, anche se me l’avessi chiesto in tempi non sospetti, ti avrei risposto così, da ognuno ho preso qualcosa e da Jannacci la follia imprevedibile. Quando Gaber cantava “la realtà è un uccello” e “devi immaginare da che parte va”, cantava di lui. Un anno Enzo venne a ‘Mai dire gol’; io facevo il dottor Imbruglia, un luminare della scienza medica: gli proposi di improvvisare sulla medicina cialtrona e lui disse: “Mi vesto da meccanico!”. Indossò una tuta, si sporcò le mani di grasso e si mise a parlare degli organi del corpo umano come fossero parti di un’auto, un pezzo così surrealista che a sbobinarlo diventerebbe un monologo infinito…


Anacleto Barocci, fascista e milanista