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Vito Robbiani e il senso della vita

In un documentario presentato al 36esimo Festival del Cinema Giovane il regista affronta le questioni fondamentali dell'esistenza

Vito Robbiani con la figlia
(@Ti-Press)
24 novembre 2023
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"Qual è il senso della vita?". Come reagireste, se vi ponessero questa domanda? Scoppiereste a ridere? Ci pensereste su? Vi affidereste alla religione o concludereste che non c’è niente da capire? Secondo Henry Miller è proprio perché la vita non ha alcun senso che bisogna trovargliene uno: già, ma quale? Vito Robbiani si pone la domanda da quando ha l'uso della ragione: alla fine ne ha ricavato un documentario, ‘Il senso della «mia» vita’, proiettato giovedì 23 novembre in prima visione svizzera a Castellinaria. Un film che è uno scrigno di tante risposte, come se la continua ricerca fosse l'unica reazione possibile a una domanda ineludibile. Domanda che ci poniamo da adolescenti, mettiamo da parte crescendo e infine recuperiamo quando abbiamo oltrepassato il mezzo del cammin di nostra vita e, più degli anni che passano, sono le morti delle persone care a farci sentire vecchi. Robbiani ha perso degli amici speciali e un padre carismatico, il noto giornalista e politico Dario.

Vito Robbiani, questi lutti sono stati spunti di riflessione?

È una domanda che non mi ha mai abbandonato, e infatti avrei voluto fare questo lavoro già da vent'anni, ma è vero che quando ci sono dei forti momenti di separazione questa domanda torna. La nostra vita, del resto, è tutto un fare i conti con le separazioni, non solo luttuose: ci separiamo dagli amori, dagli amici, sciogliamo comitive alla fine di un viaggio e ci rimane un desiderio, parola che per me va ricondotta alla sua etimologia. Non bisogna guardare le stelle, i ‘sidera’, ma la strada, tenendo i piedi per terra: solo così potremo continuare a cercare a dare un senso alla vita. Mi vergogno ancora un po’ di questo titolo, ma è un imbarazzo che va rotto, perché questa domanda ci aiuta a vivere.

Il titolo fa pensare a ‘Il senso della vita’ dei Monty Python, un film comico.

Inframmezzare la serietà complessiva con qualcosa di divertente è stata un'idea del montatore Adriano Schrade. Ma dipende anche dal fatto che ho cercato di stare al livello terreno della domanda, evitando aspetti filosofici molto alti. Ho voluto capire come viene percepita in questa epoca una domanda che continua a essere un'ottima compagna di vita e di viaggio e ci aiuta a stare meglio al mondo e a compiere scelte più consapevoli.

All'inizio del film ipotizzi una risposta: "Un bisogno di avere delle prove del mio esistere".

Ma ho inserito anche un frammento in cui Woody Allen osserva che ogni cento anni è come se qualcuno tirasse uno sciacquone, facendo piazza pulita di quelli che ci sono stati prima, perché in realtà quella di lasciare testimonianze è un'illusione. Neanche le tombe resistono al tempo.

A proposito: la prospettiva di un dopo, la spiegazione religiosa sono poco considerate nel film. Per tua sorella Lara, che dedica la vita agli ultimi, bisogna impegnarsi per un paradiso in questa terra; i tuoi allievi al Cisa di Locarno, che hai invitato a girare ognuno un piccolo filmato sul tema, ignorano la possibilità di una vita ultraterrena che giustifichi questa.

Però c’è un frate, che era amico di mio padre, che parla della vocazione, e c'è una nonna, intervistata da una ragazza del Cisa, che cita la religione. La verità è che la questione religiosa mi interessa poco. Sono più incuriosito dalla questione dell'umanità.

Uno dei tuoi allievi confessa: "Uso la vita per distrarmi dalla sua inutilità".

È una risposta che mi ha colpito. Si vede che questi ragazzi hanno riflettuto parecchio sulla faccenda. Si sono sentiti tutti coinvolti perché toccavamo un argomento fondamentale. I loro lavori sono l'inizio o la continuazione di una ricerca che d'ora in avanti potranno svolgere usando il loro mezzo preferito.

Compito che hanno preso seriamente, ma dal documentario emerge che la domanda sul senso della vita suscita molta ilarità. Come mai?

Il film inizia con una risata e finisce con una risata. Sembra che questa domanda sia troppo per le nostre possibilità. È come se non fosse compito nostro rispondere. Questa sproporzione all'inizio fa ridere, ma se si supera questo impatto iniziale si può provare a scendere in profondità.

Dalle risposte dei tuoi intervistati, come lo scrittore Björn Larsson, sembra che col passare degli anni il punto fondamentale non sia tanto la ragione ultima, quanto piuttosto: cosa posso fare col tempo che mi rimane?

E infatti mia madre mi ha sorpreso, quando mi ha detto che non si pone la domanda, ma cerca di fare le cose in un certo modo. A questo punto potrebbe avere ragione la mia compagna, quando sostiene che il tema in realtà è una mia ossessione.

Da un punto di vista del metodo, invece potrebbe avere ragione quel tuo allievo che scompone cartesianamente la domanda in quattro questioni fondamentali. Te le ripropongo, una per una. Chi siamo?

Degli esseri viventi.

Da dove veniamo?

Dal grembo di nostra madre.

Che cosa dobbiamo fare?

Quello che ci sembra giusto.

E dove stiamo andando?

Verso la fine.