Per celebrare l’anniversario, il museo di Bellinzona presenta la mostra ‘Condividere l’arte’, un viaggio tra donazioni, mecenati e collezioni private
Quando un museo raggiunge un anniversario importante – come è il caso di Villa dei Cedri, nata come Civica galleria d’arte giusto quarant’anni fa – c’è sempre il dubbio su cosa celebrare: la collezione? Il lavoro di ricerca e valorizzazione? La sede espositiva? La rete culturale costruita sul territorio? I musei sono istituzioni complesse e Villa dei Cedri ha deciso, innanzitutto, di raccontare questa complessità con la mostra “Condividere l’arte. Tra universi pubblici e privati. Bellinzona e oltre", aperta fino al 3 agosto 2025.
La mostra, curata dalla storica dell’arte Manuela Kahn-Rossi, propone un’inedita ricostruzione del percorso che ha portato alla nascita del museo cittadino e della sua collezione, che oggi conta oltre settemila opere. Alla mostra si accompagna un volume pubblicato dalle Edizioni Casagrande, che approfondisce la storia del museo con saggi e contributi di studiosi; a questa pubblicazione si accompagna un ricco calendario di eventi collaterali che includono visite guidate tematiche, concerti e attività didattiche.
Come ha spiegato la direttrice del museo Carole Haensler, l’idea alla base di questo progetto espositivo era evitare la classica mostra celebrativa con una selezione delle opere più significative della collezione. Al posto del corrispettivo museale del ‘Best of’, si è deciso di indagare e approfondire il ruolo dei privati e il tessuto sociale e culturale che ha permesso la nascita e lo sviluppo del museo. “Condividere l’arte” esplora i molti modi in cui le iniziative private hanno contribuito e ancora contribuiscono alla promozione dell’arte nella sfera pubblica. «Non è possibile capire cosa è successo per un museo e per la storia museale culturale del territorio partendo da un’ottica che guarda solo dal museo, dall’istituzione verso il privato» ha spiegato la curatrice Kahn-Rossi.
Quattro strati
Il risultato è una mostra stratificata, con quattro diversi tipi di sedimenti che attraversano tutto il percorso espositivo. Il primo riguarda proprio la villa e il parco. Prima di diventare museo, Villa dei Cedri era una residenza: dalle origini come casolare immerso nei campi di Ravecchia nel 1830, fino all’acquisto da parte del banchiere Arrigo Stoffel nel 1931, che la utilizzò inizialmente come residenza estiva e poi, dal 1965, vi si stabilì definitivamente con la moglie. Ciascun proprietario ha modificato la villa secondo il proprio gusto, rivelando attraverso queste trasformazioni la propria sensibilità artistica.
Il secondo strato riguarda la collezione del museo che, come detto, oggi conta circa settemila opere e la cui identità si è definita nel tempo. Il 60 per cento di questo patrimonio proviene da donazioni private, a partire dal primo dipinto donato nel 1869 da Johann Varrone fino alle più recenti acquisizioni di arte contemporanea. L’interesse per il paesaggio, particolarmente quello ticinese, emerge come uno dei fili conduttori della collezione proprio partendo dalle donazioni.
Abbiamo poi la storia museale di Bellinzona, a partire dal Museo civico creato nel 1912 e che aveva sede nel castello di Montebello (1912), nato in seguito allo sviluppo della vita culturale avvenuto in particolare dopo l’arrivo della ferrovia nel 1870, anno che costituisce un po’ il punto di partenza temporale di questa mostra. La storia dei musei bellinzonesi è raccontata – grazie anche a delle linee temporali che troviamo nei corridoio – mettendola in relazione con quella delle altre istituzioni ticinesi e svizzere.
Infine, l’ultimo strato della mostra è rappresentato dai protagonisti privati: mecenati, amatori d’arte, studiosi, collezionisti e associazioni hanno contribuito in modo determinante alla crescita culturale della città.
Dalla ferrovia all’arte contemporanea
Il percorso espositivo si apre con una introduzione sull’importanza della ferrovia come simbolo di mobilità e cultura per Bellinzona, rappresentato da un busto del sindaco Giovanni Jauch, un capitello tardogotico appartenente alla collezione Gervasoni e un minerale raccolto da Carlo Taddei. Si prosegue poi con il ruolo delle famiglie patrizie e dei commercianti provenienti dall’Italia nella vita culturale cittadina e il contributo dato dai bellinzonesi alla creazione delle collezioni del Museo nazionale svizzero a Zurigo, soprattutto attraverso la vendita di reperti archeologici e opere d’arte. Una sala è dedicata ad Antonio Ciseri e alla mostra organizzata nel 1955 da Romano Broggini, mentre un’altra presenta il lascito del Dr. Emilio Sacchi. La veranda della villa ospita oggetti e opere appartenuti agli ultimi proprietari privati, la famiglia Stoffel, che arredava la villa con tappezzerie, quadri, tappeti e soprammobili, tra cui dipinti di artisti come Luigi Rossi.
Salendo al primo piano, si entra in pieno Novecento iniziando dal bozzetto in gesso della celebre foca (che dal punto di vista zoologico sarebbe in realtà un’otaria) di Remo Rossi. Abbiamo poi una sala dedicata ad Athos Moretti, imprenditore farmaceutico, importante collezionista e mecenate, che donò diverse opere al Museo Villa dei Cedri e all’Antikenmuseum di Basilea, e un’altra a Matteo Bianchi, primo direttore del museo, e alla sua Casa Museo Luigi Rossi a Tesserete. Particolarmente interessante la ricostruzione del “Gruppo di Friburgo” si illustra il ruolo di intellettuali come Gianfranco Contini, Giorgio Orelli, Fernando Bonetti e Romano Broggini, che svilupparono una sensibilità per l’arte e collezionarono opere di artisti ticinesi e italiani.
Radici profonde
Il progetto “Condividere l’arte” è il risultato di un importante lavoro di ricerca, condotto tra gli archivi e in dialogo con collezionisti e donatori. Queste ricerche hanno portato alla luce diversi materiali inediti, come alcune lettere di Vincenzo Vela, e hanno permesso di ricostruire alcune storie dimenticate. Villa dei Cedri ha «radici molto più profonde di quanto il pubblico si sia reso conto in questi quarant’anni» ha commentato la direttrice Haensler. Una ricerca che chiaramente non si conclude con questo progetto e anzi, la speranza è che la mostra e la pubblicazione stimolino ulteriori ricerche.
È inevitabile che queste “radici profonde”, attraversando i quattro strati visti all’inizio, portino a una varietà e diversità di opere esposte che richiede anche a chi visita il museo uno sforzo teorico non banale. Raggruppare dipinti, sculture, incisioni, reperti archeologici e documenti in un percorso storico-tematico che segue sostanzialmente le collezioni dei donatori porta ad accostamenti curiosi e questo già nella prima sala, con un capitello tardogotico e il busto di un politico dell’Ottocento, ma in altre sale abbiamo un’anfora attica e un dipinto di Luigi Rossi. Senza una attenta lettura della guida (sedici pagine fittamente scritte) o una visita guidata è inevitabile perdersi tra opere così diverse per epoca, stile e importanza, senza cogliere le connessioni tra le opere e il loro significato all’interno del percorso.