Il Museo d’arte della Svizzera italiana mette in dialogo le opere di Ernst Ludwig Kirchner con quelle del gruppo Rot-Blau presenti in collezione
Nel 1917 l’artista Ernst Ludwig Kirchner arrivò a Davos da Berlino. Non era l’unico soldato tedesco – Kirchner si arruolò volontario poco dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale – che arrivava nella città grigionese per curarsi e anzi, Davos era quasi diventata una colonia tedesca, con tanto di prevedibili retroscena di spionaggio internazionali. Non è il caso di Kirchner, che dopo pochi mesi nell’esercito venne esonerato per un grave esaurimento nervoso e arrivò a Davos dopo infruttuosi ricoveri in altri sanatori tedeschi. Nei Grigioni “trovò ospitalità e cure amichevoli per guarire oppure per morire” e queste sue parole, scritte dieci anni dopo l’arrivo a Davos, suonano ironicamente amare per noi che conosciamo il resto della storia: Kirchner effettivamente guarì, la sua attività artistica proseguì percorrendo nuove strade e indicando la via da percorrere a una nuova generazione di artisti; ma nel 1938 trovò anche la morte, suicidandosi per il timore che la Germani nazista – che aveva rimosso le sue opere dai musei in quanto “arte degenerata” – avrebbe presto invaso la Svizzera.
Ma questa è, appunto, una storia che conosciamo noi e che, nella mostra che il Museo d’arte della Svizzera italiana dedica a Kirchner, ritroviamo guardando le ultime voci della sua biografia riportata nel foglio di sala. Questa esposizione si concentra infatti sui suoi primi anni grigionesi, quelli della guarigione, quelli di un nuovo stile e quelli di alcuni giovani artisti basilesi, quali Hermann Scherer, Albert Müller e Paul Camenisch, che ispirandosi all’opera di Kirchner fondarono il gruppo Rot-Blau, a lungo attivo nel Mendrisiotto e del quale il museo ha diverse opere in collezione. Il progetto “Ernst Ludwig Kirchner e gli artisti del gruppo Rot-Blau” – curato da Cristina Sonderegger, al primo piano del Lac dal 17 novembre al 23 marzo 2025 – nasce appunto dall’idea di mettere in dialogo le opere di Kirchner realizzate tra il 1918 e il 1926 con quelle della collezione, in un riallestimento dell’esposizione permanente ‘Sentimento e Osservazione’, nel quale abbiamo peraltro l’occasione di vedere alcune tele praticamente inedite, come l’interessante ‘Mendrisiotto’ di Camenisch, raramente esposto in quanto realizzato sul retro del più conosciuto ‘L’uomo nel vigneto’.
Chi visita l’esposizione, arrivando ai dipinti della collezione del Masi dopo le opere dell’artista tedesco, ha così modo di vedere a pochi passi di distanza l’influenza di Kirchner, in particolare nel trattamento dei paesaggi boschivi.
Siamo, come detto, nei primi anni Venti: la condanna ufficiale da parte del regime nazista delle opere di Kirchner è lontana, ma è già diffusa una certa ostilità verso quella che per molti era già “arte degenerata”. E del resto, in quanto artista tedesco, per Kirchner era praticamente impossibile trovare estimatori – e acquirenti – francesi, vista la rivalità anche culturale tra i due Paesi. Forse per questo nel 1920 Kirchner, che Sonderegger definisce nel catalogo “accurato promotore di sé stesso”, capì che non trovando un critico francese in grado di capire la sua opera, l’unica era crearlo, questo critico: arrivò così Louis de Marsalle, pseudonimo – per non dire falsa identità – al quale delega diverse (auto-)analisi della sua opera. In una lettera, di cui troviamo un estratto sempre nel catalogo, Kirchner si felicita di aver finalmente trovato un critico che comprende appieno la sua arte.
È appunto de Marsalle a scrivere che Kirchner arrivò a Davos “per guarire oppure per morire”, in occasione di un’esposizione in una galleria a Zurigo. Ma le due mostre principali di Kirchner in Svizzera sono state quella del 1923 alla Kunsthalle di Basilea, una collettiva che includeva opere di Kirchner, e una personale al Kunstmuseum di Winterthur l’anno successivo.
Le opere esposte al Masi sono di fatto un distillato di queste due mostre che ebbero un impatto molto diverso: la prima fu accolta con grande entusiasmo, in particolare dai giovani artisti e critici tra cui, appunto, Scherer e Camenisch che successivamente andarono a Davos a trovare l’artista. La seconda, probabilmente anche per il diverso ambiente culturale di Winterthur, venne accolta molto negativamente. “Raramente una mostra ha infastidito i visitatori come quella attuale” scrisse su un giornale locale non un critico incattivito, ma lo stesso organizzatore dell’esposizione. Il collezionista Georg Reinhart offrì uno dei dipinti di Kirchner in dono al museo, che ovviamente rifiutò.
Con l’arrivo a Davos, Kirchner come accennato cambia stile. Niente più scene urbane, come nelle prime opere, ma paesaggi alpini e vita rurale – unica eccezione, ‘Italienische Bahnarbeiter’ che mostra operai italiani al lavoro per la ferrovia retica –, ma non è solo una questione di soggetti e ambientazione: cambiano i colori, più luminosi e puri, cambia la geometria, con prospettive distorte e proporzioni alterate.
Ne è un esempio la prima opera che troviamo esposta: ‘Alpküche’ (Cucina alpestre) del 1918, che rappresenta l’interno della casetta sulla Stafelalp sopra Frauenkirch, affittata da Kirchner. Interessante anche ‘Alpaufzug’ (Salita all’alpe), uno dei primi dipinti di grande formato dedicati al tema alpino, con le proporzioni di case, animali e persone apparentemente incoerente.
Molto interessante ‘Bauernmittag’ (Il mezzogiorno dei contadini), una delle opere confiscate ed esposte nella mostra “Entartete Kunst” (Arte degenerata) a Monaco nel 1937: sulla tela troviamo infatti un gruppo di contadini rappresentati in una maniera che contrasta con gli ideali della vita contadina promossi dal partito nazista.