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Figure, nature morte e il Ticino di Karl Hofer

Dieci anni di Museo Castello San Materno da celebrarsi con una selezione di dipinti e opere del pittore tedesco, fino al 29 settembre ad Ascona

Paesaggio ticinese (Caslano), 1932 (?) - Olio su tela, 70,3 x 100 cm
(Sammlung Arthouse/ProLitteris Zurich)
8 giugno 2024
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È un flashback, lungo e plurimo, che ha a che fare con il corpus delle opere esposte e non di meno con la struttura che le ospita. Per festeggiare i suoi primi dieci anni di vita, il Museo Castello San Materno di Ascona ha scelto il pittore tedesco Karl Hofer (1878-1955), tra gli artisti figurativi del Novecento più prestigiosi, tra Espressionismo e Nuova Oggettività. Hofer è nome che riporta agli esordi espositivi del nuovo San Materno, dopo la ‘riconversione’ da rudere abbandonato a piccolo gioiello nel verde. La mostra – che per intero è ‘Karl Hofer – Figure, nature morte, paesaggi’ –, si è aperta lo scorso 25 maggio, è stata presentata alla stampa lo scorso giovedì e sarà visitabile fino al prossimo 29 settembre.

Oblio e rinascita

“Era una mattina della primavera del 2011 quando Urs Ris mi chiama in studio per informarmi che Hubertus Melsheimer, che stava cercando una sede per esporre una collezione prestigiosa di una Fondazione, era interessato al Castello San Materno (da anni in disuso), ed era pronto a contribuire al suo restauro. Una notizia che aveva dell’incredibile”. Nella documentazione che accompagna la presentazione della mostra, l’ex sindaco di Ascona Luca Pissoglio affida a uno scritto i ricordi personali della rinascita del San Materno, ripercorrendo gli incontri successivi con i membri della Fondazione per la cultura Kurt e Barbara Alten fino alla visita a Beatenberg, una proprietà della Fondazione, all’interno della quale fu mostrata la collezione. I passi successivi portano al 4 aprile del 2014, giorno dell’inaugurazione.

La storia più recente dell’edificio, la cui parte più antica risale al VI-VII secolo (la torre vedetta edificata dai longobardi, oggi inglobata parzialmente nell’abside della chiesa romanica dedicata a San Materno) è forse nota, ma per sommi capi è la seguente. Nel XII secolo il Castello diviene fortezza e insieme luogo di villeggiatura della famiglia De Castelletto; conquistato dagli svizzeri a inizio 1500, sarà per tanto tempo uno dei molti castelli abbandonati in terra ticinese. Nel 1918 il San Materno passa nelle mani dei coniugi Paul Barach e moglie Elvira, che affidano all’architetto berlinese Paul Rudolf Henning, tra le altre cose, la realizzazione del salone per gli spettacoli della figlia Charlotte, danzatrice; più tardi, l’architetto Carl Weidemeyer costruirà per Charlotte Bara l’attuale Teatro San Materno. Con la morte della danzatrice, il 7 dicembre 1986, il Castello torna nell’oblio per riemergere giusto dieci anni fa. «È un luogo che, inevitabilmente, chiama in causa l’energia», dice Mara Folini, direttrice dei Musei comunali d’arte di Ascona, nell’introdurre ‘Karl Hofer – Figure, nature morte, paesaggi’, testimone di un contratto pubblico-privato fatto anche di «amicizia e comprensione, valori che ancora esistono, e che non sono solamente utopie» (benché ci si trovi dalle parti del Monte Verità, collina delle utopie).

Folini aggiunge un dettaglio ai ricordi di Pissoglio sul giorno dello svelamento della collezione, ovvero la sorpresa per il forte legame degli artisti con Ascona e più in generale con il Ticino. Hofer, nello specifico, in questo cantone arriva negli anni Venti da Berlino, all’apice del successo, dopo averlo visitato per la prima volta nel 1918; nel 1925 vi trascorre l’estate e nel 1931 compra casa sul Lago di Lugano. Delle molte tele paesaggistiche raffiguranti un Ticino non ancora ‘cementificato’, in mostra vi è una veduta di Caslano e un ‘Paesaggio nei pressi di Lugano’.


Sammlung Arthouse
La ticinese, 1940 - Olio su tela

“… il Sud è sempre stato per me una seconda patria spirituale e una delle basi del mio lavoro” (Karl Hofer, 1953)

Il Ticino è una parte della vita Di Hofer, riassunta da queste 29 opere tra dipinti e lavori su carta raramente esposti, provenienti dalla Fondazione Josef Müller del Kunstmuseum Solothurn, dalla Sammlung Arthouse, da una raccolta della Germania settentrionale e dalla collezione privata di Frank Brabant a Wiesbaden. Nel percorso che dalle figure passa per le nature morte e arriva al paesaggio, l’accostamento tra diverse fasi creative di Hofer è scelta di Harald Fiebig, curatore della mostra, che nella breve visita guidata ripercorre le tappe di una vita d’artista resa inizialmente possibile dall’amicizia con il poeta svizzero Hans Reinhart (1880-1963), discendente di mercanti appassionati d’arte, collezionista e mecenate. La formazione di Hofer, sempre attento a conservare una propria indipendenza artistica, lontano da correnti e salotti, ha punti cardine in Roma, città nella quale assorbe l’antichità e il Rinascimento, e Parigi, dove s’infervora per Delacroix, e Cézanne (il bell’‘Autoritratto con modella’ del 1909, a pian terreno). Altra ispirazione arriva dall’India, terra che Hofer dipinge soltanto una volta tornato in Europa.

Rifugio e perdita

L’apice del successo, si diceva. Negli anni berlinesi, periodo durante il quale la sua pittura si popola di donne, nudi, arlecchini (in mostra) e clown, Hofer ha un posto di docente nella locale Accademia delle Belle Arti, dalla quale viene licenziato con l’avvento del nazionalsocialismo: parte delle opere vengono confiscate dai musei tedeschi e il suo atelier è distrutto da un bombardamento, con perdita di dipinti, disegni, schizzi e quaderni d’artista. Karl Hofer morirà il 3 aprile del 1955, dopo che la figura umana, sempre al centro della sua produzione, avrà subito progressive trasformazioni, deformazioni, astrazioni (la splendida ‘Figura lunare’ del 1952). Il Ticino è anche una ferita: dopo il 1946 non rivedrà più la sua casa sul lago, confiscata e messa all’asta in base all’Accordo di Washington dello stesso anno, che regolamenta la liquidazione dei beni tedeschi in Svizzera.

Dalle parole dell’artista, nell’estratto dal catalogo E.A. Seemann Verlag: “Il fatto che gli Stati vincitori che lottano contro l’ingiustizia e la violenza mi abbiano portato via la casa di campagna nel cantone svizzero del Ticino, in un Paese fino ad allora neutrale (...) rientra indubbiamente in questo nuovo mondo di assurdità. Non mi importa della perdita materiale, che può essere rimpiazzata, ma di quella spirituale, perché il Sud è sempre stato per me una seconda patria spirituale e una delle basi del mio lavoro”.


Josef Müller Stiftung, Kunstmuseum Solothurn
Autoritratto con modella, 1909