Dalla mostra genovese aperta sino al 27 aprile, il volume edito da Casagrande, primo bilancio di una vita d’artista regolata dal contrasto
Classe 1972, per sguardo e postura è un contrasto (di quelli che lui tanto ama) tra il gigante buono e un poeta maledetto, dove il maledetto se lo portano via una certa grazia di fondo e la voce a tratti deandreiana, ma senza essere noiosa. In questo aprile dalla doppia faccia, Luca Mengoni si divide tra Bellinzona – in quanto nativo di, e perché qui vive e lavora – e Genova, città che ospita la mostra ‘Il rovescio dei rami’, personale aperta alla Sharevolution Contemporary Art di Palazzo Andrea Doria sino al prossimo 27 aprile. A inizio mese, nella stessa sede, il saggista italiano Felice Accame ha presentato ‘Alberi, fiori, montagne e altre cose 2008-2024’, pubblicazione edita da Casagrande che accompagna la mostra. Nel libro, a scrivere degli ‘Appostamenti in un paesaggio naturale’ di Mengoni, quelli che hanno portato ad alberi, arbusti, fiori e montagne (e altre cose) esposti, è lo scrittore Matteo Terzaghi. Di Mengoni scrive anche il ginevrino Alexandre Chollier, uomo di letteratura, geografia e geopoetica, qui applicate all’uomo e all’artista.
«Mi sono reso conto di avere raccolto negli anni una serie di materiali attorno al tema, un corpus che poteva essere oggetto di pubblicazione», ci dice Luca porgendoci le cento belle pagine che sono il primo bilancio di una vita vissuta nell’arte. «Conosco Matteo Terzaghi da tanti anni, ci frequentiamo, ci scambiamo opinioni, passiamo del tempo insieme», spiega. «Di fronte a ogni nuova forma creativa che non riesco a definire in modo preciso, di fronte a queste mie ‘fermentazioni’, parlo con lui più che posso». Di quell’intimità Terzaghi regala ampio e creativo estratto, entrando un poco anche nella nostra, di intimità, quando confrontati all’atto di Mengoni, che chiama «coincidenza naturale» l’essersi immaginato un testo di Terzaghi dentro un volume di Casagrande, editore «che da tanto tempo dedica belle pubblicazioni al mondo dell’arte».
E dunque: “Cosa cerca Luca Mengoni con i suoi appostamenti tra i cespugli di rosa canina o altri intrichi di rovi, tra steli e fiori appassiti indistinguibili dalle loro ombre, o ai piedi di un castagno o di una betulla, nel fitto del bosco o sotto una pianta isolata?”, si chiede Terzaghi, provando a dare forma e contenuto tanto al “senso di attesa” che quegli appostamenti producono in lui e in noi, quanto alla natura non naturalista del Mengoni, tanto meno realista, pur nel dettaglio che a volte rasenta l’ossessione, un lavoro benevolo e sconfinato che lo impegna «per ore a fare puntini neri col carboncino». Accade, per esempio, negli alberi di grandi dimensioni che occupano gli altrettanto grandi spazi delle sale genovesi, in un punto di vista che chiama/propone il desiderio di arrampicarvisi. In questo, molto gioca la tridimensionalità data dal disegno piegato su sé stesso in modo che i rami s’imprimano sull’opposto, in tono di grigio, rovesciando la prospettiva dell’immagine e ottenendo maggiore e decisiva spazialità. Chiamando in causa le ‘altre cose’ del titolo del libro, l’albero è complementare alla figura della scala, olii su tela in serie di tre, appositamente realizzati per la Sharevolution. Visto come mediazione tra terra e cielo, l’albero di Mengoni conduce idealmente, ma a ritroso, verso ‘Il luogo delle nuvole’, mostra del 2022 al Museo MeCri di Locarno, capovolgendo l’ordine della mediazione.
‘Rosa rosa’; calcografia, héliogravure, 2024, 30x40 cm (lastra), 45x57 cm (carta)
“Creo le immagini separatamente e poi le associo tra di loro o le dispongo nelle mostre, in modo che si crei una tensione. Le due immagini separate trasmettono un significato o un’ipotesi di significato, ma se le associo questo può cambiare molto. L’idea di contrasto governa i miei lavori”. Parole di Mengoni a Ticino7 nei giorni ‘nuvolosi’. «Spesso funziona così, cerco il contrasto, i contrari, il grande e il piccolissimo, il complicato e il semplicissimo», detto con parole di oggi. Il contrasto, a Genova e nel libro, è nei dittici (per uno di essi, in cui all’albero è affiancata una casa disegnata con tratto infantile, Terzaghi chiama in causa Pinocchio) ma anche nella contrapposizione del mastodontico di rami e fronde (3,2 metri per 2,4 le dimensioni massime) a sei minuscole incisioni, cinque héliogravuure e una puntasecca, realizzate nell’atelier di Arno Hassler a Cremines (Be) per la mostra ‘La scia del Monte ou les utopistes magnétiques’, al Musée des Beaux Arts di Le Locle (Ne), dove il Monte è Verità. «Sono piccole fotografie di montagna scattate con lo smartphone, mentre me ne vado a spasso. Quando c’è la nebbia, alcuni colli del Bellinzonese si vedono in un modo insolito; isolati dalle montagne circostanti, sembrano vette più gloriose: (indicandole una a una, ndr) questo sembra il Salève, questo il Niesen, questo lo Jungfrau, e invece sono monti senza nome, tutti qui intorno». Con la tecnica ottocentesca ivi applicata, le montagne acquistano storicità.
Altre héliogravure, provenienti anch’esse da Cremines, ci regalano esemplari di rosa canina realizzate impressionando la lastra calcografica di rame attraverso un castello di vetri intervallati dai rami, registrando l’ombra che gli stessi proiettano. «È un tentativo di registrare la realtà senza passare attraverso la fotografia, è il provare a giungere a un reale solamente attraverso la luce». Altre rose canine, dipinte con le dita su carta poi foderata su tela, giungono dalla personale ‘Passi nel buio’, nel 2019 tra Venezia, Ascona e Martigny, dalla ‘Cantilene’ alla galerie Mottier di Ginevra e dalla ‘Natura-Struttura’ alla galleria Folini Arte a Lugano, più quelle ‘digitate’ appositamente per Genova: «Mentre le rose canine nella realtà non sono altro che spine e rovi, dunque ostacoli che si è costretti ad aggirare. Le dipingo con le dita perché non posso toccarle».
Dalle fotografie nel bosco sui monti di Claro, anno 2008, fino all’installazione site-specific ‘Tu sei un albero io sono un sasso’ del 2014 a Gnosca, e in mezzo anche il tempo presente, ‘Alberi, fiori, montagne e altre cose’ raccoglie il lavoro svolto attorno al soggetto dell’albero con la ‘geografia’ delle relative sedi espositive, che si tratti di pittura, incisione o disegno. O scultura, come gli ‘Steli’, rametti di legno fatti seccare e poi fusi in bronzo, destinati e divenire sculture pensili ma, soprattutto, destinati a essere ‘impronta’. «L’impronta non è un’immagine come un’altra, è un’immagine che conferisce a chi la guarda la certezza che l’elemento che ha lasciato l’impronta è stato lì. L’idea che qualcosa o qualcuno imprima la propria forma mi attira e m’interessa». Interessa anche noi che, generalizzando un poco, vediamo in questo il senso dell’arte. “Io non voglio condurre nessuno da nessuna parte; anzi, lo spettatore va dove vuole e, se ciò che faccio gli potrà servire in qualche modo, questo non può che farmi piacere”. Questo, ancora, diceva Luca Mengoni nei giorni delle nuvole. Guardando le cose dalla cima dell’albero, il concetto non cambia.
‘Albero-casa’, bronzo e legno di ciliegio, 2021