Morì 23enne. In un’epoca in cui alle donne non era consentito, provò a vivere d'arte. A Rancate, dal 26 marzo, si confronta con le artiste del suo tempo
Ce ne andiamo da Rancate con un pensiero: di artiste in Ticino, ma artiste che con l’arte ci campavano, un tempo ve n’era una soltanto e non era sposata. Questo nella retrograda convinzione che una volta maritate, esse dovessero dedicarsi anima e corpo alla famiglia e ai propri mariti che, loro sì, potevano continuare a fare vita d’artista. Una legge del 1934 addirittura ricordava alle insegnanti che l’unirsi in matrimonio significava abbandonare la professione. Eccezion fatta per Regina Conti (1888-1960) e poche altre, le aspiranti artiste erano costrette a sostentarsi con l’insegnamento o, meglio per loro, godere della fortuna del venire da famiglie benestanti, o dell’avere sposato un buon partito, meglio ancora se buonissimo.
Si parla di anni 40, quelli nei quali si è aperta e chiusa la breve parabola artistica di Sylva Galli, morta 23enne dopo una breve vita consacrata all’arte. La Pinacoteca Züst di Rancate le dedica la mostra che si apre martedì 26 marzo e che si chiuderà l’8 settembre. Inserita nel filone delle rassegne dedicate alle donne artiste, si accompagna anch’essa a uno sguardo più ampio sulle artiste coetanee di Galli, anno più anno meno. Ecco perché quella curata da Mariangela Agliati Ruggia e Giulio Foletti, a fare gli onori di casa nell’incontro di presentazione, prende il titolo di ‘Sylva Galli (1919-1943) e le artiste del suo tempo’.
Se “la pittura faceva parte della buona educazione femminile”, ricorda Foletti, Sylva Galli cerca di smentire l’assunto contrapponendo uno status di donna libera che un giorno attirerà su di sé le attenzioni del ‘femminismo progressista’, che in Sylva vedrà colei che si afferma contro la malattia e contro tutto e tutti, artista pura per quel che le è dato di vivere e al di là del provenire anch’ella da un contesto agiato. “La famiglia Galli sposò in pieno il suo desiderio e il suo modo di fare arte”, spiega Agliati Ruggia. “La sua è una presenza/assenza nel panorama artistico ticinese, che commuove per la tenacia, la ferocia, la voglia di dipingere. Era presa dal sacro fuoco dell’arte”. Un ardere che la portò a realizzare 150 dipinti in pochi anni, forse nella consapevolezza che la sua vita non sarebbe stata troppo lunga. Tenace è stato anche il ricordo della famiglia, cui si deve gran parte della fortuna post mortem della giovane. “Certo, il cognome Galli è un cognome importante, ma importanti critici di arte si sono scomodati per lei”, specifica la curatrice, e la presenza di alcune sue opere a Palazzo Pitti a Firenze e alla Galleria d’Arte Moderna di Roma “non possono essere il frutto di pressioni”. Anzi, la strenua difesa dell’eredità artistica di Sylva Galli alla morte dei genitori, la ferma volontà che le opere restassero in famiglia, tramandate di discendente in discendente, se da un lato hanno reso più facile reperire il corpus in mostra alla Züst, dall’altro (il divieto di vendita a terzi) ne hanno limitato la trasmissione. È questa, considerazione di entrambi i curatori.
Eredi Sylva Galli
Sylva Galli, Genitori alla finestra, olio su tavola, 73,5 x 50,3 cm
Per Sylvia Galli, rispondendo all’invito della famiglia a ricordare l’antenata, la Züst mette in atto quanto accaduto nel 2018 in ‘Arte e diletto. Valeria Pasta Morelli (1858-1909) e le pittrici del suo tempo’, con la pittrice originaria di Mendrisio inserita in un più ampio contesto femminile di arte ottocentesca ticinese e svizzera. Sei anni dopo, la sala 1 della Pinacoteca ospita le opere dell’esiguo numero di donne andate oltre il diletto, come Adelaide Pandiani (1836-1917, che “sacrificò serenamente l’arte ai suoi dolci doveri), Giovanna Castagnola (1869-1942) e Rachele Giudici (1887-1909). Sin dai gessi della scuola di Lugano, le sale successive inquadrano biograficamente Galli (la 2), ne ricostruiscono il percorso (la 3), prima di ‘citare’ l’arte femminile del suo tempo (sala 5), passando per un tributo ai Chiesa ‘stirpe d’artisti’ (sala 4), stante l’appoggio dei due fratelli Francesco e Pietro alle rispettive consorti Corinna Galli, attiva nel mondo culturale, e Germaine Petitpierre, attiva in ambiti di ricamo (‘Germaine che ricama’, 1912, campeggia luminoso a fondo sala).
Torniamo alla sala 5, aperta dalla sopraccitata Conti, cui si deve l’evoluzione dell’arte al femminile; un suo autoritratto datato 1932 conduce alle visioni di Mariangela Rossi (1919-2014), la figura umana dal cranio bislungo di una ‘Figura di donna con spilla’, gli slanci cubisti nelle belle ceramiche esposte, che di quelle teste deformi riportano estratti. In mostra sono i ritratti di Irma Giudici Russo (1899-1994), tanto apprezzata da Carlo Carrà e della quale spicca l’acquerello ‘Vestito a scacchi’ del 1935. E ancora: Anita Nespoli (1894-1974), Anita Spinelli (1908-2010), Anna Baumann-Kienast (1880-1961) e la sua bianca ‘Madonna con bambino’; le sorelle Adelaide (1925-1976) e Valeria Borsa (1923-2007), Rosetta Leins (1905-1966), Irma Bernasconi-Pannes (1902-1971) e Margherita Osswald-Toppi (1897-1971), al netto di altre artiste giunte in Ticino dopo la morte di Galli, dunque al di fuori del raggio d’indagine di questa mostra.
Collezione d’arte Comune di Chiasso
Irma Giudici Russo: Vestito a scacchi, 1935, acquerello, 68 x 50 cm
“Non tocca a noi dire cosa avrebbe potuto essere se non fosse morta così giovane, quello è un altro discorso. Possiamo solo dire che nel panorama delle altre donne artiste di quel periodo, Sylva Galli spicca per libertà e freschezza che non sono da tutti e tutte”. È la convinzione di Foletti, che definisce l’artista originaria di Bioggio “svizzera e parigina allo stesso tempo”. Perché è proprio a Parigi che Sylva guarda, “cosa poco appropriata” per una giovane che hai nei suoi riferimenti, secondo la critica, Braque, Cézanne, Renoir, Matisse e Derain, e che poi sposterà lo sguardo verso Zurigo. Il percorso partito dalla Scuola professionale di disegno della Scuola d’Arti e Mestieri di Lugano, proseguito al Technicum cantonale di Friborgo, si era concluso (via Zurigo, appunto) in riva al Ceresio con lei già malata, ma in grado di frequentare la Scuola di figura e di nudo di Carlo Cotti.
Sylva Galli si è sempre rifiutata di esporre, dichiarando di non sentirsi matura per affrontare il giudizio del pubblico. Lo ha fatto per lei la famiglia tre mesi dopo la sua scomparsa, portandone le opere nella sede del Lyceum club di Lugano: “Natura profonda dai tratti virili, maschia, donna dallo spirito completamente antiprovinciale”, sintetizzò un cronista nei giorni dello svelamento.
Collezione Mario Rossi-Albrizzi
Mariangela Rossi: Maurice Chevalier, 1950-1955, olio su compensato di legno, 118 x 76 cm