‘La porta in faccia’, di Giancarlo Dionisio, ci racconta la ‘partita della vita’ di Giorgio: un percorso ascensionale e poi, soprattutto, discensionale
Il secolo breve di Hobsbawm è diventato un grande classico della storiografia del Novecento. Un secolo che si sarebbe aperto con l’esplosione della Prima guerra mondiale e chiuso con l’implosione dell’Unione Sovietica. Credo che, limitatamente alla piccola storia del calcio, si possa fare un discorso analogo per la seconda metà del secolo. Tra il 1974 – prima edizione del Mondiale senza la Coppa Rimet (ma con l’Olanda del calcio totale) – e il 1998 – ultima edizione del millennio – si è consumata, senza alcuna possibilità di ritorno, la storia del calcio moderno. Sarà perché sono nato proprio nel 1974, e la mia è forse un’interpretazione falsata da una prospettiva autobiografica, ma fino al 1998 ho contato gli anni a quattro a quattro. Sette edizioni bibliche tra Europa e America latina: poi, secondo una visione apocalittica giustificata dalla numerologia, il diluvio.
Non credo sia un caso se il romanzo d’esordio di Giancarlo Dionisio è ambientato proprio negli anni immediatamente successivi; gli anni in cui tutto è (ri)cominciato sotto i peggiori auspici. Quelli a cavallo del millennio erano gli anni di una Coppa Campioni da poco diventata più glamour solo nel nome; gli anni in cui iniziavano a spuntare i seggiolini colorati e le VIP lounge negli stadi nuovi, tutti uguali come i supermercati; gli anni della sentenza Bosman, che ha fatto da detonatore al proliferare di procuratori spregiudicati e consiglieri fraudolenti; gli anni del dominio delle squadre italiane, infarcite di campioni da importazione; delle panchine-lunghe e del turnover con cui le così dette “grandi” continuano a indebolire le “provinciali”, rubando loro, per confinarli in panchina, i migliori talenti; gli anni in cui ha preso forma lo strapotere delle televisioni private, che hanno scavato un fossato incolmabile tra i maggiori campionati e i campionati considerati “minori”, svuotando gli stadi dei loro veri tifosi, quelli con la radiolina sottomano; gli anni dei primi tatuaggi affioranti sulle braccia dei David Beckham peninsulari, in cerca di fortuna sui rotocalchi; di soubrette e cocottes da talk show promesse spose alle migliori promesse del pallone. Insomma, gli anni di un calcio che si incamminava verso una deriva sociale, economica ed etica (forse anche estetica) partita proprio dall’Italia in pieno ventennio berlusconiano, di cui oggi il calcio italiano e il calcio mondiale cominciano a raccogliere i cocci. In questo senso, la fuga dei migliori (ex-)calciatori, attirati dai petrodollari che furono, verso i campionati mediorientali e statunitensi (le case per anziani del calcio professionistico), o la piaga sociale del calcio da virtual-scommessa, non sono altro che l’onda lunga di un’alluvione cominciata più di vent’anni fa, quando ancora la domenica sera si poteva vedere, nel giro di un’ora e in chiaro, tutte le reti del turno di campionato, schivando un profluvio di parole inutili pronunciate da improbabili e prezzolati opinionisti.
È questo lo sfondo su cui tira calci a un pallone il siciliano Giorgio Denardo, protagonista-narratore di ‘La porta in faccia’, romanzo scritto da un insegnante che, proprio in quegli anni, muoveva i primi passi nel giornalismo sportivo. E la vena da cronista televisivo viene fuori fin dall’incipit: «Rinvio di Corbelli. La palla è diretta nella nostra trequarti offensiva. Le vado incontro. Il difensore mi segue. Con un attimo di ritardo. Mi lascio scavalcare dal pallone. Cambio rapidamente direzione e punto verso la porta […]». L’attacco in medias res ci catapulta subito nel vivo di una partita, quasi fossimo davanti a un teleschermo. Ma in questo caso l’io narrante non è il cronista in tribuna-stampa: è il giocatore Giorgio che racconta la sua partita con la vita. Allora, il lettore-spettatore è addirittura in campo, al fianco dell’attaccante, pronto a fornirgli l’assist decisivo. Tutta la storia è costruita in questo modo, al tempo presente, in presa diretta, con una sintassi in cui dominano la coordinazione, le frasi brevi e sincopate: è la cronaca di una tragedia annunciata. Comincia così la parabola dell’anti-eroe, una promessa del calcio italiano che, provenendo dal profondo Sud, troppo spesso deriso dal ricco Nord, trascina una provinciale (del Nord) al successo in Coppa Italia, per poi approdare alla corte dell’Avvocato. Giorgio, a suo modo, è un “piccolo” Giuseppe Galderisi, il salernitano che vinse da capocannoniere uno scudetto con il Verona di Osvaldo “Schopenhauer” Bagnoli, anche se Denardo non diventerà Galderisi… Qui basti dire che la sua è davvero una “parabola”, in senso geometrico e anche un po’ biblico: «Trezeguet si è ripreso completamente. Viaggia come un Tgv. Alex è intoccabile. Dietro le punte, Pavel sta proponendo uno standard di gioco incredibile. E Giorgino sta sulla panca». Non saranno Trezeguet, Del Piero e Nedved le tre stelle che illumineranno le notti da calciatore di Giorgino. Saranno invece Stefania, Giulia e Gloria le tre guide-dantesche che lo scorteranno lungo questo percorso biografico ascensionale e poi, soprattutto, discensionale, dove il confine tra la “gloria” e la polvere è sottilissimo: una discesa all’inferno, in un progressivo abbrutimento dell’uomo-Giorgio, reso ancor più manifesto dal suo crescente turpiloquio, quello di un ragazzo come tanti che, senza essere uno stupido, non è neppure particolarmente intelligente: «Giulia è consapevole della sua bellezza e del suo fascino. Ma non si stanca mai di sentirsi dire che è una gran fica. […] Ma poi, queste ultragnocche che lavorano nelle boutique esclusive, sono delle semplici venditrici? […] Guadagneranno un pacco? […] Hanno un loro linguaggio. Un loro codice. O parli la loro lingua, o ti trattano come un alieno». Già, «come un alieno». Giorgio si troverà a frequentare un mondo frivolo – fatto di belle donne, molti soldi e costumi snob – tipico di una città del Nord, in cui il ragazzo di provincia venuto dal Sud incontrerà tutto ciò che occorre per farsi gabbare come un Andreuccio (da Messina) qualsiasi.
Eppure, la sua parte di “gloria” l’avrà anche Giorgio, che potrà condividere lo spogliatoio con i campioni di cui sopra; che potrà discutere il suo contratto con la tristemente famosa “triade”; che sarà rincorso dagli inviati del “foglio rosa” nei più lussuosi alberghi dell’Engadina; che potrà portare la sua Stefania in vacanza a St. Moritz e poi dai parenti siculi a Lucerna, passando anche (sinistro presagio) per il Ponte del Diavolo. E sempre in Svizzera sarà l’ultimo approdo, perché a tutti, e nonostante tutto, è concessa almeno una seconda possibilità.