‘Artista europeo tra realtà e simbolo’, l’illustratore e pittore è in mostra da domenica 15 ottobre al 25 febbraio 2024 alla Pinacoteca Züst di Rancate
Ricorre quest’anno il centenario della morte, ma l’occasione va oltre la questione anagrafica. Le anime ticinese, lombarda e francese di Luigi Rossi (1853-1923) ne fanno un ‘Artista europeo tra realtà e simbolo’, titolo completo della mostra che si apre domani alla Pinacoteca Giovanni Züst di Rancate. Si chiuderà il 25 febbraio 2024, una volta evaso il suo compito, colmare il lungo vuoto di un’antologica dedicata al pittore, dopo quella del 1980 a Villa Ciani, Lugano, altri momenti tra Milano, Bellinzona e Losanna e una coda sempre a Rancate, concentrata sulla sua attività di illustratore. A unire gli estremi è Matteo Bianchi, curatore del primo episodio (con Rossana Bossaglia) e di quest’ultimo, profondo conoscitore dell’artista (gli ha dedicato l’omonima Casa museo in Capriasca) e sempre in bilico tra amore e competenza: “Da un lato – dice nell’incontro di presentazione – la conoscenza è frutto dei miei studi, ma c’è anche un aspetto affettivo, perché il pittore era il mio bisnonno”.
È Mariangela Agliati Ruggia, direttrice della Pinacoteca Züst, a introdurre una retrospettiva che di Rossi ospita “tutti i quadri più importanti”, forte dei prestiti dei grandi musei svizzeri e italiani, delle collezioni private, di quella della Confederazione e dello sponsor Cornèr Banca, cui si deve un inedito ‘Plenilunio’ (1910-1915). A Rancate c’è il Rossi illustratore nei giorni parigini, divenuto popolare per aver dato un ‘volto’ ad alcuni best seller dell’Ottocento – il ‘Tartarino’ di Alphonse Daudet (del quale si espone un ritratto inedito), ‘Notre-Dame de Paris’ di Victor Hugo, tra gli altri –, ma soprattutto il pittore, in un viaggio tra dipinti e acquerelli che porta dal realismo al simbolismo al Liberty, nel percorso parallelo che va dalla pittura di genere al ritratto al paesaggio. Un riassunto del tutto è nel catalogo edito da Pagine d’Arte e stampato da Salvioni Arti Grafiche. La mostra vuole anche includere l’educatore Luigi Rossi ai primi del Novecento, presso l’Umanitaria a Milano e le Scuole di disegno del Canton Ticino: “Uomo gentile, è sempre stato propenso ad aiutare, a difendere gli artisti, proponendo l’acquisto delle loro opere quando i tecnici volevano risparmiare”, aggiunge la direttrice.
Andiamo in ordine non cronologico. ‘Figurazioni ideali’ è il titolo della raccolta poetica di Gian Piero Lucini (1867-1914) che segnò la nascita del simbolismo italiano. Dà il nome alla terza sala, dalla quale partiamo in quanto sede dell’incontro di presentazione, e perché riassume il mutuo ispirarsi di Lucini e Rossi. La sala 4 è dedicata all’illustratore di libri, con il rapporto Rossi-Daudet al centro; a seguire, la sezione delle ‘Carte dipinte’, quella che dall’illustratore porta al pittore; poi quella ‘marittima’, che copre i soggiorni dell’artista sulla costa atlantica e in Sicilia; l’ultima, aperta da ‘Una via di Milano’, è dedicata alla pittura di genere, e include tanta Valle di Blenio e tanta Verzasca, di sfondo alle scene di vita contadina, e altrettanta Capriasca. Un passo indietro alle sale 1 e 2, dedicate agli affetti familiari. A ‘comandare’ è il luminoso ‘Genzianella’, il ritratto della figlia Gina datato 1908. Di quest’angolo liberty, ma pure del più animato ‘Primi raggi’ – nella versione conservata alla Casa museo (la prima stesura del dipinto andò smarrita dopo la sua esposizione a Monaco nel 1900; gli originari quattro bambini, in questa versione sono diventati tre) –, la teca a centro sala contiene i materiali preparatori, a testimonianza della padronanza, di Rossi, dell’uso della fotografia e del disegno. Anche la ‘Genzianella’ è accompagnata da una serie di scatti dell’epoca, con Gina in pose diverse.
Casa Museo Luigi Rossi, Capriasca
Genzianella (o Ritratto della figlia), 1908, olio su tela, 104 x 74 cm
Di queste ricche e fisiche ‘note a piè pagina’ beneficiano molte delle opere esposte. Nell’incontrare, a margine della conferenza, Mariangela Agliati Ruggia, cerchiamo conforto: quanto sarebbe bello avere di ogni artista la genesi dell’opera? «Sarebbe sempre auspicabile – risponde la direttrice –, purtroppo non avviene sempre, potrei dire quasi mai. Archivi così preziosi spesso passano di generazione in generazione non muovendosi dai solai, altre volte ci si dimentica dell’importanza, oppure si tengono i quadri e ci si libera per sempre di tutto il cartaceo e delle fotografie. Il caso di Luigi Rossi è emblematico perché si riesce a ricostruire l’origine esatta di un quadro, ma pure la vita dell’artista, e questo perché si sono conservati lettere, biglietti».
C’è poi il caso più fortunato, quello dei pittori che hanno benevolmente lasciato tesori agli archivi di Stato. «È il caso di Bellinzona. Nella mia tesi di laurea su Ernesto Fontana è stato fondamentale per me il poter accedere alle lettere dei potenziali acquirenti, alle cartes de visite dei personaggi che gli chiedevano affreschi, dipinti, o di presenziare a serate galanti. Ricordo che in un taccuino, Fontana scriveva con stupore di come in treno ci volessero 24 ore soltanto da Milano a Parigi. Lo diceva come si trattasse di una scoperta, quale effettivamente era».
Secondo Agliati Ruggia, oggi corriamo un serio rischio: «Se è raro disporre di questo materiale, ancor più difficile sarà con la digitalizzazione, visto che oggi le lettere dei committenti sono messaggi o messaggini». Insomma, il compito futuro potrebbe essere quello di ricostruire la storia di un pittore dall’inizio alla fine. Ed esporre la versione stampata di una e-mail potrebbe essere esperienza meno coinvolgente della dedica di Daudet sul primo ‘Tartarino’, in bella mostra a Rancate. «Questo materiale è sempre stato importante per il nostro museo, che ha sempre cercato di fare mostre scientifiche, evitando il taglia-incolla e le esposizioni prese in prestito. Mostre come quelle che scegliamo di fare possono celare un lavoro anche di un paio d’anni». Decisivi, oltre agli archivi dei discendenti e al ruolo delle biblioteche, sono stati anche i quotidiani: «Un tempo i giornali riportavano ogni minima notizia, abbiamo costruito mostre leggendo Il Dovere, La Gazzetta Ticinese, fondamentali per ricostruire la storia».
Mariangela Agliati Ruggia dirà addio alla Pinacoteca a maggio 2024. Non vi sono altri motivi se non quello del pensionamento. “Lascio in buone mani – aveva detto in conferenza – e termino da dove ho iniziato, da Luigi Rossi, da me molto amato”. L’ultima sua mostra, questa, avrà una piccola appendice nell’appuntamento primaverile dedicato a Sylva Galli, pittrice ticinese morta a soli 23 anni. L’omaggio si estenderà alle donne artiste operanti negli anni 40.
Forse non è questo il momento dei bilanci. Magari è quello dei pre-bilanci: «Sono stati trent’anni fruttuosi. Sono arrivata nel 1990, da giovane studiosa, e credo di avere posto buone basi per questa piccola realtà, decentrata, ma che oggi riesce a ottenere prestiti dai musei più prestigiosi e gode di buona fama. Questo è il mio orgoglio». Il segreto? «La conoscenza del territorio, e l’essermi affidata a figure competenti e centrali della Storia dell’Arte». Persone come Pierre Rosenberg, che nel 1999 era direttore e presidente del Louvre: «Curò per noi la mostra di Julien de Parme, artista che lasciò prestissimo Cavigliano per l’Italia e poi la Francia, diventato un precursore del neoclassicismo. Questo sfortunato pittore, che in vita non godette della fama che meritava, tornò alla ribalta dopo la mostra di Rancate, che poi si spostò a Parma. Oggi, ogni volta che si allestisce una mostra sul neoclassicismo, Julien de Parme non manca mai».
Galleria d’Arte Moderna, Milano
Alla messa del mattino. Valle Verzasca (o La preghiera del mattino), 1883, olio su tela, 46 x 72 cm