Incursione nella bottega dell’artista di Arbedo in occasione della mostra ‘Ipotesi per l’ultima spiaggia’, da sabato fino al 18 dicembre prossimo
Due colpi furtivi alla porta, un effluvio di trementina e ‘ciao Nando’. Sarà ancora per le zaffate di diluente dei colori a olio che ogni volta mi frastornano, ma quando lo incontro è sempre un’epifania. Le manifestazioni di Nando Snozzi hanno però ben poco a che vedere con l’etereo. L’entità ctonia – vestita di nero, creole ai lobi, barba di un bianco puro quasi abbacinante e sguardo intenso – mi invita a entrare nell’Attila, l’atelier di Arbedo dal nome barbaro che ben definisce le intenzioni corsare del suo abitante. Penso soprattutto a quelle artistiche di chi rifiuta etichette, strutture, istituzionalismi per una creazione feconda e autentica, che repelle i "così-si-fa" per dire con il suo personale linguaggio di matrice espressionista con esiti simbolisti e surrealisti. L’occasione dell’incontro ci è data da ‘Ipotesi per l’ultima spiaggia, dove l’arte ha il dono dell’ubiquità’: una sosta pittorica che l’artista propone dal 22 ottobre al 18 dicembre prossimi. L’inaugurazione, doppia, si svolgerà sabato 22 ottobre dalle 17.30 alle 20 e domenica 23, dalle 14 alle 18.
Dopo un delirio, un destino, un’utopia, questo è un nuovo capitolo del percorso "ipotetico" intrapreso da Snozzi, al quale ha lavorato negli ultimi tre anni, realizzando numerosi elementi di diversi formati (dal piccolo al grande) e tecniche. Ma il fare del Nando è totale, e si propaga in più dimensioni, dalla pittura a scrittura, performance teatrali e musica (che demanda ad altri). Così, come per le ipotesi precedenti, anche questa avrà il suo momento al Teatro Sociale di Bellinzona, sabato 1° aprile (alle 20.45) con una performance irripetibile: un’azione scenica in cui si mescolano musica, pittura, improvvisazione teatrale, lettura e video. Insieme all’artista, sul palco saliranno gli attori Ledwina Costantini, Daniele Bernardi e Patrizia Barbuiani; i musicisti Rocco Lombardi, Matteo Ballabio e Zeno Gabaglio; Antonio G. Pirisi (neuropsichiatra e operatore culturale); Gianni Hofmann ed Elio David (turisti in scena) e Claudio Tettamanti (operatore video).
Spicciate le indicazioni di servizio, scopro in anteprima la mostra, raccolta in un libro (SalvioniEdizioni) con la riproduzione delle opere cui si aggiungono testi scritti dal Nando e da suoi amici, un connubio che evidenzia la complicità fra generi. Tre anni di lavoro significano numerose opere realizzate e racchiuse in una manciata di sezioni, o meglio capitoli che non seguono un ordinamento cronologico nell’allestimento in quegli spazi che, durante l’anno, ospitano i corsi che Nando tiene da più di quarant’anni. Per l’occasione, alcune opere sono anche appese alle pareti del locale interrato.
Siamo all’ultima spiaggia e procedendo nei locali del laboratorio i nuclei parlano chiaro e raccontano della nostra attualità, le sue storture e brutture: i fatti di cronaca sono una delle fonti dell’artista di Arbedo che lascia sedimentare e rielabora con la sua cifra stilistica, proponendo un racconto onirico e surrealista, a tratti delirante: «Io seguo la pittura, mica il contrario». Incontriamo così le tavole di ‘Covid19… 2020’, i pezzi della ‘Transizione binaria’, quelli di ‘Persone e misteri’, fino al ‘Diario giornaliero costruito a misura di essere umano’. Il supporto di quest’opera è un rullo di carta da fax: giorno dopo giorno l’artista srotolata e riavvolta un po’ di carta («come in quel gioco che si faceva da bambini», piegando un lembo di foglio si disegnava non sapendo cosa era stato fatto prima), raffigura con tecniche miste situazioni che mescolano cronaca, sogni, visioni. Ecco allora le "quadrelle" dei ‘Quaderni illeciti’ scompaginati. Dalle opere del Nando saltano fuori facce, maschere quasi tribali che nella frontalità perentoria ti piantano gli occhi negli occhi, e anche se ti giri per guardare altrove, te ne ritrovi altre a scrutarti. Non si può rimanere indifferenti e girare la faccia dall’altra parte, quei visi – spesso dall’espressione sardonica (che con la Sardegna non c’azzecca, anche se l’Isola col Nando c’entra eccome!) – sono allegorie della tragicommedia umana e non permettono l’indifferenza che nel mondo dilaga. In questo bestiario umano, ci sono anche le bestie ricorrenti, come il "sadipe": creatura che mi ricorda quelle di Hieronymus Bosch, che immagino scorrazzare nottetempo per le sale buie del laboratorio, come un piccolo genio familiare.
Chiudendo con la tela di grande formato ‘Granfinale. Il teatro dei sensi irrisolti’, l’esplorazione artistica, nonostante una furia "pandemonica" (l’aggettivo non esiste, mi prendo la libertà) di facce, gesti e bestie, confida forse in un "Porto Speranza" verso cui aggiustare la rotta.
A mo’ di chiusa, mi attardo sul sottotitolo della mostra ‘dove l’arte ha il dono dell’ubiquità’: che significa Nando?, «se dovessi andarmene (facciamo gli scongiuri; ndr), con l’arte sarei sempre in giro», chiosa ironicamente.