IL RACCONTO

Pomeriggio valdostano

Una passeggiata racconto fra le opere degli espressionisti svizzeri in mostra al Museo Archeologico Regionale di Aosta

Louis Moilliet, ‘Le Carrousel’
14 agosto 2022
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Ho stabilito un rapporto affettivo con la Valle d’Aosta: non solo con i suoi abitanti ma anche con il suo paesaggio e la sua storia. In particolare con la storia della Resistenza in bassa Valle, sulla quale ho scritto qualche racconto. Quanto al capoluogo, Aosta, non nutro gran simpatia per la sua conclamata romanità, come in generale per le cose grandiose e solenni; piuttosto mi piacciono certi vicoli popolari del centro, dove ha vissuto Emile Lexert detto Miló, cresciuto a Vevey e poi tornato al suo paese d’origine per partecipare alla lotta contro il fascismo: lotta per la quale ha sacrificato la vita. E quando girello per la città non manco mai di fare una visita al dignitoso monumento eretto qualche anno fa in memoria di Giovanni Bassanesi, il maestro elementare che sfidò Mussolini partendo dal Ticino, precisamente da Lodrino, l’11 luglio del 1930, con un piccolo velivolo da turismo per andare a inondare di volantini antifascisti il cielo sopra Milano, nel corso di una spettacolare e ardita azione aerea. Cose che noi ticinesi conosciamo bene: o mi illudo? Il vento di destra che soffia forte anche nel nostro paese ce le ha già fatte dimenticare, queste cose?

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In piazza Roncas, sede del Museo Archeologico Regionale, mi aspetta il viso cupo di Anna, la moglie del pittore Albert Müller, nel manifesto che annuncia la mostra in corso: "ESPRESSIONISMO SVIZZERO. Linguaggi degli artisti d’Oltralpe". Müller, uno dei nostri espressionisti più validi, nel suo breve soggiorno a Coldrerio ha abitato per qualche tempo in quella che si chiamava Villa Tarchini, in fondo a via Bolghetto. Fantasticavo sulla sua presenza, così vicina alla casa dove ho vissuto fino a una ventina di anni fa; e ora quel cupo viso gigantesco, blu rosso e verde tra quelli di due ragazze chine su un tavolo rosa, mi appare come una presenza familiare. Müller si era ribellato alla famiglia di lei, che aveva tentato in ogni modo di impedire la sua relazione con la futura moglie, e si era trasferito nel Ticino: dove, la notte di Capodanno 1924/ 1925 aveva fondato, con Hermann Scherer e Paul Camenisch, il gruppo Rot-Blau. E in un articolo sul "Basler Nachrichten", si era potuto leggere, a proposito del nome scelto dai fondatori: "Da una parte il rosso (Rot): rivoluzione contro l’eredità del passato che deve essere incessantemente sconfitta nel singolo, perché altrimenti nessuna liberazione sarebbe possibile né lo sarebbe la costruzione di un nuovo mondo (...). E dall’altra il blu (Blau): il pericolo che tutto ciò che c’è di rivoluzionario sfoci in un nuovo dogma, in un misticismo molto oscuro e pericoloso".

Ma non è, quel gruppo in un interno, la sola presenza familiare. C’è anche il grande "Paesaggio nel Mendrisiotto" di Scherer, nel quale riconosco le località di Obino e di Loverciano: attraversato da linee zigzaganti e illuminato da colori violenti, quel paesaggio, sovrastato da un Generoso rosso acceso, mi appare come terremotato e contraddice la dolcezza dei colli meridionali nella quale noi viviamo talvolta compiaciuti, senza accorgerci che in certi punti il nostro paesaggio ha un aspetto drammatico (penso alle gole della Breggia sopra le quali vigila la Chiesa Rossa di Castel San Pietro): un paesaggio, quello di Scherer, che interpreta con furia espressiva lo spirito del luogo, stravolto dall’emotività del pittore, secondo l’insegnamento del suo maestro Kirchner. Come se l’inquietudine interna del pittore si proiettasse sull’esterno, deformandolo. Così come sono deformati i visi dei giocatori di bocce in un’opera di Paul Camenisch: che dipinge figure slogate, marionette color blu rosso giallo intente a un balletto, quasi a simboleggiare una stralunata allegria.

Altre presenze familiari, per noi ticinesi, quelle dei pittori che hanno operato a Ascona a partire dagli anni venti: il gruppo dell’Orsa Maggiore, nel quale spicca la pittrice di origine russa Marianne von Werefkin; e i due espressionisti Johannes Robert Schürch e Ignaz Epper. Del primo segnalo la presenza di tre opere provenienti dalla Fondazione Ebiger di Lucerna: l’"Autoritratto con sciarpa rossa" e due inchiostri di drammatica intensità, "Mendicante in strada" e "Bambino che mangia il pane", nel solco di Honoré Daumier. Del secondo, Ignaz Epper (detto" Igel", cioè "Riccio", a causa della sua malinconia) oltre ad alcune xilografie, colpiscono il contorto "San Sebastiano" trapassato dalle frecce e il "Terrapieno ferroviario" su sfondo urbano-industriale.

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Nel catalogo, che mette bene in evidenza la suddivisione didattica della mostra in sei sezioni (Gli inizi, Der Moderne Bund, Uomo e modernità, Rot-Blau, Le Falot, Orsa Maggiore), il saggio che più mi colpisce è quello di David Schmidhauser: "Rivoluzione. L’elemento "politico" nell’Espressionismo svizzero".

Nella realtà elvetica contraddistinta dal conservatorismo (ricordo, en passant, che nella primavera del 1925 il "Circolo artistico basilese" decise di togliere, dalla prima mostra del gruppo Rot-Blau alla Basler Kunsthalle, cinque sculture di Hermann Scherer, delle complessive nove, e una delle tre di Albert Müller, per "motivi etico-morali"), il movimento espressionista costituisce una delle poche eccezioni. Guardate, per esempio, i disegni a matita di Eduard Gubler sulle manifestazioni di protesta contro la guerra del 14 novembre 1917 a Zurigo; oppure l’olio di Otto Baumberger "Rivoluzione" del 1917; o "I bitumatori" di Otto Morach. Sono eccezioni, rispetto alle opere dei coevi pittori tedeschi, più politicizzati dei nostri.

Dopo la mostra lascio Aosta nella canicola del pomeriggio, gli occhi pieni di queste intense immagini, che il nazismo avrebbe tacciato di "entartete Kunst" (arte degenerata) e che oggi non interessano più quasi a nessuno, se non a chi è ancora sensibile alla bellezza.

Nel parco accanto al posteggio dove ho lasciato la macchina si sono rifugiati alcuni sbandati in cerca di frescura. Alzo lo sguardo e l’occhio cade sul magniloquente monumento al roi chasseur Vittorio Emanuele ll di Savoia che tiene il piede su uno stambecco morto. La figura del monarca spicca lugubre nell’azzurro del cielo valdostano.