Dalle visite ai musei allo studio universitario, Paltenghi Malacrida racconta il percorso che l’ha portata alla direzione del Museo d’arte di Mendrisio
«Al Liceo speravo che le lezioni di storia dell’arte non finissero mai. È stata una folgorazione quasi stendhaliana». Fin da subito è chiara la natura del rapporto di Barbara Paltenghi Malacrida con la materia che ha segnato il suo percorso professionale e non solo. In occasione della sua nomina a direttrice di Museo d’arte, Casa Pessina e Dicastero museo e cultura di Mendrisio (dal prossimo 1° settembre), in una chiacchierata fiume, Paltenghi Malacrida ripercorre gli anni di scoperta della storia dell’arte, gli studi, i primi lavori, soprattutto le sue grandi passioni, dando uno sguardo al museo e alle sfide che l’attendono.
Prima del suo racconto, apriamo una parentesi indugiando sulla "scheda tecnica". La storica dell’arte, nata all’inizio dei Settanta, da sette anni lavora come collaboratrice scientifica al Museo d’arte di Mendrisio, al fianco dell’attuale direttore Simone Soldini che, dopo ventitré anni, andrà in pensione alla fine di agosto. In poco meno di un trentennio Barbara ha affinato le sue competenze professionali lavorando, dal 1995 al 2005, al Museo d’arte moderna di Lugano, Villa Malpensata, nella funzione di collaboratrice scientifica. Negli anni, l’interlocutrice ha pure affinato la sua esperienza nell’organizzazione espositiva e nella gestione di iniziative culturali pubbliche.
Appassionata di pittura, con la predilezione per l’espressionismo tedesco, la storica dell’arte torna con la memoria alla sua infanzia: «Ho avuto la grande fortuna di crescere in una famiglia di collezionisti e di promotori della cultura». Nelle estati di bambina, ricorda, frequentava assiduamente la casa degli zii, Gino e Gianna Macconi, che «era un crogiolo di incontri. Visitavo musei, ma anche la galleria Mosaico di mio zio, a Chiasso. Per me era esaltante, ma allora la consideravo una loro passione». Fino alla «folgorazione» liceale. Facendomi partecipe di un’altra sua passione, racconta di avere grande interesse per tutto ciò che è apparentemente enigmatico, ma che ha una soluzione, così come i quadri. Il parallelismo è calzante: «Allora, per me ogni opera d’arte era custode di un segreto, che man mano la storia dell’arte mi svelava». Oggettivamente, senza riferimenti simbologici, iconologici, iconografici, agiografici, ma anche storici le opere d’arte non sono di lettura immediata. «Mi sono immersa quindi nella lettura, volevo scoprire tutto di una materia splendidamente trasversale». Cresciuta, approda a Pavia, dove si laurea all’Università in storia dell’arte contemporanea con una tesi su uno degli esponenti dell’espressionismo tedesco. A quel tempo, frequentava soprattutto il Museo d’arte moderna di Lugano, dove, ancora studentessa, ha svolto piccoli stage. «Il museo proponeva mostre incredibili, ricordo che rimanevo estasiata davanti alle opere di Soutine, Nolde… Erano gli anni delle grandi mostre alla Malpensata, che raccoglievano fino a 130mila visitatori a esposizione».
A metà anni Novanta, vince un concorso per il posto di collaboratrice scientifica per l’ente luganese (in particolare lavora a Villa Malpensata), dove rimane fino al 2005: «Una realtà che mi ha permesso di fare una gavetta incredibile, molto formativa, anche dal punto di vista della proposta di attività culturali. Si lavorava come pazzi (il team era piccolo), con orari aleatori e si viaggiava per le collezioni d’arte». Dopo una pausa dedicata alla maternità, Paltenghi Malacrida inizia a lavorare per il Museo d’arte mendrisiense, dopo aver vinto un bando: «È stato un prosieguo naturale, in linea con l’attività svolta a Lugano».
Facendo un balzo temporale non indifferente, i sette anni di lavoro come collaboratrice scientifica al fianco di Simone Soldini passano. «Mendrisio è una bellissima realtà e sono davvero molto contenta di poterla portare avanti. Ho il privilegio di diventare direttrice di un ente che conosco molto bene, fin dalla sua nascita nel 1982, quando lo frequentavo come visitatrice». Seppur sia naturale il fatto che ogni direttore porti avanti interessi personali relativi al proprio gusto, così come i contatti intessuti negli anni, Barbara si considera una figura della continuità: «Porterò avanti il gran lavoro svolto in questi anni da Soldini, continuando a dare attenzione agli artisti del nostro territorio, a quelli storicizzati e contemporanei; così come a quelli internazionali, andando a sviscerare aspetti poco noti che ne diano letture inedite». Sopra ogni cosa, confida la storica dell’arte, la sua intenzione è avere sempre «coraggio, come Soldini, nel proporre mostre difficili, non scontate. Un coraggio possibile anche grazie al sostegno del Municipio, che ci ha sempre dato fiducia e con cui abbiamo uno splendido rapporto di dialogo».
Fra le intenzioni della futura direttrice c’è sempre la proposizione di eventi culturali, dalla musica al teatro, a corollario delle mostre. «Pensare oggi al museo come luogo di soli stimoli visivi è estremamente limitante e stereotipato». Il museo è spazio di stimoli intellettuali e sensoriali, sicuramente non è più solo un contenitore con scopo conservativo. Oltre ai compiti precipui – acquisire, ricercare, esporre, tutelare, diffondere, interpretare e valorizzare l’identità delle proprie collezioni –, «oggi, ha un ruolo sociale nella formazione dei cittadini; non è più un’istituzione immobile, anzi ha il potere di far cambiare opinione, stimolare un contraddittorio e questo (anche grazie a mostre scomode e coraggiose) è fondamentale per lo sviluppo sociale».
L’obiettivo finale di un museo e di chi lo dirige «è produrre cultura, fare cultura», sostiene la storica dell’arte che subito aggiunge che non la si può fare pensando a uno specifico target di pubblico, «la cultura va fatta per tutti. Il pubblico evolve e un direttore di museo è chiamato a riflettere su nuovi modi comunicativi per dare occasioni di scoperta».
Le questioni da affrontare in qualità di direttrice di dicastero in futuro sono tante, dal Museo dei Trasparenti alla ricerca di depositi. Due sono i sogni nel cassetto di Barbara: «Dare a Mendrisio un teatro, anche se ora è prematuro, soprattutto perché economicamente sono anni non facili». Il secondo è «il progetto utopico di allestire una mostra dedicata alle arti, in cui si parla di teatro, scena, danza, pittura, musica da realizzare con storici, musicisti, registi… un lavoro corale insomma, per trasformare il museo in uno spaccato di una realtà multidisciplinare artistica», chiosa.
In attesa di realizzarli, la prima mostra in qualità di direttrice, la dedicherà alla collezione del Museo d’arte in occasione del suo quarantennale, che cade in ottobre: «Mi sembra giusto partire da qui. Un patrimonio che negli anni abbiamo ampliato enormemente (che studiamo ed esponiamo periodicamente), tanto che oggi abbiamo oggettivi problemi di spazio nei nostri depositi».
Attualmente, è possibile visitare, fino al 4 settembre prossimo, le mostre di Gianfredo Camesi (‘Dallo spazio al tempo’) e di Davide Cascio (‘Chaosmos’).