Il direttore del Museo d'arte della Svizzera italiana ci presenta il nuovo allestimento ‘Sentimento e osservazione’
Dal 1850 al 1950: un secolo di arte in Ticino, come recita il sottotitolo del nuovo allestimento del Museo d’arte della Svizzera italiana negli spazi del Lac. ‘Sentimento e osservazione’ si apre oggi e ripercorre attraverso varie opere della collezione, più alcuni prestiti, le tante facce di questi cento anni, dal tardoromanticismo al simbolismo e al surrealismo, dagli artisti locali ad artisti, collezionisti e commercianti che vi sono stabiliti, dalla vicinanza culturale con l’Italia all’appartenenza politica alla Confederazione.
«Non è un’esposizione temporanea, ma una presentazione della collezione» ci spiega subito il direttore del Masi Tobia Bezzola. O meglio collezioni, visto che il museo è nato nel 2015 dalla collaborazione tra Cantone e Città di Lugano che hanno hanno dato in gestione le rispettive collezioni. Che coprono un periodo storico ben più ampio. «L’idea non è dare un’idea complessiva della collezione, per quello avrei dovuto iniziare con il Medioevo e finire con le ultime acquisizioni, ma avvicinare il pubblico alla collezione e a quello che fa il museo». Che è non solo valorizzare le opere, ma anche preservarle e per questo allestimento, prosegue Bezzola, «sono state restaurate più di venti opere, un lavoro di più di un anno e mezzo».
Sentimento e osservazione: perché questo titolo?
Sentimento perché non ho trovato il termine, e pare che non esista in italiano come in altre lingue, per rendere quello che in tedesco si chiama ‘Stimmung’.
La Stimmung è quella degli strumenti musicali – la Stimmung di una chitarra, la Stimmung di un violino –, è l’essere accordato, è anche un modo per indicare la condizione umana. Un paesaggio ci mette in una certa Stimmung. Credo che la Stimmung sia un concetto utile per far capire che qui, nelle collezioni, ci sono delle opere che riflettono la reazione di artisti venuti da fuori nei confronti del mondo che trovano in Ticino e che naturalmente coinvolge gli artisti locali. È la Stimmung dell’atmosfera, dell’ambiente, del paesaggio e anche del tessuto sociale.
Osservazione, invece, è un filo che troviamo nella pittura paesaggistica di inizio Ottocento. E i movimenti impressionisti, post-impressionisti, fauvismo parte dall’osservazione, diventa fondamentale l’esperienza immediata dei dintorni.
Perché concentrarsi sul periodo 1850-1950?
Ci sono vari motivi, anche legati agli spazi e alle dimensioni delle opere. Ma in generale con la Seconda guerra mondiale si conclude un certo modo di rapportarsi con il resto del mondo da parte del mondo culturale e artistico ticinese. Si pone in modo diverso la questione dell’appartenenza a un contesto più ampio. Fino a quel momento l’arte locale e regionale ha una lunga tradizione centrata nella tradizione lombarda: gli artisti ticinesi si formano a Brera, hanno lo sguardo rivolto verso l’Italia, per quanto già a inizio Novecento questa situazione comincia a cambiare con l’organizzarsi di una scena artistica nazionale.
E ancora di più con la difesa spirituale della patria.
Esatto, e questo è importante soprattutto per la collezione del Cantone che insieme a quella della Città di Lugano compone il patrimonio del Masi. Si tratta di collezioni con due profili molto diversi. Il Cantone inizia negli anni Trenta un collezionismo mirato, professionale, una collezione di promozione, di sostegno per artisti regionali e locali e in questo è molto buona, molto rappresentativa della scena artistica ticinese.
La Città a inizio del secolo apre il Museo civico di belle arti, ma si aprono le discussioni, non si decide se avere una collezione storica o di arte contemporanea. E non si è mai creata una struttura con una volontà coerente, ma si ha un mix costituito soprattutto da donazioni e lasciti, alcuni importanti altri meno.
La mostra riguarda però l’arte in Ticino, non l’arte ticinese.
Sì. Se nel 1936 andiamo nella zona di Locarno, Ascona, Brissago. Abbiamo uno dei nuclei più importanti al mondo di collezioni di arte moderna: ci sono Max Emden, Bernhard Mayer adesso diventata collezione Merzbacher-Mayer, Eduard von der Heydt. Una presenza incredibile di capolavori che continua anche dopo la guerra: Thyssen è l’ultimo di questa tradizione di collezioni di livello mondiali allocate per vari motivi in Ticino.
E dall’altra parte ci sono gli artisti: Hugo Ball arriva nel 1917 dopo l’esperienza dadaista, poi Werefkin, Jawlensky e così via, presenze ora temporanee, ora continuate. Questo ovviamente lascia tracce nel loro lavoro, ma come sappiamo ci sono pochissimi contatti tra gli artisti regionali e quelli internazionali presenti in Ticino, almeno fino alla Seconda guerra mondiale.