A colloquio con Francesco Caglioti, 'leonardista' ospite lunedì 30 novembre degli eventi dall’Assocazione Fare arte NEL nostro tempo (versione YouTube)
“Mi è stato chiesto di parlare di Leonardo a tutto campo, monograficamente e per un’ora, che per le mie abitudini equivale a chiudere il cielo in una stanza perché l’argomento è infinto e tempus fugit. Ma cercherò di creare un filo rosso, e di rimanere appetibile per il pubblico”.
E se il buongiorno si vede dall’intervista, l’appetibilità è garantita. Innamorato, oltre che studioso, di Leonardo Da Vinci, Francesco Caglioti – ordinario di Storia dell’arte medievale e coordinatore del dottorato in Storia dell’arte alla Normale di Pisa – ci conduce in quello che sarà l’incontro ‘Leonardo!’, organizzato dall’Assocazione Fare arte NEL nostro tempo e fissato per lunedì 30 novembre alle 18.30 in diretta streaming sul canale YouTube. A dialogare con Caglioti, Stefano Vassere, direttore delle Biblioteche cantonali.
Professor Caglioti, su cosa verte l’incontro?
Parlerò soprattutto del Leonardo pittore, premettendo un discorso sull’universalità dello stesso che non è di circostanza, perché il Leonardo pittore non si può capire senza tutto il resto, l'anatomista, ingegnere, zoologo, botanico. Accennerò anche al Leonardo scultore, lui allievo migliore di Verrocchio, del quale Da Vinci avrebbe voluto ottenere i successi. Accennerò al cavallo di bronzo degli Sforza, sua crux desperationis, perché l’artista sprecò anni per un’impresa che non sarebbe mai andata a buon fine.
Del Leonardo scultore, lei ha apposto la sua firma sull'autenticità della statuina di terracotta ritrovata a Londra, oggi l’unica attribuibile con certezza a Da Vinci...
È l’unica scultura sopravvissuta fino ai nostri giorni che si possa attribuire a Leonardo con la stessa serenità con la quale gli attribuiamo la Gioconda o l’Ultima Cena. Tra i manufatti noti attraverso la letteratura specialistica, questo è l’unico che io accetto. Specifico: il legame con Leonardo era stato appurato secoli fa, ma negli ultimi tempi è stata tale la ridda di attribuzioni fasulle che la madonnina è stata dimenticata, pur in un luogo d’eccellenza, ma con un etichetta a favore di Antonio Rossellino che fuorviava.
'Genio' è la parola.
Direi, uomo irripetibile nella storia della civiltà, frutto del proprio genio che non è isolato dal tempo e dallo spazio. Se Leonardo fosse nato non nel 1452, ma nel 1952, magari nemmeno sarebbe stato pittore. L’importante, citando parole di uno storico dell’arte, è quando uno entra nella storia, grande o piccolo che sia. È l’ingresso, il momento casuale o provvidenzale, a seconda dei credo religiosi o non, il momento in cui qualcuno, con quel potenziale intellettivo, si trova in quella città, in quel luogo, con quelle generazioni. E Leonardo si ritrova in una Firenze vivacissima, scoppiettante di ritrovamenti di ogni sorta, in cui arte e scienza sono la stessa cosa. Per capirci: oggi studiamo il corpo umano, le stelle, le profondità geologiche con strumenti ottici precisi, tomografie, scandagli e altre cose che ignoro. Tutto ciò ai tempi di Leonardo non esisteva. Ebbene, erano l’ingegno, la pratica del copiare dal naturale ad analizzare i fenomeni circostanti. Leonardo è diventato artista perché scienziato e viceversa. Disegnava i fiori per capirne il segreto, e così con i colori, l’impollinazione, la riproduzione.
Ci sarebbe anche il Leonardo del mistero, dei codici segreti e del sottinteso...
Io parlo di un Leonardo scienziato, razionale, trionfo dell’esperienza e dell’empirismo elevati tramite l’intelletto umano, a scienza. Non credo alle corbellerie che ci parlano di un Leonardo misterico che nasconde firme segrete, simboli, cabala, cose che lo fanno rivoltare nella tomba, lui che ha vissuto una vita intera per spiegare il mondo a sé stesso e agli altri e non per velarlo. È come dare del ladro a San Francesco, o della svergognata a Madre Teresa di Calcutta. Un contrappasso peggiore non poteva capitargli…
Pare il destino riservato agli artisti. Se solo Leonardo avesse inciso dischi, li avrebbero ascoltati al contrario…
Noi siamo nati liberi e liberi dobbiamo essere fino in fondo, anche in questo accostarci al passato alle arti. Io posso benissimo sognarmi un gigantesco scorpione sottopelle mentre ammiro il sorriso sublime della Sant’Anna di Leonardo al Louvre, magari avendo alzato in gomito o perché sono un sognatore di natura. Da qui a pensare di scriverci un libro e farci conferenze... Ma banalizzare attraverso il mistero, a quanto pare tira. Il povero Leonardo, dal mio punto di vista, è vittima di questo commercio osceno. Non voglio ergermi a censore o moralista: è che ognuno di noi merita rispetto. Figuriamoci Leonardo.
Lo storico Klaus-Rüdiger Mai sostiene che “Leonardo lavorò alla sua leggenda”...
“Lavorò alla sua leggenda” è un’espressione felice, ma un po’ ambigua. Leonardo era un concentrato d’iperdotazioni che di per sé permette di lavorare alla propria leggenda. Fermo restando che resta figlio del suo tempo, Leonardo è in fondo un esponente di una tradizione che comincia dall’antichità classica, dall’universalità di Aristotele e dei molti altri pensatori del Medioevo. Ma aveva anche possibilità di combinare due rivoluzioni meravigliose del tempo, ovvero la prospettiva razionale dei fiorentini e l’esperienza dei fiamminghi, una prerogativa più del Leonardo giovane, dalla mente freschissima, che di quello maturo impegnato sulle macchine, l’ingegneria, le fortificazioni, a volere da sé sempre di più. Dico che quando gli artisti del '900 tirarono in giro la Gioconda mettendole i baffi, avevano un loro perché per quelle ombre che le partono da sotto il naso e, in lontananza, paiono effettivamente baffi. Leonardo volle mettere il mondo intero coltivando il mito di se stesso e diventando a suo modo folle. Una tessitura così spessa che fa sulla Gioconda un effetto lievemente deludente rispetto ai capolavori giovanili di Leonardo e ai ritratti di Tiziano e Raffaello, di lui più selettivi.
In un’intervista impossibile, quindi, alla domanda “Qual è la sua opera migliore?” Leonardo non risponderebbe “La Gioconda”?
Su questo non saprei rispondere. Penso che Michelangelo, altro artista che studio molto, potrebbe dire che il David non è la sua opera migliore, anche se la più famosa, perché fatta riscattando un blocco di marmo già scempiato da altri prima di lui e per essere vista a molti metri di distanza. Su Leonardo, considerando i tempi lunghi di gestazione – dipinta, ridipinta, portata in Francia – sospendo in giudizio.
Leonardo è genio che nasce da altro genio, il Verrocchio che lei ha voluto in mostra nel 2019, 500esimo di Leonardo.
Verrocchio è stato un genio particolare, uomo di grande talento, nato per trasmettere generosamente conoscenza agli allievi dai quali era costantemente attorniato e che da lui hanno preso tanto, nella pittura, nella scultura lignea, metallica, lapidea, anche se nessuno al suo livello se non Leonardo. Il che ci spiega perché Da Vinci, è una mia picciola fissazione, per tutta la vita ha cercato di confrontarsi con Verrocchio. Nel 1505, quando questi era già morto da diciassette anni, Leonardo aveva il problema di confrontarsi con i nuovi rivali, Michelangelo, Raffaello, ma di notte – è sempre fantasia – sognava la pietra di paragone del suo maestro e non quella dei suoi rivali che era convinto di poter sconfiggere, in senso virtuoso. L’antagonismo con il maestro, invece, quello non è finito mai.
Francesco Caglioti