Si è spento all'età di 94 anni il fotografo svizzero naturalizzato statunitense entrato nel mito dell'obbiettivo grazie allo splendido volume 'Gli Americani'
Il fotografo e regista svizzero naturalizzato statunitense Robert Frank, uno dei maestri della fotografia del '900 e uno dei più influenti maestri del reportage è morto ieri nella sua casa nell'isola del Capo Bretone, nella provincia della Nuova Scozia, in Canada, dove si era ritirato a vivere da un decennio. Aveva 94 anni. L'annuncio della scomparsa è stato pubblicato oggi dal "New York Times" e in seguito confermata dalla sua galleria newyorkese.
Nato in una famiglia tedesca di origini ebraiche il 9 novembre del 1924 a Zurigo, Robert Louis Frank al termine della scuola secondaria decide di fare della fotografia la sua professione, lavora come apprendista per diversi fotografi, la cui influenza conferisce alla formazione di Frank una forte impronta formale: la ricerca è quella di una fotografia diretta, pura, tecnicamente impeccabile.
È entrato nel mito della fotografia mondiale per il viaggio "on the road" negli Stati Uniti, condotto su una vecchia auto scalcagnata tra il 1955 e il 1956, che poco dopo fu raccontato nel libro fotografico "The Americans", che si è imposto come un grande classico di letteratura visiva, pietra angolare della storia della fotografia e del reportage, testimonianza di un'epoca che ha definitivamente segnato il nostro immaginario. Per la prima edizione americana l'introduzione fu scritta da Jack Kerouac, icona della Beat Generation, di cui fu amico.
Dal 1941 al 1944 Frank lavorò come assistente fotografo al seguito di Hermann Segesser e Michael Wolgensinger. Nel 1946 si autofinanziò la prima pubblicazione, dal titolo di "40 Fotos". I soggetti spaziano dall'architettura all'industria, dal paesaggio naturale alle scene di strada, e sono raffigurati in uno stile pulito, verso il quale il fotografo inizia a sviluppare tuttavia una certa insofferenza.
Nel 1947 lasciò l'Europa per trasferirsi negli Stati Uniti, dove a New York Alexey Brodovitch lo ingaggiò come fotografo di moda per la rivista "Harper's Bazaar". Parallelamente alla fotografia di moda svolse una prolifica attività di reporter freelance che lo portò ad affrontare viaggi in Perù e Bolivia nel 1948 e nel 1949 in Europa (Francia, Italia, Svizzera e Spagna).
Tra il 1952 e il 1953 continuò in Europa la sua attività di reporter tra Parigi, Londra, Galles, Spagna e Svizzera. In questo periodo abbandonò definitivamente la fotografia di moda e cominciò a lavorare sempre più seriamente come fotogiornalista freelance.
È un'epoca che segna il distacco dalla New Photography e dove Frank affina il suo sguardo personale, capace di guardare gli eventi politici come le banalità della vita di strada in modo libero, tanto da convenzioni sociali quanto da dogmatismi estetici.
Nel 1955 Frank fu il primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio annuale promossa dalla Fondazione Guggenheim di New York. Con i soldi ricevuti viaggiò per tutti gli Stati Uniti dal 1955 al 1956, riprendendo oltre 24'000 fotografie. Nel 1958 pubblicò a Parigi "Les Américains", una selezione di 83 immagini tratte dal viaggio americano e l'anno dopo la Grove Press pubblicò il volume negli Stati Uniti col titolo "The Americans".
È in quel periodo che Frank entrò in contatto con i principali esponenti della nuova generazione letteraria e artistica americana, soprattutto con gli esponenti della Beat Generation. Strinse una salda amicizia con lo scrittore Jack Kerouac, con il quale portò a termine varie collaborazioni. Oltre ad aver compiuto un viaggio on the road insieme, compiuto nel 1958 verso la Florida, Kerouac si occupò di scrivere l'introduzione al libro "The Americans" per l'edizione americana. Nel 1959 venne realizzata la più nota collaborazione con la Beat Generation, quando Frank, unitamente al pittore Alfred Leslie, diresse il suo primo film, "Pull My Daisy". Scritto e narrato da Jack Kerouac e interpretato, tra gli altri, da Allen Ginsberg e Gregory Corso, il film è considerato il primo esempio di New American Cinema.
Negli anni '60, nonostante il crescente successo dei suoi lavori, Frank abbandonò la fotografia per dedicarsi completamente alla realizzazione di film, dando vita a un cinema carico di tensioni e tematiche prettamente private e introspettive, come testimoniano "Conversations in Vermont" (1969) e "About Me: A Musical" (1971). Collaborò ancora con i Beats, soprattutto Ginsberg, Orlovsky e Burroughs, ma anche con i Rolling Stones (Cocksucker Blues, 1972, documentario censurato dallo stesso gruppo), Tom Waits, Joe Strummer (Candy Mountain, 1986) e Patti Smith.
Dopo la tragica perdita della figlia Andrea, appena ventenne, Frank ricominciò a utilizzare la macchina fotografica alla metà degli anni Settanta e fino a oggi. Ma da allora la sua fotografia era lontana dai reportage precedenti.
Nel 1994 donò gran parte del suo materiale artistico alla National Gallery of Art di Washington che ha creato la Robert Frank Collection: era la prima volta per un artista vivente. Nel 1996 ottenne l'Hasselblad Award e nel 2000 il Cornell Capa Award. Tra il 2005 e il 2006 una grande retrospettiva della sua vita artistica ha girato il mondo: si tratta della mostra "Robert Frank: Story Lines", partita da Londra nel novembre 2004.
Alcune gallerie fotografiche seguendo questi link: https://pacemacgill.com/selected_works/artist_page.php?artist=Robert%20Frank www.icp.org/browse/archive/constituents/robert-frank?all/all/all/all/0