Presentato il Gruppo di ascolto per vittime in ambito religioso, associazione indipendente con sede a Cagiallo
«Non hai colpa! Non hai colpa!». Squarciano l’aula nella quale si sta aprendo la conferenza stampa per la presentazione del nuovo Gruppo di ascolto per le vittime di abusi in ambito religioso (Gava) le parole di Sergio Piasentin, oggi uomo maturo e consapevole, vittima, quando aveva appena sette anni, e per un decennio, delle attenzioni e delle mani morbose di un sacrestano: «Stare in silenzio significa dare ossigeno alla vergogna – ha sottolineato nel suo videomessaggio –, per questo è giusto parlare, anche se, e soprattutto, la vittima di violenza ha attraversato il dolore, la paura e persino l'indifferenza».
Nel solco dei recenti casi ticinesi, va dunque salutato con soddisfazione e speranza il nuovo tassello che va a potenziare la rete di sostegno già presente in Ticino, dalla Commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale (che fa capo alla Diocesi di Lugano) al Servizio cantonale per l'aiuto alle vittime di reati (Lav).
Un gruppo Gava – è sta qui la grande novità – neutrale e indipendente dal punto di visto religioso, dove professionisti e vittime si mettono a disposizione per dare un prezioso supporto ad altre vittime. La necessità di colmare una lacuna presente finora nella Svizzera italiana che diversamente non esisteva, da anni, in altre parti della Confederazione e che ha permesso a decine di vittime di uscire dall’ombra, di essere aiutate e di iniziare un percorso di ‘guarigione’.
In Romandia opera, infatti, dal 2010 il gruppo Sapec (Soutien aux personnes abusées dans une relation d’autorité religieuse), fondato da tre vittime. In Svizzera tedesca c’è dal 2021 l’associazione Ig-miku (Interessengemeinschaft für Missbrauchbetroffene im kirchlichen Umfeld). “Soprattutto grazie al coraggio e alla tenacia di questi sopravvissuti – è stato rimarcato – la Chiesa cattolica svizzera ha dovuto guardarsi allo specchio; ha chiesto scusa per aver insabbiato, spostato e tollerato sacerdoti che hanno abusato di innocenti; ha istituito commissioni di esperti per l’ascolto, l’analisi e il risarcimento”. In Ticino, come detto, mancava un punto di sostegno indipendente dalla Chiesa e da altre realtà religiose. Una lacuna che oggi i fondatori dell’associazione Gava hanno voluto, finalmente, colmare.
«Organizzazione indipendente, ma in rete con altri gruppi – ha esordito Simonetta Caratti, membro del comitato con la presidente Myriam Caranzano (già direttrice della Fondazione della Svizzera italiana per l’aiuto, il sostegno e la protezione dell’infanzia, Aspi) e con Gianantonio Romano, Patrizia Cattaneo Beretta e Chiara Donati – Gava è stato fondato per le vittime e con le vittime. Sono loro che ci insegnano di cosa hanno bisogno per aprirsi e per rompere il silenzio. Da loro ho imparato molto in questi mesi, ascoltandoli soprattutto, perché non hanno bisogno di consigli, ma di attenzione incondizionata. Su modello di altri due gruppi in Svizzera, Gava è quindi un tassello in più e quello che noi possiamo offrire è un altro tipo di ascolto alle vittime rispetto a quanto c’è già su un tema che ha bisogno di un po’ di luce. L'abuso in ambito religioso frantuma il tuo credo, la tua fede. Laddove c’era un rapporto di fiducia, di rispetto, per questo un tradimento forse ancora più profondo».
Se ne può parlare, se ne deve parlare. Ne è convinta anche Myriam Caranzano che in apertura del suo intervento accenna proprio a Sergio, «una persona molto speciale. È grazie proprio a un evento Supsi, nel quale si era deciso di dare uno spazio a queste tematiche, che è riuscito ad aprirsi. Il potere delle parole è fondamentale, per questo invito tutti ad aiutarci a dirle e a portarle ovunque. Dopo circa un anno e diversi incontri eccoci qui, a colmare quella mancanza evidenziata anche nello studio sugli abusi sessuali nella Chiesa cattolica dell'Università di Zurigo, voluto dalla Conferenza dei vescovi svizzeri. Anche in quest'ambito era emerso come in Ticino mancasse un gruppo indipendente che potesse ascoltare le vittime. Ponendoci come gruppo multidisciplinare e conoscendo bene la rete del Ticino, insieme possiamo costruire una fondamentale risposta al bisogno di ascolto e di aiuto delle vittime. Certo vittime ce ne sono in tutti gli ambiti, dal contesto familiare alla scuola, ma noi, per scelta, ci siamo focalizzati a questo specifico ambito, ovvero quello religioso. La nostra attenzione va certamente verso chi ha subìto, ma si inserisce anche nell'ottica preventiva, soprattutto a favore dei minorenni».
Oggi madre, moglie, anche nonna, nonché musicista. Raffaella Raschetti, da adolescente e per anni vittima degli abusi del parroco del suo paese, ha a cuore la causa Gava: «Mi sento guarita, anzi sono guarita. Quando ho cominciato a sentir parlare del gruppo mi sono detta se non fosse stato meglio non girare il coltello nella piaga. Dammi un segno, è stata la mia preghiera. E i segni sono arrivati. Noto ahimè, infatti, un filo che ci accomuna come vittime, ovvero la paura di parlarne e i sensi di colpa e di vergogna, un grave peso che si aggiunge alle sofferenze patite. Quello che mi sento di dire è che si possa avere il coraggio e la volontà di dire no a questo peso, soprattutto dopo i tanti no soffocati in gola. Da parte mia, se ho evitato di mettervi una pietra sopra, perché ciò non è comunque possibile, ho però chiuso una porta perché avevo in me il desiderio grande di vivere e non di sopravvivere. E ho trovato dalla mia parte persone di buona volontà che hanno condiviso il mio peso. Ciò è stato fondamentale».
Ma quali sono i bisogni della vittima? Di che cosa ha bisogno per potersi aprire? Ci ha dato una risposta Gian Antonio Romano attraverso un testo scritto da Sergio Piasentin: «Paradossalmente il primo bisogno è di non aver bisogno, di non sentirne l’obbligatorietà, la pressione, come in un tribunale o davanti agli investigatori. Chi ha subito violenza deve poter sentire che è libero, che ha spazio intorno a sé, che ha il controllo di ciò che desidera condividere. Non c’è pressione. Questo è il primo bisogno: non mi sento costretto, non mi sento spinto. Un altro bisogno è la presenza autentica; sentire intimamente che chi ascolta è semplicemente interessato ad ascoltare, non deve dimostrare nulla, né esibire competenze o professionalità. Semplicemente è disponibile incondizionatamente all’ascolto. Se condivido la mia storia non mi aspetto consigli, non chiedo suggerimenti, non voglio soluzioni, non cerco palliativi al mio dolore. Forse in un secondo momento. Ma innanzitutto ho bisogno che tu sia semplicemente lì, al mio fianco. Ci sei! Interessato, le mie parole non ti lasciano indifferente, non perché c’è del torbido, o si svelano fatti ignobili. Non c’è il piacere di mettere alla gogna qualcuno, di scovare i responsabili o punire colpevoli. Non è quello il punto. Ho bisogno di sentire che c’è attenzione incondizionata. E infine: nessun giudizio, nessuna interpretazione, nessuna valutazione della fondatezza o plausibilità di ciò che sto comunicando. Esclusivamente interesse per ciò che dico e rispetto per ciò che non dico. Allora qualcosa succede: dall’amore incondizionato per le storie umane – la mia è una tra tante – fiorisce la cura e può avvenire la guarigione».
Testimonianza tanto delicata quanto potente, come quella di Vreni Peterer di Ig-miku, attiva nella Svizzera tedesca dal 2021: «C’è qualcuno che parla per la prima volta, alcuni hanno taciuto per decenni e ora escono dal silenzio. Siamo la voce delle vittime e ci impegniamo affinché vi sia una Chiesa senza abusi. È per questo importante dar voce agli abusi spirituali, terreno fertile dove poi nasce l’abuso sessuale. In un anno abbiamo incontrato una cinquantina di persone, più della metà si erano già messe in contatto con le Diocesi o con lo studio di ricerca, ma le vittime hanno voluto parlarne anche con noi. Molte hanno detto quanto fa loro bene parlare con chi ha vissuto un'esperienza analoga e con chi non fa parte della Chiesa».
Gava, il Gruppo di ascolto per vittime di abusi in ambito religioso, del quale ciascuno può fare parte come socio, può essere raggiunto via telefono (091 210 22 02) o via email (info@ascoltogava.ch). Maggiori informazioni si trovano sul sito www.ascoltogava.ch.