Spacciandosi per legale rappresentante di una ignara ditta svizzera, un 62enne aveva preso in affitto un lido per conto di due donne dei clan mafiosi
Si era presentato come legale rappresentante di una società ticinese per trattare l'affitto di un lido e ristorante sul litorale di Catania. Ma i documenti e le deleghe erano falsi: la suddetta società, realmente esistente, era ignara di tutto. Così, un 62enne è finito sotto inchiesta per truffa, in concorso con altre due donne, una 51enne e una 28enne compagne di elementi di spicco del clan mafioso catanese dei Capello.
Nei confronti dei tre indagati i Carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania hanno eseguito il sequestro preventivo di beni, emesso dal gip su richiesta della Procura, per un valore di tre milioni di euro.
Al centro dell'inchiesta c’è la gestione di uno stabilimento balneare del litorale catanese, che è stato sequestrato ed affidato in custodia giudiziaria a un amministratore. Le indagini, coordinate dalla Procura e condotte tra l'aprile del 2022 e l'agosto del 2024 avrebbero svelato un piano ben congegnato e collaudato. L'uomo in una prima fase della truffa, iniziata nel 2021, avrebbe dovuto occuparsi delle trattative iniziali con la società titolare dello stabilimento balneare con l'obiettivo di convincerla a sottoscrivere a suo favore un contratto d'affitto. Dalle indagini è emerso come l'indagato, fingendosi il legale rappresentante dell'ignara società con sede in Ticino, avesse avviato le trattative con il rappresentante della proprietà del lido/ristorante, esibendo documenti e deleghe false.
Dopo un anno di contrattazioni, nel mese di marzo 2022 l'amministratore della società si decise a sottoscrivere il contratto e a concedere in affitto il lido, con annesso ristorante. Da questo momento le due donne si sarebbero occupate in concreto della gestione e della promozione dell'attività commerciale in vista della stagione balneare 2022. Le due donne furono citate in giudizio davanti al Tribunale civile di Catania perché non avrebbero mai pagato la quota dei canoni di locazione pattuiti con la proprietà e avrebbero prodotto durante il processo civile ulteriori documenti falsi portando i giudici a ritenere che la situazione economica della loro società fosse ben solida e che esse fossero in possesso di fondi bancari necessari per estinguere il debito.