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Caos Tpc, Dadò: il rapporto Galliani deve essere reso pubblico!

Intervista al presidente della commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’, che oggi vara le proposte di riforma per la magistratura

Fiorenzo Dadò nella sede de ‘laRegione’
(Ti-Press/Crinari)
30 settembre 2024
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«Questo rapporto prima o poi dovrà essere reso pubblico, almeno nei tratti essenziali. Perché riguarda il Tribunale penale cantonale, un organo che decide dei destini di imputati e vittime di reato, appartenente al potere più importante dello Stato. Il potere giudiziario. Parliamo oltretutto di un documento commissionato dal Consiglio di Stato per fare luce su un presunto caso di mobbing al Tribunale penale che ha originato segnalazioni, controsegnalazioni e denunce fra magistrati. Una situazione che giustamente preoccupa i cittadini, i quali hanno tutto il diritto di sapere come stiano le cose. In breve, c’è un interesse pubblico, preponderante, a sapere che cosa dice il documento». Il rapporto cui si riferisce a colloquio nella sede de ‘laRegione’ il coordinatore della commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’, il deputato e presidente del Centro Fiorenzo Dadò, è quello stilato da Maria Galliani. L’avvocata ed ex procuratrice generale aggiunta era stata incaricata di verificare, dal profilo dei fatti, l’esistenza o meno del mobbing che una segretaria del Tribunale penale cantonale (il Tpc) avrebbe subìto da una collega. Era stata incaricata… Galliani ha infatti consegnato la perizia poco dopo la metà di agosto al Consiglio di Stato, che l’ha trasmessa al datore di lavoro delle due funzionarie, cioè il vertice del Tribunale d’appello, del quale il Tpc fa parte: la Commissione amministrativa. La ‘Giustizia e diritti’ ha chiesto il rapporto di Galliani. Nei giorni scorsi, anche con un comunicato stampa, la Commissione amministrativa ha scritto però di non poter divulgare il documento trattandosi di un atto d’inchiesta e pertanto coperto da segreto d’ufficio.

Dadò, per ora il rapporto è blindato. Dobbiamo attenderci un braccio di ferro tra la commissione del Gran Consiglio e la commissione amministrativa del Tribunale d’appello?

No, ci mancherebbe. Ma ripeto, il rapporto andrà prima o poi spiegato perché la questione che affronta, e che investe un potere dello Stato, è di interesse pubblico. È almeno necessario che la Commissione amministrativa del Tribunale d’appello giunga a formulare le proprie conclusioni giuridiche sugli accertamenti dell’avvocata Galliani al più presto. Altrimenti si alimenta il sospetto che si voglia nascondere qualcosa. La vicenda che la stampa ha definito ‘caos Tribunale penale cantonale’ sta andando avanti da troppi mesi e ancora non se ne intravede la fine. Il presunto mobbing avrebbe dovuto essere chiarito subito dalla stessa magistratura, dai suoi organi di controllo e di autogoverno. Così non è stato e la situazione è degenerata. Questa storia è costellata anche di ritardi e scelte inopportune.

Scelte inopportune, vale a dire?

Anzitutto ritengo che gli accertamenti sul presunto mobbing andassero disposti dalla Commissione amministrativa del Tribunale d’appello. Lo ha fatto invece il Consiglio di Stato, conferendo un mandato all’avvocata Galliani, la quale, per quanto indubbiamente capace come legale, è, in veste di penalista, utente del Tribunale penale stesso. Autonomia e indipendenza non sono parole vuote, devono essere concrete ma anche apparenti. Quel mandato personalmente l’avrei dato a un perito fuori cantone, per evitare qualsiasi dubbio o illazione. È quanto abbiamo fatto ad esempio per il dossier dell’ex funzionario del Dipartimento sanità e socialità, condannato per reati sessuali; come commissione della Gestione ci eravamo rivolti a uno studio legale di Ginevra, specializzato in diritto del lavoro, abusi e mobbing. Ma nel ‘caos Tribunale penale cantonale’ ci sono state altre cose inopportune.

Allude alle foto tratte dal web e inviate dal presidente del Tpc Mauro Ermani alla segretaria presunta vittima del mobbing?

Sì. Da un giudice sono comportamenti che cittadini e cittadine non si aspettano. Comportamenti inappropriati, a maggior ragione se chi li tiene ricopre un ruolo istituzionale così importante. Che non si confanno certo a un magistrato, dal quale ci si attende ben altra serietà. Quelle immagini prese su internet e trasmesse da Ermani alla segretaria le abbiamo viste tutti! A cominciare dalla foto con i due falli di plastica giganti, con una donna seduta in mezzo e la scritta ‘Ufficio penale’. Già questa scritta basta a ledere la credibilità dell’autorità giudiziaria che Ermani presiede. Per non parlare delle tre foto con bambini, uno che lecca sulla bocca un maiale, l’altro addirittura sporco e nudo. Anche se per la legge non configureranno il reato di pornografia, sono foto che riducono i bambini a oggetto da circo, il cui invio è e resta del tutto inaccettabile. Se si continua a ragionare solo da giuristi con il bilancino in mano, ignorando la sostanza, non se ne viene fuori. Ma non mi limiterei a parlare solo di inopportunità.

Si spieghi meglio.

Con un clic, mandando a terzi quelle foto, il giudice Ermani ha fatto strame di ogni principio che sta alla base della tutela dell’infanzia, spiegati ‘oves et boves’ in decenni di sforzi di chi si batte per il rispetto dei diritti dei fanciulli. Principi che dovrebbero essere ovvi per un giudice anche perché ancorati alla ‘Convenzione Onu sui diritti del fanciullo’, che la Svizzera ha ratificato nel 1997. “Nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata”, stabilisce tra l’altro questa Convenzione. Quelle immagini un magistrato, chiamato a indagare o a giudicare anche in materia di reati sessuali e pedofilia, non le può mandare in giro.

C’è chi insiste sul contesto, chi continua a sostenere che quelle foto vanno contestualizzate.

Questa storia del contesto è fumo negli occhi, un esercizio di distrazione di massa per sviare dal vero problema. Sono foto inviate in un contesto di lavoro serio, da un giudice sessantenne, non un adolescente. Il vero problema è rappresentato da questi comportamenti disdicevoli e infantili che recano danno alle istituzioni, alla loro credibilità. A ex magistrati come Luciano Giudici e Fulvio Pelli non è stato necessario conoscere il contesto. È bastato loro vedere sul giornale quelle foto per chiedere a Ermani di farsi da parte, sostenendo che la sua carriera è finita. Non c’è neppure da meravigliarsi se arriveranno istanze di ricusazione da parte di avvocati di vittime di reati sessuali, che dubiteranno della sua imparzialità di giudizio e non avranno più fiducia in lui. Allora sì che si capirà in tutta la sua portata il grave danno che ha fatto alla magistratura ticinese.

In base alla Legge sull’organizzazione giudiziaria, il Consiglio della magistratura può infliggere sanzioni disciplinari “nei confronti del magistrato inadempiente nell’esercizio delle sue funzioni o che, con il suo comportamento, offende la dignità della magistratura”. Secondo lei, Ermani con l’invio di quelle foto ha offeso la dignità della magistratura?

Senza ombra di dubbio. Della magistratura e dei bambini.

Lapidario. Non esagera?

Per niente. Lo ribadisco: queste foto offendono la dignità della giustizia. E nel caso di quelle con fanciulli costituiscono un affronto alla dignità del bambino: sono foto di scherno che presentano dei bambini come un fenomeno da baraccone. Fanciulli di pochi anni che hanno nome e cognome e un domani proprio per questi motivi potrebbero venire persino bullizzati. La responsabilità è esclusivamente di chi con questi atteggiamenti ha cucinato ’sta brodaglia, non certo di chi ha sollevato il coperchio adempiendo al suo dovere.

Sul ‘caos Tpc’ ci sono accertamenti di natura amministrativa e un’inchiesta innescata da una denuncia per diffamazione. La commissione parlamentare di cui lei è presidente non farebbe meglio, anche qui per opportunità, ad attendere l’esito di quelle indagini prima di giungere a delle conclusioni?

La commissione ’Giustizia e diritti’, come qualsiasi altra commissione del Gran Consiglio, è espressione della popolazione e quindi del Paese. Una popolazione che si interroga su quello che sta succedendo al Tpc e sul perché un giudice invia foto del genere a una segretaria. La commissione, dopo troppi mesi dall’inizio della vicenda, si sta preoccupando, come il resto del Paese, per delle risposte che da Palazzo di giustizia stentano ad arrivare. In verità non c’è proprio nessuna invasione di campo: la separazione dei poteri è salvaguardata, poiché nessuno sta interferendo minimamente sull’attività giusdicente del Tribunale. Ma visto che si parla di invasioni di campo, queste semmai le aveva commesse sempre Ermani, con i famosi messaggini inviati al procuratore generale, per appoggiare o demolire qualche candidato o qualche candidata, in occasione del tribolato rinnovo delle cariche in seno al Ministero pubblico nel 2020. Per noi, la magistratura e le istituzioni fu un periodo difficile anche quello, che lasciava già presagire un clima malsano.

Il presidente del Plr Speziali ha detto a più riprese che per lui la squadra di giudici del Tribunale penale cantonale è compromessa. Concorda?

Per quanto attiene all’inchiesta ci sono accertamenti in corso, spetta solo a Consiglio della magistratura e Commissione amministrativa del Tribunale d’appello entrare nel merito. Per quanto riguarda invece le fotografie e altre cose deplorevoli, queste riguarderebbero solo Ermani e finora non ci risulta che gli altri quattro giudici abbiano tenuto comportamenti di questo genere.

Nella risoluzione che firmerete oggi in commissione ‘Giustizia e diritti’, con le vostre proposte di riforma, chiederete anche un Codice etico. Con che obiettivi?

Innanzitutto per salvaguardare la dignità della carica e dell’istituzione che si rappresenta, non solo sul posto di lavoro ma anche nella vita privata, social compresi. La giustizia è investita da una sorte di sacralità che deve essere preservata da chi la esercita e della quale deve avere cura e rispetto. Sarà compito del Consiglio della magistratura di allestirlo sull’esempio di altri stati democratici attorno a noi. Alla luce dei fatti è uno strumento indispensabile e meraviglia che il potere giudiziario non ne sia già dotato. Ovviamente non tocca a noi prepararlo, ma questa è l’occasione d’oro per il Cdm di chinarsi sul tema e colmare la lacuna: non tutto il male viene per nuocere.