Caos Tpc, non solo foto. Anche inciampi e lungaggini del Consiglio della magistratura e del Tribunale d'appello minano la credibilità della Giustizia
Sull’affaire Tribunale penale cantonale (Tpc) il martellamento politico che qualcuno rimprovera alla commissione ‘Giustizia’ del Gran Consiglio – in particolare al suo coordinatore, Fiorenzo Dadò, ‘reo’ di ragionare come ragiona la stragrande maggioranza dei cittadini comuni, che da un giudice (nella fattispecie il presidente del Tpc Mauro Ermani) non si aspetta determinati comportamenti, ovvero l’invio di discutibilissime foto, anche se tratte dal web – deriva pure dal sostanziale immobilismo del potere giudiziario. Che alla prova dei fatti non è in grado di autogovernarsi. È da mesi, troppi, che il caso del presunto mobbing subìto da una segretaria del Tpc (da parte di una collega), e da lei segnalato lo scorso autunno seguendo le vie di servizio, si trascina. Un caso che né lo stesso Tribunale penale, né la Commissione amministrativa del Tribunale d’appello (Ta), di cui il primo fa parte, e neppure il Consiglio della magistratura (Cdm) hanno sin qui risolto, come avrebbero dovuto fare nel quadro delle rispettive competenze. E soprattutto in tempi ragionevolmente brevi. Per evitare che i rapporti fra i giudici del Tpc degenerassero, come è avvenuto.
Immobilismo. E inciampi. Come quello del presidente del Cdm Damiano Stefani, che il 20 agosto alla ‘Rsi’ ha dichiarato di aver «visto solo ora», cioè sul nostro giornale, «l’immagine» dei due peni di plastica giganti, con una donna seduta in mezzo e la scritta ‘Ufficio penale’, inviata da Ermani alla segretaria presunta mobbizzata. Invero quell’immagine era nota al giudice Stefani da settimane. Altro inciampo: la fuga di notizie sull’apertura di un procedimento disciplinare a carico dei giudici del Tpc Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti, i quali avevano informato la Commissione amministrativa del Ta del difficile clima di lavoro da attribuire secondo loro ai colleghi Ermani, Marco Villa e Amos Pagnamenta, che hanno in seguito denunciato per diffamazione in relazione ai contenuti di una controsegnalazione dei tre al Cdm ed Ermani anche per pornografia in relazione alla citata foto (reato inesistente, ha stabilito il pp). Quadri e Verda Chiocchetti hanno appreso del procedimento disciplinare dai media, poiché il loro legale non aveva potuto ritirare, trovandosi all’estero, la raccomandata del Cdm. Di quel procedimento sapeva/avrebbe saputo solo chi lo ha deciso: il Cdm. La Procura ha aperto un’indagine (penale) per violazione del segreto d’ufficio? O per quieto vivere a Palazzo di giustizia, ha rinunciato?
Si parlava di immobilismo. Siamo così al recente contorto comunicato stampa della Commissione amministrativa del Ta, da giugno presieduta dal giudice Giovan Maria Tattarletti. Tante righe per dire fondamentalmente che il rapporto allestito dall’avvocata Maria Galliani, su mandato del Consiglio di Stato, non può essere divulgato essendo un atto d’inchiesta e dunque coperto dal segreto d’ufficio. Galliani ha consegnato poco più di un mese fa il rapporto al governo, che lo ha girato ai vertici del Ta, datore di lavoro delle due segretarie. Quanto tempo serve ancora alla Commissione amministrativa per trarre le conclusioni giuridiche sugli accertamenti dell’avvocata circa l’asserito mobbing ed eventualmente adottare provvedimenti? Pare di capire inoltre che sul ‘caos Tpc’ non sia stato fino ad oggi convocato il plenum dei giudici del Ta, che per legge designa presidenti e membri delle sue Sezioni e Camere. Si teme di alterare equilibri interni al Tribunale? D’accordo procedure e garanzie, ma lungaggini e inciampi (oltre a certe foto) gettano un’ombra sulla credibilità del potere giudiziario.