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Rapimento Mazzotti, domani si apre il nuovo processo

In Corte d'Assise a Como il dibattimento a carico dei presunti sequestratori materiali della giovane milanese uccisa nel 1975. L'ombra della 'ndrangheta

In sintesi:
  • Quattro gli imputati, legati alla mafia calabrese
  • Una lunga tragica vicenda con risvolti anche ticinesi
Una tragica vicenda, dai risvolti anche ticinesi
(Ti-Press)
23 settembre 2024
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A mezzo secolo dal rapimento di Cristina Mazzotti inizia domani, martedì, in Corte d’assise di Como il processo nei confronti dei presunti (uno è reo confesso) sequestratori materiali (50 milioni di lire il compenso pattuito) della 18enne studentessa milanese che nonostante il pagamento del riscatto (1 miliardo e 50 milioni di lire, una somma enorme) non è mai tornata a casa. Uccisa. Una vicenda dai risvolti anche ticinesi.

Alla sbarra quattro calabresi, legati alla ’ndrangheta: Giuseppe Morabito (80 anni di Africo, omonimo del più noto ‘u Tiradritto’), Demetrio Latella (69 anni di Reggio Calabria), Giuseppe Calabrò (74 anni di San Luca) e Antonio Talia (73 anni di Africo), accusati di concorso in sequestro di persona e omicidio volontario, aggravato dalla crudeltà, della 18enne studentessa rapita il 1° luglio 1975, a pochi metri dalla casa di Eupilio, sopra Erba. Tra i carcerieri, il ticinese Libero Ballinari. Fu la prima donna a essere rapita dall’Anonima sequestri calabrese nel Nord Italia. A sostenere l’accusa sarà il pm Stefano Civardi, della Direzione distrettuale antimafia di Milano, che nel 2022 ha riaperto l’inchiesta sul tragico rapimento di Mazzotti. Si sapeva che i rapitori materiali non erano stati i carcerieri, ma degli invisibili rimasti nell’ombra sino al 2007. Sino a quando grazie a una impronta digitale rilevata su una Mini Minor sulla quale si trovava la studentessa la notte del sequestro non è stato possibile risalire a Latella che, scoperto, aveva ammesso tutto, facendo i nomi dei complici.

Fra passato e presente

Il corpo della giovane era stato trovato la sera del 1° settembre 1975 nella discarica di Galliate, in provincia di Novara, a seguito della confessione di Libero Ballinari, contrabbandiere ticinese, uno dei carcerieri della 18enne, che in una banca di Ponte Tresa aveva depositato 56 milioni di lire. Soldi provenienti dal riscatto pagato da Helios Mazzotti per la liberazione della figlia. Helios non aveva retto al dolore per la morte di Cristina: è deceduto sette mesi dopo, a 57anni. Ballinari, messo alle strette dal delegato di Polizia di Lugano Gualtiero Medici, aveva raccontato che il corpo della 18enne era stato sepolto nella discarica a Galliate sotto una carrozzina. Un racconto supportato da un disegno della discarica di Galliate. La studentessa era stata tenuta segregata in condizioni disumane per un mese e poi morta per i tranquillanti che i suoi aguzzini le somministravano per placare i pianti e la paura. Tredici aguzzini, che dai poliziotti della Squadra mobile di Como, guidata da Pericle Bergamo, erano stati arrestati pochi giorni dopo la conclusione del tragico rapimento.

Nel corso degli anni otto rapitori di Cristina Mazzotti sono deceduti, fra loro anche Libero Ballinari, processato assieme al gestore della banca di Ponte Tresa a Lugano per essere entrambi condannati: erano stati arrestati su mandato del procuratore dell’epoca, Paolo Bernasconi. Arresti che rappresentavano una svolta nelle indagini sui modi e sui metodi per riciclare denaro sporco proveniente dall’Italia. Nel processo che si celebra a Como l’attenzione si concentra sul boss di ’ndrangheta Giuseppe Morabito, residente da moltissimi anni a Tradate, che assieme ad altri capi clan quali Francesco Aquilano e Giacomo Zagari, entrambi nel frattempo deceduti, è accusato di essere stato l’organizzatore del rapimento della studentessa. Gli attuali imputati sono legati alla criminalità organizzata – radicata nel Comasco e nel Varesotto negli anni 80 – che ha messo a segno numerosi sequestri di persona. La posizione di Latella, Calabrò e Tallia nel giugno 2012 era stata archiviata dai giudici di Milano nel presupposto giuridico che, oltre al prescritto sequestro di persona, anche l’omicidio volontario aggravato sarebbe stato prescritto. Le indagini sul rapimento della studentessa sono state riaperte a seguito di una sentenza delle sezioni riunite della Corte di cassazione che ha stabilito come non c’è prescrizione per l’omicidio volontario aggravato. “La ricerca della verità e della giustizia non si prescrivono mai in un Paese civile”, ha commentato l’avvocato Fabio Repici che assiste Vittorio e Marina Mazzotti, i fratelli di Cristina che si sono costituiti parte civile.