Sergi e Pronzini (Mps) propongono alcune modifiche alla Legge sul Gran Consiglio. Obiettivo: ‘Maggiore trasparenza delle istituzioni politiche’
Non solo le sedute del Gran Consiglio, ma pure le riunioni delle sue commissioni dovrebbero essere “pubbliche e accessibili mediante streaming audio e video”. Anche “con registrazioni audiovisive archiviate e rese senza indugio di libero accesso”. In diretta o in differita insomma. La proposta è dei due deputati del Movimento per il socialismo, Giuseppe Sergi e Matteo Pronzini. I quali con un’iniziativa parlamentare suggeriscono delle modifiche puntuali alla Legge sul Gran Consiglio per assicurare “una maggiore trasparenza delle istituzioni politiche (e qualche diritto in più per le minoranze)”. Trasparenza, uno dei concetti chiave della democrazia.
Nelle commissioni entrano di diritto i partiti che fanno gruppo: almeno cinque eletti. Ed è in questi organi che per finire si compiono i giochi, che si prendono le decisioni, di rado sconfessate dal plenum del Gran Consiglio, su messaggi governativi (crediti, revisioni normative…) e atti parlamentari. In base al vigente secondo capoverso dell’articolo 34 della legge che disciplina l’attività del legislativo cantonale, le sedute commissionali “non” sono pubbliche. Gli iniziativisti chiedono che lo siano. Propongono pertanto di cancellare il “non” e di estendere alle riunioni delle commissioni la disposizione, della stessa legge, riguardante le sessioni del plenum del parlamento: l’articolo 122 stabilisce che le sedute del Gran Consiglio sono pubbliche e che la pubblicità è garantita anche “mediante streaming audio e video, con registrazioni audiovisive archiviate e rese senza indugio di libero accesso”. Eccezioni? Sì. Deroghe alla pubblicità delle riunioni commissionali, e quindi allo streaming, “possono essere decise solo in relazione alla protezione dei dati personali o per riguardo a un procedimento in corso” (per esempio un procedimento giudiziario): è il testo prospettato dall’Mps.
Le rivendicazioni di Sergi e Pronzini per una “maggiore trasparenza” delle istituzioni politiche, e per dare “qualche diritto in più” agli attuali piccoli partiti, tra cui l’Mps, sono più di una. Agendo sempre sulla Legge sul Gran Consiglio, propongono di introdurre la norma per la quale ogni messaggio licenziato dal governo “deve indicare se il Consiglio di Stato lo ha approvato all’unanimità o a maggioranza”. Chiedono inoltre che i rapporti vengano trasmessi a tutti i membri del Gran Consiglio “appena approvati dalle commissioni”. Che (tutti) i deputati abbiano accesso “ai verbali e ai documenti delle commissioni parlamentari” e “dell’Ufficio presidenziale” del Gran Consiglio, nonché “a tutta la documentazione prodotta dall’Amministrazione in relazione alla discussione di messaggi o atti parlamentari”. E che, “per le necessità dell’attività parlamentare”, i granconsiglieri possano “richiedere documentazione direttamente ai servizi dell’Amministrazione”.
Per Sergi e Pronzini, il Gran Consiglio ticinese “non brilla per trasparenza e democrazia: lo abbiamo sottolineato a più riprese, segnalando, di volta in volta, gli episodi più significativi”. A detta dei due deputati, “il risultato di questi atteggiamenti dominanti è la limitazione dell’attività parlamentare ai partiti che fanno gruppo, escludendo di fatto tutti gli altri dall’attività parlamentare: oggi si tratta di tredici deputati/e su novanta, pari quasi al 15%”. Il fatto che ad alcuni degli “altri” partiti “sia stato concesso di partecipare ognuno a una delle commissioni tematiche (quattro in tutto) è solo la conferma di questo atteggiamento dei partiti maggiori: ognuno di questi partiti è stato scelto per la sua ‘vicinanza’ politica o elettorale ai partiti di governo con un accordo il cui unico obiettivo – lamentano Pronzini e Sergi – è stata l’esclusione dell’Mps. Misteri della democrazia parlamentare made in Ticino!”.
Osservano gli iniziativisti: “Resta il fatto che l’attuale funzionamento del parlamento è assolutamente opaco e, come sempre, si presta a pratiche che contraddicono nella forma (legalmente) e nella sostanza le disposizioni regolamentari. Basterà ricordare come sistematicamente i contenuti, i documenti, le stesse bozze di rapporti commissionali arrivino nelle mani dei giornalisti – che giustamente cercano di fare al meglio il proprio lavoro informando – prima che in quelle dei parlamentari”. I deputati e le deputate che non sono nelle commissioni “devono far capo ai resoconti giornalistici per conoscere contenuti, decisioni, dibattiti delle commissioni del parlamento del quale fanno parte”. E rincarano: “Questo sistema opaco è funzionale a una concezione della democrazia parlamentare costruita su accordi spesso indicibili e ingiustificabili, su scambi più o meno sotterranei, su veti incrociati fondati più su calcoli politici presenti e futuri, che su vere e proprie posizioni politiche o ideologiche. Significativo, anche da questo punto di vista, il funzionamento (quasi omertoso) delle commissioni parlamentari. Le quali, lo dice la parola stessa, sono organi del parlamento e quindi dovrebbero godere della pubblicità di cui godono le sedute del Gran Consiglio”. Spesso le commissioni, scrivono Sergi e Pronzini, “vengono indicate come i luoghi deputati alla formazione di maggioranze, alla conclusione di accordi o compromessi conclusi ‘nell’interesse del Paese’; luoghi dove si vedono concretamente modi e tempi della formazione della volontà parlamentare”. E allora “non si capisce per quale ragione questi alti luoghi della democrazia parlamentare debbano essere invisibili e inaudibili non solo ai parlamentari che non ne fanno parte, ma anche al ‘sovrano’”, il popolo, “al quale tutti giurano rispetto e fedeltà”. Secondo i deputati dell’Mps, le proposte contenute nella loro iniziativa “avrebbero il vantaggio di rendere un po’ più credibili le dichiarazioni di trasparenza e ‘apertura al dialogo con i cittadini e le cittadine’ che spesso sentiamo proferire, con solennità, dai maggiori partiti presenti in parlamento”.