È quanto emerge dal notiziario statistico dell’Ustat relativo al primo trimestre del 2024 che conferma la contrazione già osservata a fine 2023
Un calo del numero di posti di lavoro e un aumento della disoccupazione che torna su livelli superiori alla media degli ultimi dieci anni. È quanto emerge dal notiziario statistico dell’Ustat, l’Ufficio di statistica, relativo al primo trimestre del 2024. Documento che conferma per questo periodo la contrazione dell’occupazione già osservata a fine 2023, come pure una diminuzione del numero di posti vacanti, riflesso di un rallentamento generale del mercato del lavoro.
“Le 234’700 persone occupate secondo il concetto interno – si legge nel notiziario – sono il 2,2% in meno rispetto allo stesso trimestre del 2023”, vale a dire un calo di 5’300 persone. Questa evoluzione, viene evidenziato, “si discosta dalla tendenza nazionale, che mostra invece un aumento dell’occupazione dell’1,4%”. In tal senso, dopo il picco registrato nel 2023, il più alto nelle statistiche dell’occupazione, si torna quindi su valori più allineati a quelli degli anni precedenti. Rispetto a cinque anni fa, il notiziario registra comunque un aumento “di circa 1’700 occupati secondo il concetto interno (+0,7%)”.
Il calo dell’occupazione si riflette in un aumento della disoccupazione. Rispetto al primo trimestre del 2023, mette in luce il documento, “si contano ora oltre 1’100 persone disoccupate in più, per un tasso di disoccupazione del 7,2%, un valore superiore alla media degli ultimi dieci anni che è del 6,8%”. Per l’Ustat si tratta di “un elemento supplementare che conferma il rallentamento successivo alla fase positiva registrata fino a meno di un anno fa”.
Nel primo trimestre del 2024, dettaglia poi l’Ufficio di statistica, “le persone non attive sono oltre 133’600, quasi novecento in più rispetto a un anno prima e oltre 1’200 in più rispetto all’ultimo trimestre”. Questo aumento, afferma il notiziario, “è coerente con l’andamento di medio periodo: rispetto a cinque anni fa, il numero di inattivi è aumentato di quasi 12mila persone, ovvero del 9,8%”. Stando ai dati, la crescita costante della popolazione inattiva negli ultimi cinque anni è dovuta principalmente all’aumento dei beneficiari di pensioni o altre rendite (quasi 7’300 in più) e di altre persone non attive (+6’400), tra cui spiccano in particolare le persone in formazione (+4’400). Solo gli inattivi che si occupano dell’economia domestica sono diminuiti (-1’700). “Questa evoluzione – rileva l’Ustat – ha portato a un calo del tasso di attività standardizzato nel corso dell’ultimo decennio, che è passato dal 57,4% nel primo trimestre del 2014 al 56,9% nello stesso trimestre del 2024”.
Per quanto concerne invece i posti di lavoro, scrive l’Ustat, “i dati confermano quanto emerso per l’occupazione, sebbene con contrazioni più contenute. Nel primo trimestre del 2024 i posti di lavoro in Ticino sono diminuiti dello 0,2%, vale a dire di 512 impieghi, confronto allo stesso periodo del 2023”. In termini di equivalenti a tempo pieno, l’Ufficio di statistica registra una contrazione maggiore e pari allo 0,4%, cioè 876 posti di lavoro. Per l’Ustat, la maggiore contrazione in termini di equivalenti a tempo pieno è dovuta anche a una riduzione generale delle percentuali di lavoro. “La contrazione dei posti di lavoro – viene chiarito – non è accompagnata da un aumento dei posti liberi, che risultano anch’essi in diminuzione. Attualmente, si contano circa 1’700 posti vacanti, lo 0,7% degli impieghi totali, in calo di oltre ottocento unità rispetto allo stesso trimestre del 2023”.
Il notiziario si è infine concentrato sulle dinamiche diverse, sia in termini di occupazione che di salari, che caratterizzano i residenti e i frontalieri. “Il mercato del lavoro ticinese – ricorda lo studio – è caratterizzato dalla significativa presenza di lavoratori frontalieri, che occupano oltre un terzo dei posti di lavoro. Questa situazione è il risultato di evoluzioni ben distinte tra il numero di lavoratori residenti e frontalieri negli ultimi decenni”. Solo negli ultimi cinque anni, salta all’occhio, “gli occupati residenti sono calati di 6’100 unità (-3,6%), mentre i lavoratori frontalieri sono aumentati di quasi 10mila unità (+14,5%)”. Non solo. “I due gruppi si distinguono anche per i livelli salariali. Oltre ai fattori storici e al diverso costo della vita, un ruolo importante è svolto dalla diversa composizione della manodopera residente e frontaliera”. La differenza di poco più di mille franchi in termini di salario mensile lordo standardizzato, viene rilevato, “si giustifica in buona parte grazie alla componente strutturale”. In altre parole, “il divario tra residenti e frontalieri è significativo, ma in buona parte, per il 56%, giustificato dal fatto che i frontalieri occupano più frequentemente posizioni meno retribuite rispetto ai residenti.