Oggi, dopo otto anni, il segretario dell'Ocst Renato Ricciardi passa il testimone a Xavier Daniel. Ricordi, emozioni e battaglie di una vita al fronte
«Ho messo tutto me stesso, e ho avuto la fortuna di essere stato ricambiato per aver potuto lavorare con validi collaboratori ed esserci messi insieme al servizio delle lavoratrici e dei lavoratori». C’è un filo di emozione, e non potrebbe essere altrimenti, nella voce di Renato Ricciardi alla vigilia del suo pensionamento e del passaggio di consegne della segreteria cantonale dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese a Xavier Daniel. «Sono davvero grato di aver potuto affrontare molte sfide, con passione, servendo al meglio i nostri aderenti» ricorda in un lungo colloquio con ‘laRegione’ Ricciardi, alla testa dell’Ocst dal 2016 ma attivo nel sindacato una vita intera: «Il sindacato più rappresentativo, che è molto cresciuto, ed è per me motivo d’orgoglio aver combattuto tante battaglie».
A quali è più affezionato?
Nella mia prima fase all’Ocst mi sono occupato del settore pubblico e di quello sociosanitario, abbiamo creato e rinnovato molti Contratti collettivi di lavoro, credendo sempre nella contrattazione collettiva che, in quegli anni, significava avere uno strettissimo contatto coi lavoratori, ascoltarli, capirli. In queste situazioni il sindacato ha guadagnato credibilità e fiducia.
Poi nel 2016 arriva la segreteria cantonale.
Ricordo due momenti molto importanti. Il primo è stato il centenario dell’Ocst nel 2019, ho avuto l’onore di traghettare l’Organizzazione in questo importante giubileo e in questo momento di festa abbiamo anche continuato la riflessione sui valori che stanno alla nostra origine, fatto un bilancio e messo in piedi idee per lo sviluppo. Che parte dal riappropriarsi della tradizione, che è essenziale per comprendere il presente: non per chissà quale nostalgia, ma per risvegliare i valori portanti e rinsaldare le nostre fondamenta senza dare nulla per scontato. Il secondo momento è stato quello della pandemia, che di fatto ha creato una cesura che ha fermato certe tendenze di sviluppo accelerandone altre. Se ripenso a quei giorni mi pervade una grande emozione, quante riunioni con Consiglio di Stato, colleghi sindacalisti e associazioni imprenditoriali cercando accordi, confrontandoci, lottando per i margini di autonomia che siamo riusciti tutti insieme a far ottenere al Ticino. Le ordinanze federali cambiavano di continuo, era un adattamento costante a una realtà difficile e preoccupante, con la salute dei lavoratori da proteggere. Alla fine l’unità d’intenti ci ha premiato, e abbiamo assistito a un momento dove si è consolidato il concetto di sussidiarietà sia verticale verso la Confederazione, sia orizzontale tra parti sociali e Stato.
In tutti questi anni quanto è cambiato il modo di fare sindacato? La pandemia di cui abbiamo appena parlato ha accelerato certe dinamiche o ne ha imposte di nuove?
È cambiato tantissimo il modo di fare sindacato, ed è molto importante dirlo. Assieme alla pandemia penso alle conseguenze prodotte sul lavoro dalla transizione ecologica ed energetica, e i cambiamenti esterni hanno prodotto delle modalità di lavoro nuove. Se aggiungiamo l’intelligenza artificiale e il telelavoro le sfide si moltiplicano, e la sostituzione del personale, la perdita di posti di lavoro sono sempre più un rischio. Se non si farà nulla per la riconversione del personale nei settori più esposti ai problemi, se non si troveranno nuove forme lavorative che permettano di recuperare persone e competenze sarà grama. Una volta il sindacalista era una figura molto individuale, che andava nei cantieri, parlava, ascoltava. Adesso la vera forza è il collettivo, lavorare assieme, formare sia i sindacalisti sia i lavoratori per migliorare assieme le condizioni.
Ha ragione chi sostiene che il mercato del lavoro ticinese sia così degradato? Lei come si posiziona davanti alle accuse spesso e volentieri rivolte al padronato?
Cominciamo dall’inizio: sì, il mercato del lavoro ticinese è veramente degradato. Crescendo e aumentando la crisi economica, inevitabile dopo la pandemia come abbiamo detto, si trattava di gestire al meglio la nuova situazione venuta a crearsi, soprattutto in alcuni settori. In alcune aziende, ma non tutte per fortuna, sono ancora diffusi speculazione e sfruttamento dei lavoratori. Il nostro mercato del lavoro viaggia a due velocità: da una parte ci sono aziende che non garantiscono il minimo indispensabile, dall’altra aziende con le quali si possono costruire condizioni di lavoro innovative e adeguate ai bisogni.
Ed entra giocoforza il concetto di persona. In cosa la dottrina cristiano sociale vi aiuta nello svolgere il vostro ruolo sindacale?
Il metodo non cambia, ma con queste crisi, i nuovi bisogni e i nuovi disagi che si registrano, la vera necessità è ascoltare. Noi parliamo spesso coi nostri colleghi attivi nei posti di lavoro, per comprendere e cercare di capire le varie situazioni personali. Poi, insieme, cerchiamo di sostenere i lavoratori e farli uscire da momenti delicati. Il burnout e il telelavoro sono due temi che ci occupano molto da vicino, anche a livello di formazione interna. Per questo dico che il metodo non cambia: cambiano semmai le forme, gli obiettivi, ma la vicinanza alla persona e ai suoi bisogni sono il Dna dell’Ocst.
Ocst che, anche con lei, è spesso stata rappresentata in parlamento. Quanto è importante la cosiddetta ‘ala sindacale’ del Centro, fu Ppd?
Una doverosa premessa: siamo un sindacato libero e indipendente, con libertà di azione e analisi rispetto alla politica e i partiti. Facciamo parte di Travail.Suisse, organizzazione mantello professionale e apolitica. È importante che all’attività del sindacato possano partecipare esponenti anche di altri partiti. Col Ppd, ora il Centro, c’è un atteggiamento di profonda libertà da parte nostra. Poi è chiaro, se vogliamo ottenere progressi nella società il côté politico è fondamentale. Alcuni esempi: la recente vittoria sull’Avs, quella sull’eliminazione del contributo di solidarietà dei dipendenti pubblici per il risanamento delle finanze, le prossime battaglie sui premi di cassa malati.
C’è chi vi definisce ‘sindacato giallo’ in confronto magari ad altri più pugnaci e barricaderi. È così?
Assolutamente no. Non è mai stato, né è così. Abbiamo spesso dimostrato di fare fino in fondo l’interesse dei lavoratori, stando sempre dalla loro parte. La seconda cosa importante da dire è che noi siamo per un autentico dialogo sociale che, però, e lo precisano con chiarezza anche le Encicliche sociali, presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro. Quando difendiamo ad esempio la necessità di riconoscere il rincaro per i dipendenti pubblici vogliamo proteggere i redditi delle persone e delle famiglie. Noi siamo per il partenariato, uno stile di fare sindacato cui teniamo molto.
Cosa si sente di dire a Xavier Daniel che oggi raccoglierà da lei il ruolo di segretario cantonale?
Innanzitutto sono molto contento che Xavier sia stato designato come segretario cantonale, e grazie al suo lavoro incontra un riconoscimento pubblico di cui mi compiaccio. Gli auguro di essere fedele ai valori che hanno sempre guidato l’Organizzazione cristiano-sociale in Ticino e in Svizzera, e sono sicuro che lo farà, analizzando e guardando alle evoluzioni di mercato del lavoro ed economia per essere sempre pronti a reagire al meglio.
Lascia con qualche rimpianto guardandosi indietro?
No. Lascio con grande soddisfazione e onorato del lavoro che ho potuto svolgere, raccogliere l’eredità di Meinrado Robbiani non era facile. Grazie a tutti i miei collaboratori siamo riusciti a fare un lavoro spero buono.
Tra questi collaboratori c’è stato, molto a lungo, anche Giovanni Scolari, morto all’improvviso un anno e mezzo fa. Una scomparsa che l’ha toccata.
A Giovanni io personalmente e tutta l’Ocst dobbiamo un ringraziamento enorme per tutto l’impegno che ha messo nella sua attività. Si è fatto ben volere dai lavoratori, è riuscito a creare una rete di fiducia e amicizia che rappresentava bene la bella persona che era. Ricordo tra le tante battaglie che abbiamo fatto insieme, con particolare simpatia quella contro la regionalizzazione dei salari. Doveva partecipare all’assemblea che doveva approvare la trattativa nazionale, e lui e i delegati indossarono una maglietta con la scritta ‘Contro i salari ti-cinesi’. Aveva molto a cuore che il Ticino non fosse penalizzato nei confronti degli altri Cantoni. Mi manca Giovanni, ancora adesso mi rende molto triste la sua scomparsa e abbiamo cercato e cerchiamo di star vicini alla sua famiglia.