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A lezione di ’ndrangheta con Pulice, collaboratore di giustizia

Il pentito dalle mille vite: ‘Le cosche hanno scoperto che la finanza consente di guadagnare senza correre grandi rischi. Le mie esperienze lo dimostrano’

Riflettori nuovamente accesi sul killer togato
(Keystone)
8 aprile 2024
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Riflettori nuovamente accesi su Gennaro Pulice, il pentito dalle molte vite. Dapprima killer della ’ndrangheta, sei omicidi, il primo del quali quando ancora era minorenne per vendicare il padre ucciso da un clan rivale. Poi uomo d’affari per conto della criminalità organizzata, per la quale ha riciclato e gestito ingenti capitali, un centinaio di milioni di euro, nonché dirigente calcistico di Serie A. Infine collaboratore di giustizia. Un fiume in piena che ha supportato l’accusa nelle più importanti inchieste della Dda, la Direzione distrettuale antimafia, di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri, che nel corso dell’ultimo decennio ha scardinato alcune delle più agguerrite cosche che hanno insanguinato la Calabria.

Impegnato in varie attività a Lugano

In questi giorni sui media calabresi vengono pubblicati ampi stralci delle confessioni di Pulice, una sorta di lectio magistralis del killer togato (è laureato in Giurisprudenza e Scienze giuridiche), molto attivo nella sua seconda vita in varie attività che andavano dal settore immobiliare alla consulenza legale e commerciale sia in Italia sia all’estero (Las Vegas, Slovenia, Qatar, Svizzera), compresa anche la gestione di una lavanderia – che gli serviva come copertura, per mascherare le attività illegali – a Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria, dove è stato arrestato nel 2015, in occasione dell’operazione Andromeda, che lo ha fatto conoscere anche in Canton Ticino. Attività che nel biennio 2013-2015 (“sarei andato avanti a lungo se non fossi stato arrestato”) lo hanno visto impegnato a Lugano con una società di consulenza denominata ‘Pulice Consulting’, un negozio di mobili, uno studio di progettazione (‘Ambienti Service Sa’) e proprietà immobiliari a Lucerna, oltre che in riva al Ceresio.

Un impero esteso anche in diverse località italiane, della cui esistenza si è avuta notizia a seguito delle confessioni di Pulice, che, al vaglio dei pm antimafia calabresi, impegnati a trovare riscontri soprattutto laddove lancia pesanti accuse a destra e a manca, con nomi e cognomi, potrebbero portare a clamorosi sviluppi. Racconta il pentito, che con moglie, due figli e nuove generalità vive in una località segreta, guardato a vista dalle forze dell’ordine per sottrarlo alle pesanti minacce che gli sono grandinate addosso: “In Svizzera, diverse cosche calabresi avevano studi di consulenza. C’erano faccendieri capaci di procurare fideiussioni false per avere entrature con dirigenti bancari e quindi ottenere linee di credito. Esperienze che ho vissuto di prima mano, nel periodo che ho abitato a Lugano, dove ero arrivato, dopo il pagamento di una mazzetta a un funzionario comunale di origini calabresi, che mi aveva procurato il permesso di soggiorno in Ticino”.

Un’autocelebrazione delle proprie capacità

Gli stralci delle confessioni di Gennaro Pulice danno l’impressione di un’autocelebrazione delle proprie capacità nel condurre attività illegali. Ai pm antimafia dice di essere la persona giusta a cui chiedere informazioni: “Ho personalmente gestito alcune operazioni di riciclaggio su canali bancari esteri. Premetto che la normativa italiana sul riciclaggio non permette di reinvestire grossi capitali illeciti in attività bancarie, per cui le cosche calabresi utilizzano società o banche estere, in Svizzera e in Germania”. A questo punto il pentito afferma di aver interagito con due banche di Lugano e di aver aperto con un socio un ufficio anche a Lubiana. In riva al Ceresio sostiene di aver “organizzato diverse operazioni di riciclaggio, reimpiego di capitali e frodi. Posso citare i casi di due società bulgare di calcio: Botev Plovdiv e Vihren Sandanski, che ho amministrato per gestire le scommesse sportive a livello nazionale, su partite comprate o vendute”.

Agli inquirenti della Dda calabrese il killer togato racconta di un’altra operazione che avrebbe seguito molto da vicino avendo coinvolto una società con “sede a Bellinzona e i conti in una banca di Chiasso”. Si tratterebbe di “uno svuotamento di conti effettuato tra Spagna, Germania e Svizzera” per conto di una famiglia di facoltosi industriali della Catalogna. “Questi – racconta Pulice – avevano la necessità di sottrarre al fisco spagnolo 45 milioni di euro. Tramite un faccendiere russo, che sosteneva di chiamarsi Jordi, si misero in contatto con il mio socio (un ligure che dopo l’arresto si è messo a collaborare con la Dda calabrese, ndr)”. Sulla maxievasione dei facoltosi industriali spagnoli, Pulice sostiene che è stato un hacker ligure “a indirizzare il russo Jordi verso di noi. Quando si mise in contatto con il mio socio e con me, al fine di legittimare la fuoriuscita dei soldi dai conti spagnoli sino in Svizzera, ho personalmente redatto delle fatture di consulenza per il tramite dello studio di Lugano, sia utilizzando come società emittente la ‘Capex’, sia la ‘Pulice Consulting’”.

‘Controlli elusi anche grazie all’intervento di personale dei Servizi segreti italiani’

L’attività era così congegnata: i 45 milioni dalla Spagna sarebbero transitati in prima battuta in Germania, presso una banca tedesca (di cui Pulice fa il nome): “Con questo primo passaggio di denaro, si faceva apparire come la famiglia investisse nell’acquisto di prodotti derivati. L’operazione era fittizia in quanto i funzionari della banca tedesca, conniventi e pagati, sapevano che la destinazione finale del danaro era la Svizzera”. Per questo tipo di procedimenti – ossia “quando dalla Spagna, come da un qualsiasi Paese estero, appartenente alla Comunità europea, parte un bonifico di svariati milioni di euro – scattano dei controlli”. Secondo Pulice i controlli interbancari tra Spagna e Germania sarebbero stati “elusi anche grazie all’intervento di personale dei Servizi segreti italiani, di cui non so fornire il nome, per come già specificato in precedenti interrogatori”.

Un’operazione che sarebbe stata redditizia per il pentito: “Io e i miei soci dovevamo guadagnare la percentuale del 4%, escluse le spese per l’operazione, che avevamo in animo di reinvestire in ulteriori attività edili che avevamo a Lucerna”. Pulice non sa dire nulla sul buon esito dell’attività: “Sono stato arrestato e so che su questa vicenda procedono anche altre autorità, come la Procura federale svizzera”. Prima dell’arresto, Pulice e i suoi soci avrebbero lavorato per ampliare il loro business: “Avevamo acquistato una società panamense e una statunitense. Con queste società avevamo intenzione di implementare la capacità di ‘spostare’ fondi da un Paese estero a un altro, per conto di gruppi industriali, sempre mediante l’utilizzo di fideiussioni ad hoc che, grazie alla compiacenza di funzionari bancari esteri, permettono la costituzione di linee di credito, ove poi prelevare in contante in Paesi con minori controlli come Svizzera, Panama o Cipro”.

Un disegno criminale non andato in porto per via delle manette assicurate attorno ai polsi di Pulice il 15 maggio 2015 a Serravalle Scrivia. L’inizio della fine dell’attività criminale del killer togato, che nel corso delle sue lunghe confessioni ha raccontato anche l’evoluzione delle pratiche criminali delle cosche: “Mio nonno mi diceva che all’inizio facevano i sequestri di persona: poi davanti alla possibilità di prendere trent’anni hanno smesso di farli. Adesso con due 74 (il riferimento è all’articolo che punisce il narcotraffico, ndr) prendi l’ergastolo e non lo fa più nessuno. Le cosche, disponendo di ingentissimi capitali, hanno scoperto il mondo della finanza, che consente di guadagnare milioni di euro senza correre grandi rischi. Le mie esperienze lo stanno a dimostrare”.