Quali sono le conseguenze per la reputazione della polizia e delle istituzioni? Ne parliamo con il professor Jean-Patrick Villeneuve dell’Usi
Non sappiamo che cosa è accaduto sulla A2 poco dopo la mezzanotte del 14 novembre: che il consigliere di Stato, e direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi, sia rimasto coinvolto in un incidente lo ha confermato lui stesso; su tutto il resto, incluse le possibili irregolarità nell’operato della polizia, non si hanno conferme. Prima a causa di un “atto parlamentare pendente” – l’interpellanza di Fiorenzo Dadò, granconsigliere del Centro, che ha reso pubblico il caso –, poi per l’inchiesta penale in corso per abuso di autorità e favoreggiamento, non si danno risposte.
Un silenzio che trova giustificazione nelle norme, ma che rischia di alimentare le più varie ipotesi su cosa sia realmente accaduto e di consumare la fiducia della popolazione nelle autorità, in particolare nella polizia. Dei rischi di questa erosione della fiducia nella istituzione ne abbiamo parlato con il professor Jean-Patrick Villeneuve, direttore dell’Istituto di comunicazione e politiche pubbliche dell’Università della Svizzera italiana e responsabile del Gruppo di ricerca sull’integrità pubblica.
Professor Villeneuve, quanto è importante la fiducia nelle forze dell’ordine e più in generale nelle istituzioni?
La fiducia nelle istituzioni è importantissima, soprattutto nei Paesi democratici – il livello di fiducia in Corea del Nord non è una priorità per le autorità –. Nelle democrazie invece lo è e, negli ultimi anni, è diventato un aspetto centrale perché senza la fiducia il sistema stesso della democrazia non può funzionare.
Le valutazioni internazionali mostrano che questa fiducia è in calo in quasi tutti i Paesi, soprattutto quando si parla del governo in generale: la fiducia in un servizio pubblico specifico, come possono essere ad esempio la posta o la sanità, è generalmente più alta. Questo avviene perché il cittadino ha un rapporto diretto con questi servizi, mentre il governo in generale è percepito come più astratto e lontano.
Quello della fiducia è un tema importante a livello internazionale. Le Nazioni Unite lo hanno inserito nel sedicesimo obiettivo per uno sviluppo sostenibile, a proposito di giustizia e trasparenza del governo, e iniziative simili sono state adottate anche da altre organizzazioni internazionali come l’Unesco, l’Osce o la Open Government Partnership.
A livello internazionale la Svizzera come è messa?
Nei confronti internazionali la Svizzera risulta sempre in alto: la cittadinanza svizzera ha una fiducia più alta nelle sue istituzioni rispetto ad esempio a quella francese, italiana o tedesca. Uno dei fattori che spiega questa caratteristica è il legame forte e diretto che si ha con le istituzioni; pensiamo ad esempio al parlamento di milizia e alle votazioni frequenti e regolari, o anche solo al fatto che qui è possibile incontrare al bar il sindaco del proprio comune.
E per quanto riguarda la fiducia nella polizia?
La polizia fa parte di quelli che in francese vengono chiamati “services régaliens”, i servizi fondamentali, il cuore dell’attività dello Stato e che riguardano la sicurezza interna ed esterna e la giustizia. La polizia ha un ruolo molto delicato perché è l’unico organo che ha il diritto all’uso legittimo della violenza. Si tratta di una responsabilità altissima e la fiducia nella polizia è ancora più importante.
Restando sempre sul discorso generale, che cosa può ridurre la fiducia nelle istituzioni?
C’è un aspetto culturale che è molto importante: pensiamo alla differenza che può esserci tra gli Stati Uniti, Paese nato in opposizione a un altro Stato, l’Inghilterra, e la Francia dove invece potremmo dire che è lo Stato ad aver creato il Paese.
Ma sono anche molto importanti le esperienze personali: un episodio negativo o problematico può chiaramente ridurre la fiducia. E ovviamente ha un ruolo anche l’informazione, diffondendo le notizie di scandali o problemi: una organizzazione può partire da un livello di fiducia molto alto, ma se continuano a emergere difficoltà questa fiducia cala. Ed è in quel momento che l’organizzazione deve decidere se attuare dei cambiamenti che possano ristabilire la fiducia persa.
Pensando al caso Gobbi: non sappiamo ancora se vi sia stato un abuso e chi sono, eventualmente, i responsabili. Ma i sospetti di un trattamento di favore verso un consigliere di Stato rientrano tra i problemi che possono ridurre la fiducia nella polizia e nelle istituzioni?
Il problema centrale, qui, è il fatto di non sapere.
Il cittadino tenuto all’oscuro è magari soddisfatto della situazione e, non essendo a conoscenza dei problemi presenti, ha fiducia nelle istituzioni. E quando si viene a sapere di questi problemi – che erano presenti anche prima ma semplicemente non lo si sapeva e quindi non li si poteva affrontare –, paradossalmente la fiducia può calare. Si può quindi essere tentati di tenere tutto all’oscuro: la trasparenza, in questi casi, comporta dei rischi, ma sono dei rischi che in una democrazia bisogna correre perché l’alternativa, cioè la segretezza, è peggio.
Il fatto che l’incidente sia avvenuto mesi fa, e ci sia voluta una interpellanza perché divenisse pubblico, potrebbe sollevare qualche sospetto.
Certamente la temporalità è importante. Sentirsi dire “settimana scorsa è successa questa cosa, dobbiamo capire se è un problema” è diverso da “quattro mesi fa è successa questa cosa e ieri abbiamo deciso di scoprire se è un problema”.
Come giudicare il fatto che, prima per via dell’interpellanza e poi per le inchieste, la polizia non risponda a nessuna domanda, neanche sulle procedure generiche?
In casi di questo tipo abbiamo una tensione tra la necessità, o la volontà, di comunicare e quello che prevedono le norme per garantire un corretto svolgimento delle indagini. Non saprei dire dove andrebbe tracciata la linea, cosa sia possibile dire e cosa sia meglio non dire fino alla conclusione dell’inchiesta. Certamente è importante comunicare in maniera chiara e precisa.
Mantenere il silenzio lascia libero spazio alle ipotesi, anche fantasiose.
Certamente. Lo abbiamo visto in maniera esemplare con il caso di Kate nel Regno Unito: se non sappiamo niente, se non abbiamo informazioni, iniziano a circolare storie anche folli. Dare informazioni serve anche a evitare la circolazione di queste fake news.
Ci sarà sempre chi non si fiderà.
È un problema per tutto il mondo politico e amministrativo: si rischia sempre un danno in termini di fiducia. Ma avere una risposta chiara, avere processi chiari e trasparenti è la strategia migliore.
In Svizzera abbiamo già degli strumenti che assicurano un accesso libero e aperto alle informazioni, non solo per un caso mediatico che coinvolge un politico importante, ma anche sulla quotidianità dell’amministrazione.
L’idea, oggi, è che la pubblica amministrazione e il sistema politico mostrano tutto o quasi tutto per mostrare al cittadino che cosa viene fatto e quali sono le regole. La trasparenza significa che il cittadino può sapere che cosa fa l’amministrazione e l’amministrazione non può fare quello che vuole. Anche se di nuovo ci sono aspetti culturali da prendere in considerazione: le regole sulla trasparenza svizzere sono molto diverse da quelle che troviamo, ad esempio, in Canada o in Gran Bretagna e quello che è considerato normale in un Paese è impensabile in altri. In Canada esiste ad esempio la figura dell’Ethics Commissioner al quale i deputati si possono rivolgere in caso di dubbi, per sapere se possono accettare un certo incarico e così via.
Qui però non abbiamo a che fare con qualche spesa non giustificata o un possibile conflitto d’interesse, ma con il sospetto di un abuso di autorità.
Certamente il caso in questione è diverso per molte ragioni. Perché è un possibile abuso, perché riguarda un politico che svolge una funzione molto importante e gode di grande visibilità. E perché non si sa che cosa è successo.
In situazioni come queste non c’è una soluzione ottimale, un processo che permetta di evitare il ripresentarsi di situazioni simili, se non la certezza che prima o poi la cosa diventerà pubblica. Sapere che se una persona, nel pubblico o nel privato, fa una cosa problematica, prima o poi la stampa lo verrà a sapere è una forma di garanzia. Questo è il potere della trasparenza delle istituzioni.
C’è però chi parla di montature giornalistiche ed esagerazioni politiche. Questo atteggiamento ha conseguenze sulla fiducia nelle istituzioni?
In attesa della conclusione della vicenda si possono dire tante cose: abbiamo le dichiarazioni della politica, quelle della stampa, l’opinione pubblica. La cosa secondo me davvero importante saranno le risposte definitive e, soprattutto, se queste risposte saranno la conclusione di un processo chiaro e trasparente.
Ma ci si può fidare delle risposte delle istituzioni in un caso che riguarda le forze dell’ordine e il responsabile del Dipartimento delle istituzioni?
È la grande sfida, perché anche in un processo chiaro, aperto e trasparente ci sarà sempre una parte dell’opinione pubblica che penserà che è tutta una furbata dall’inizio alla fine. Ci sarà sempre chi la penserà così, il problema si pone quando sempre più persone la pensano così, come sta accadendo in molti Paesi. Speriamo di non arrivare, in Svizzera e in Ticino, a una situazione simile.