Ticino

Addio a Lillo Alaimo. ‘Giornalista allergico ai poteri forti’

L'ex direttore de ‘Il Caffè’ aveva 67 anni. Era stato vicedirettore de ‘laRegione’ e in precedenza dell‘ ’Eco di Locarno'

Lillo Alaimo
(Ti-Press)
29 marzo 2024
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Un notevole fiuto per la notizia, la giusta ostinazione del cronista e del commentatore che scavano nei fatti perché non si accontentano delle versioni ufficiali, indiscusse capacità organizzative. Per Lillo Alaimo il giornalismo era passione e missione. Già vicedirettore dell’ ‘Eco di Locarno’ e della ‘Regione’, Lillo è morto nella notte, a causa di un malore, nella sua abitazione di Cannobio, appena al di là del confine, dove viveva con Patrizia Guenzi, giornalista anche lei. Si erano sposati un anno fa. Alaimo aveva 67 anni.

Dopo ‘laRegione’, lavorò a ‘l’Altra Notizia’ e infine al settimanale ‘Il Caffè’, del quale fu artefice e direttore con Giò Rezzonico, Alaimo firmò diverse inchieste giornalistiche, fra cui quella, poi sfociata nel libro ‘Il boss e il giudice’, sull’amicizia tra il contrabbandiere Gerardo Cuomo e l’allora presidente del Tribunale penale cantonale Franco Verda, entrambi condannati nel 2001 a Lugano per corruzione.

«Lillo è stato un collega e un amico fraterno – ricorda Giò Rezzonico –. Abbiamo lavorato insieme per più di quarant’anni: dal 1981, dall’ ‘Eco di Locarno’ all’estate del 2021, quando è uscito l’ultimo numero del ‘Caffè’. Un giornalista di razza, capace. Ha sempre stimolato nel sottoscritto, sia come direttore che come editore, l’idea di un giornalismo indipendente, autonomo che non guarda in faccia a nessuno. E per me non è sempre stato facile conciliare questa visione del giornalismo, che condividevo, con il ruolo di editore. Nell’ultima fase del ‘Caffè’ i nostri rapporti si erano un po’ raffreddati: il ruolo di editore mi aveva imposto delle scelte che lui non ha accettato. Ricordo Lillo come il compagno dei momenti più belli della mia vita professionale». Alaimo, afferma Marco Solari, presidente del ‘Caffè’, quando era vicepresidente di Ringier, «ha nobilitato il mestiere del giornalista: era un lavoratore incredibile, con una grande passione per il giornalismo investigativo, non mollava l’osso a nessuna condizione. Come presidente, quando lo richiamavo a una certa prudenza, dimostrava una tendenza dittatoriale, non c’era verso di fargli relativizzare. Mi diceva: ‘Giornalisti ed editori non devono avere amici e non devono temere di avere nemici’». Ricorda la collega Simonetta Caratti, responsabile alla ‘Regione’ del settore inchieste ed ex caporedattrice e poi vicedirettrice del ‘Caffè’: «Ho lavorato a fianco di Lillo per 7 anni, era corretto, professionalmente generoso, gran lavoratore, un po’ selvatico, non gli piaceva mischiarsi col potere. Diceva: ‘Noi giornalisti siamo elettricisti. Portiamo luce dove altri vogliono nascondere fatti di interesse pubblico’. ‘Il Caffè’ era come suo figlio, la redazione la sua famiglia, il giornalismo la sua missione».

Marco Bazzi, direttore di ‘Liberatv’, già caporedattore centrale della ‘Regione’, collega di Alaimo all’‘Altra Notizia’ e in seguito collaboratore del ‘Caffè’: «Lillo era una persona molto introversa in certi momenti, molto espansiva e allegra in altri. Ed era molto severo nel lavoro. Fin troppo secondo me. Rammento la sua attenzione quasi maniacale soprattutto per titoli e grafica. Abbiamo avuto anche discussioni accese. È stato sicuramente un esempio per molti colleghi. Mi ha insegnato ad avere e a gestire un’agenda e a sviluppare una rete di relazioni e contatti: due cose fondamentali per un cronista».

«Lillo mi ha insegnato moltissime cose. Più di tutto – aggiunge l’avvocato Luca Allidi, ex legale del ‘Caffè’ e amico di Alaimo – mi ha insegnato a restituire alle parole il loro vero significato. Parlando del suo giornale, ‘il Caffè’, e delle critiche che spesso gli venivano mosse, mi diceva sempre: “Non so bene cosa voglia dire giornale scandalistico, so bene invece che esistono fatti di interesse pubblico che sono scandalosi e che un giornalista ha il dovere di raccontare. Senza nulla togliere o aggiungere. Il pubblico, chi guarda, chi legge, non ha mica bisogno di un interprete. Meno ancora di un tutore”».

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