Quasi 8mila secondo gli organizzatori i partecipanti al corteo contro le misure di risparmio e il preventivo. Prese di posizione, testimonianze e reazioni
«In Ticino non siamo abituati a questi numeri, ma eravamo sicuri che ci sarebbe stata tanta gente perché anche la rabbia è tanta. Se la manifestazione di novembre ha messo in difficoltà la destra, quella di oggi credo l’abbia definitivamente stesa». È positivo il bilancio del segretario di Unia Giangiorgio Gargantini della giornata di mobilitazione di ieri, che sottolinea: «È ora che i partiti borghesi si assumano le proprie responsabilità ascoltando la piazza».
È infatti una piazza Governo gremita quella che ha accolto le rivendicazioni del corteo indetto dal comitato ‘Stop ai tagli’. Corteo che, in un lungo serpentone, ha sfilato ieri pomeriggio partendo dalla stazione Ffs di Bellinzona per dire no al pacchetto di risparmio presentato dal Consiglio di Stato insieme al Preventivo 2024. Migliaia le persone presenti, quasi ottomila secondo gli organizzatori, cinquemila stando a Keystone-Ats. Quel che è certo è che i manifestanti erano più numerosi rispetto alla manifestazione dello scorso 22 novembre durante la quale, lo ricordiamo, erano scese in strada cinquemila persone.
È Fabrizio Sirica, copresidente del Ps, a prendere la parola dal palco allestito in piazza Governo a nome del comitato ‘Stop ai tagli’. Comitato che riunisce numerosi partiti, associazioni e sindacati. Sono tre i punti affrontati da Sirica: «La vergogna, non quella dei nostri slogan, ma quella che molti di noi provano, per non poter portare in vacanza i figli o per chiedere ciò che ci spetta, come nel caso del rincaro». E tuona: «Ma vergogna per cosa? Per cambiare le cose dobbiamo toglierci questo senso di vergogna. Perché non è colpa nostra, è colpa di chi sta là, dei partiti di maggioranza e delle loro politiche. La vergogna siede in quel palazzo, non in noi!».
Secondo punto, la voce: «È necessario che la politica ascolti la voce delle persone e che non le guardi come voci di bilancio. La voce reale del paese deve farsi sentire, perché non è arrivata ai partiti di maggioranza».
Sirica punta infine il dito contro il Decreto Morisoli. «Dobbiamo smetterla di credere alle bugie – affonda il copresidente del Ps –. Ci hanno raccontato che votando per questo decreto non ci sarebbero stati dei tagli. Ma oggi lo vediamo, ci sono eccome. Non è vero che le vacche sono magre, in questo paese non c’è mai stata così tanta ricchezza». Ricchezza che, secondo Sirica, «deve essere redistribuita diversamente. La strada è una. È chiedere il contributo di solidarietà, ma non ai dipendenti, bensì a chi quella solidarietà deve darla, ai ricchi». E invita: «Questi tagli devono finire nel cestino».
Anche Raoul Ghisletta, segretario della Vpod, ha da ridire sui risvolti legati al Decreto Morisoli. «È la seconda grande manifestazione in pochi mesi, per cui il governo e il parlamento qualche domanda dovrebbero porsela». Domande «sulla linea presa sul Decreto Morisoli e su tutte quelle conseguenze di una politica orientata unicamente a rimettere in causa la spesa pubblica». Per Ghisletta, «è il ceto medio a pagarne maggiormente le conseguenze, in termini di peggioramento dei servizi pubblici e degli interventi di sussidio. L’impressione è che in piazza a contestare queste politiche sia sceso proprio chi fa parte di questa fascia della popolazione».
«Siamo in tantissimi», esclama il vicesegretario cantonale dell’Ocst Xavier Daniel. E reclama: «Adesso ci aspettiamo che le proposte, o meglio, le non proposte fatte finora si modifichino, penso in particolare al carovita. Come sindacato non accettiamo assolutamente questi 400 franchi una tantum. Chiediamo, anzi, o un riconoscimento strutturale del carovita nel salario, da qui e per sempre, o delle soluzioni che lo considerino come un elemento fondamentale per mantenere il potere d’acquisto dei dipendenti».
La lotta non si ferma qui. «Abbiamo lanciato con le tre sigle sindacali presenti oggi (ieri, ndr) una manifestazione, proprio per discutere con la nostra base che cosa intendiamo fare. Prevediamo poi per fine febbraio una mobilitazione sui posti di lavoro».
«Abbiamo dato un segnale estremamente forte», evidenzia il segretario di Unia Giangiorgio Gargantini. «Significa – prosegue – che bisogna proteggere le condizioni di lavoro e riconoscere il rincaro completo ai dipendenti pubblici ritirando questi progetti di tagli che mettono in grave difficoltà una parte importante della struttura sociosanitaria cantonale». E attacca: «Chi, al contrario della sinistra e dei sindacati, tre anni fa non ha detto che il Decreto Morisoli non era applicabile, a meno di tagli che avrebbero messo in difficoltà il cantone, risponda ora alla piazza, alle ottomila persone che sono scese in strada».
E di responsabilità parla anche la copresidente del Ps Laura Riget: «Di fronte a così tante persone i partiti del centrodestra devono assumersi le proprie responsabilità facendo un passo indietro rispetto a questi tagli». E non transige: «Se martedì in commissione della Gestione non verrà trovato un accordo, è ora che i vari partiti ci mettano la faccia e trovino il coraggio di firmare uno dei rapporti, eventualmente anche a favore di questi tagli».
Non usa mezzi termini il portavoce della rete ErreDiPi Enrico Quaresmini: «Dalle parole bisogna passare ai fatti e, sul rincaro, rifiutare la mancia, perché di una mancia si tratta. Durante una carriera sono migliaia i franchi che si perdono, e prendere 400 franchi quest’anno è ridicolo. In questo modo si sta svendendo il lavoro dei dipendenti».
Non poche le preoccupazioni dei partecipanti, riassunte anche dagli interventi dal palco. Attraverso le testimonianze di gente comune sulle conseguenze dei tagli prospettati nel Preventivo 2024, che colpirebbero tra le altre cose i sussidi di cassa malati, gli stipendi dei dipendenti statali e i contributi agli istituti sociali, la piazza si è rivolta al governo a gran voce.
«Tutti prima o poi possiamo trovarci in una situazione di bisogno. Quello che abbiamo deve essere implementato e non tagliato», afferma Denise Carniel, attivista con disabilità, a cui fanno eco le parole di Francesco, un comune cittadino, lette in piazza: «Non è più possibile stare in silenzio. Sono padre di tre bambini e ho uno stipendio di seimila franchi, non male. Nonostante ciò, fatico ad arrivare alla fine del mese. Prima, grazie ai sussidi di cassa malati, riuscivamo a fare quadrare i conti. Ora faremo più sacrifici, ancora di più, sempre di più. Spero che la politica apra gli occhi e realizzi che anche la gente come me, che dovrebbe fare parte del ceto medio, è in difficoltà».
Mezz’ora prima dell’inizio del corteo previsto per le 14.30, sono già centinaia le persone giunte in stazione a Bellinzona. Tra queste Martina, docente accompagnata dai suoi colleghi e dai loro figli: «Queste decisioni – ci spiega – andranno a incidere non poco sui nostri salari mensili, senza tenere conto delle nostre difficoltà. A ciò si aggiungono i nostri problemi con la cassa pensione». E non nasconde: «È una situazione che ci sta preoccupando non poco, soprattutto pensando alle nostre famiglie. Noi siamo in cinque e alla fine quello che mi verrà tolto non è poco. I bambini sono qui perché è giusto che si rendano conto che è importante far sentire la propria voce».
Anche Prisca è venuta a manifestare con un gruppo di colleghi: «Siamo tutti docenti e siamo qui per lottare per i nostri diritti. Se si deve contribuire perché è necessario, ci può anche stare, che si vada però poi a sgravare i ricchi – osserva – diventa veramente assurdo».
«Noi siamo qui per i tagli ai sussidi di cassa malati», affermano alla fine della manifestazione Simona e Mari, impiegate nel settore del commercio. «Prima ricevevo un sussidio – aggiunge Simona – che mi aiutava a far quadrare i conti. Lo stesso vale per molte famiglie, altrimenti è veramente dura».
Per Giovanni, insegnante, «non c’è nulla di più importante della scuola. Quando sento che si vuole tagliare proprio lì non ne capisco i motivi. Se si vuole avere una minima speranza di un futuro migliore, la scuola è un settore nel quale investire e non tagliare». «Alla base della società – interviene Nathalie, collega di Giovanni – ci vuole un’educazione sana e inclusiva, che tenga conto dei bisogni di tutti. La scuola è un ambito nel quale bisogna mettere tanto amore ed energie, ma quando ti senti preso in giro è più difficile essere motivato».
«Nel preventivo ci sono delle misure che non piacciono neanche a noi, in particolare il taglio dei sussidi di cassa malati, mentre reputiamo che altre siano necessarie, come il taglio sulla spesa dei rifugiati». Questa la posizione della Lega dei ticinesi ribadita dalla vicecapogruppo e deputata in Gran Consiglio Sabrina Aldi. Ma anche «rispetto al taglio sugli stipendi dei dipendenti statali che superano una certa soglia, siamo consapevoli di chiedere un sacrificio, ma ci sembra comunque una misura ragionevole».
Il presidente cantonale Udc Piero Marchesi conferma quanto scritto sulla ‘Regione’ di sabato: «Che sia necessario risparmiare è evidente, lo dicono i dati e lo ha ancora ribadito in modo chiaro il popolo approvando il decreto Morisoli. L’amministrazione ticinese costa il 30% in più rispetto agli altri cantoni». E sottolinea: «Oggi una famiglia che ha un reddito di 120-130mila franchi all’anno, quindi che non fa parte delle fasce più deboli, percepisce i sussidi di cassa malati. Qui bisogna essere capaci di dire che questa politica dev’essere rivista andando ad aiutare chi ha veramente bisogno evitando sprechi evidenti che non possiamo più permetterci».
Per Alessandro Speziali, presidente cantonale del Plr, «la manovra e il preventivo sono un esercizio complesso, prova ne è che è da settimane che cerchiamo di trovare uno spiraglio». Non solo. «C’è chi fa melina e c’è chi ogni mezz’ora trova un posizionamento diverso. Noi stiamo cercando di dare un preventivo al Cantone, anche perché altrimenti si bloccano diverse cose. E questo avendo in testa le persone che lavorano per lo Stato e le risorse cantonali».