Non solo un fenomeno femminile, quasi il 30% vede vittime uomini. Un Piano d'azione cantonale che è sì positivo ma in costante divenire
La violenza domestica non è, solo, una ‘questione’ femminile. Certo, non sono cifre per così dire sorprendenti, è già attestato da tempo che vittime sono anche gli uomini, ma probabilmente non in questa percentuale, quasi il 30%. Un dato che ci porta a dire, una volta di più, che continua a essere, con numeri e forme ancora maggiori, un ‘fenomeno’, come definito in apertura della conferenza stampa dal responsabile del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, «preoccupante, strutturale e trasversale e che riguarda tutta la società. La violenza domestica non è più un fenomeno privato ma una problematica sociale alla quale lo Stato, in collaborazione e coordinandosi con la società civile, deve garantire risposte concrete e strutturali. Essendo un tema a carattere trasversale è fondamentale, inoltre, coordinare le diverse politiche e gli interventi, sia a livello istituzionale tra i vari servizi, sia attraverso enti e associazioni, valorizzando le competenze e il lavoro di ognuno. Per questo non può che esservi prima di tutto un cambiamento culturale».
In Svizzera, ogni giorno, 55 reati riguardano casi di violenza domestica, due al giorno in Ticino per quanto attiene alle infrazioni in ambito familiare e tre al giorno per gli interventi di polizia. Numeri che impattano in maniera forte non solo sulla sfera personale e sociale, ma anche della salute pubblica. Ed è per questo che a scendere in campo nella lotta alla violenza domestica sono anche i dipartimenti della Sanità e socialità e dell'Educazione, cultura e sport: «A fronte dei dati non solo a livello cantonale – ha evidenziato il consigliere di Stato nell'imminenza, il 25 novembre, della Giornata mondiale –, il contrasto alla violenza domestica è tema prioritario dell'agenda politica internazionale, svizzera e del nostro cantone, tanto che il bilancio, in questi primi due anni del Piano d'azione cantonale, è positivo».
Tre, in particolare, gli assi sui quali scorre l'attuazione della Convenzione di Istanbul del 2022: informare e sensibilizzare la popolazione affinché si conoscano le varie forme di violenza, le offerte di aiuto e i propri diritti; la formazione e il perfezionamento di specialisti e volontari; la violenza sessualizzata, ovvero la lotta per contrastare cause e conseguenze. Non dimentichiamo che la violenza, del resto, usata consapevolmente o inconsapevolmente, colpisce ogni classe, sesso, come anticipato, ed età: in Svizzera, infatti, tra le 300 e le 500mila persone con più di 60 anni sono vittime ogni anno di una qualche sua forma.
In Ticino l'obiettivo principale, e «ambizioso», come annotato da Frida Andreotti, direttrice della Divisione della giustizia, resta perciò quello di «rendere strutturale il sistema di prevenzione e di gestione della violenza, migliorando la risposta alla violenza e favorendo di conseguenza il suo decrescere». Come raggiungere questo traguardo? «Attraverso la realizzazione di quattro punti strategici che vanno dalla prevenzione alla protezione della vittima, dal perseguimento dell'autore o dell'autrice alle politiche coordinate».
Sono un'ottantina le misure previste, di cui sessanta già attivate e divenute strutturali e una ventina in fase di sviluppo o ancora da attivare. A corollario, per la seconda volta in Ticino, una serie di eventi volti alla prevenzione attraverso la campagna mondiale denominati ‘16 giorni di attivismo contro la violenza di genere’ (maggiori informazioni su www.ti.ch/violenza-domestica) e illustrati da Monica Bucci, aggiunta alla direttrice della Divisione della giustizia.
Perché, molta resta la strada ancora da percorrere. Non ha mancato di evidenziarlo anche il dottor Mattia Lepori, vicecapo Area medica dell'Ente ospedaliero cantonale: «Uno dei maggiori problemi dei sanitari riguarda il repentino e continuo mutamento del quadro legislativo. Se fino al 2020 vi era, infatti, l'obbligo di segnalazione da parte di ogni operatore sanitario, una sentenza del 2021 del Tribunale federale vi ha fatto prevalere il segreto professionale tanto che oggi la segnalazione diretta da parte del Pronto soccorso alla Magistratura avviene solo nel 35% dei casi, rispetto al 95% prima della modifica dell'articolo 68 della Legge sanitaria».
Lo sguardo sul futuro va, quindi, a riportare l'attenzione, e la tutela, sulla vittima piuttosto che sulla confidenzialità dei dati sanitari, o meglio verso “l'obbligo di informare rapidamente entro un massimo di 30 giorni il Ministero pubblico, direttamente o per il tramite del medico cantonale, di ogni caso di morte per causa certa o sospetta di reato venuto a conoscenza in relazione con l'esercizio della propria funzione o professione”, o quantomeno, in casi particolari, di una “facoltà di segnalazione”.