Gran Consiglio, il Tribunale federale giudica inammissibile, per carenza di legittimazione, il ricorso del Ps. Il discorso si riaprirà sul piano politico?
Amaro risveglio per il Partito socialista, per il suo capogruppo in Gran Consiglio Ivo Durisch e per la sua ex deputata, nonché vicecapogruppo, Anna Biscossa. Stamattina hanno ricevuto la tanto attesa sentenza del Tribunale federale. Dieci pagine. Quella che però conta è l’ultima, la pagina con il verdetto. “Il ricorso è inammissibile per carenza di legittimazione". Così, nero su bianco, i giudici di Mon Repos. Nulla da fare quindi. Il ricorso in materia di diritto pubblico, inoltrato in maggio, con cui il partito, Durisch e Biscossa contestavano la ripartizione dei seggi nelle commissioni del Gran Consiglio in seguito ai risultati delle elezioni cantonali di aprile, non ha superato lo scoglio del Tribunale federale. Anzi, è naufragato prima. Perché dichiarandolo inammissibile, la prima Corte di diritto pubblico non è entrata nel merito delle tesi sollevate dai ricorrenti.
Niente insomma cambia nella distribuzione delle poltrone commissionali – poltrone importanti dato che a dettare la musica sono spesso le commissioni, con il plenum che per finire ratifica quanto da loro partorito – decisa dalla maggioranza del parlamento, trentacinque voti contro ventidue, nella seduta costitutiva del 3 maggio alla luce di discordanti interpretazioni delle norme interessate (gli articoli 29 della Legge sul Gran Consiglio e 68, primo capoverso, della Legge sull’esercizio dei diritti politici), pareri giuridici e reclami (quello del Ps). Tra la formula proposta dai Servizi del Gran Consiglio e quella indicata dai socialisti aveva avuto la meglio in aula la prima. Ovvero, come ricorda Mon Repos nel proprio recente verdetto datato 27 luglio e intimato oggi alle parti, applicazione “del quoziente ottenuto dalla divisione dei seggi in parlamento (90) con quelli nelle commissioni (17; quindi 5,29), approssimato al numero intero superiore (6)”. Concretamente: cinque seggi al Plr, quattro al Centro (più uno rispetto alla passata legislatura), due al Ps (meno uno), due ai democentristi e uno ai Verdi. I socialisti, che suggerivano di non arrotondare al numero intero superiore, chiedevano al Tf l’annullamento della decisione, ma il ricorso, come detto, è stato considerato inammissibile. Per carenza di legittimazione.
“Sebbene il Tribunale federale esamini d’ufficio la legittimazione a ricorrere, i ricorrenti sono nondimeno tenuti a dimostrarla – ricordano i giudici di Mon Repos –. Se la legittimazione ad agire non è di primo acchito evidente, non spetta infatti al Tribunale federale ricercare su quali elementi la stessa potrebbe fondarsi. In assenza di questi elementi, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile”. Per il Tf i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare la loro legittimazione a ricorrere. Ricorrenti, si afferma tra l’altro nella sentenza, che “non si confrontano minimamente con la giurisprudenza relativa alla legittimazione a ricorrere nel quadro dei diritti politici, sulla cui lesione è in sostanza incentrato il gravame”, cioè il ricorso: “È tuttavia manifesto che essi non possono prevalersi di questo rimedio per impugnare la criticata decisione. La circostanza che in materia di diritti politici il diritto di ricorrere spetta a chiunque abbia diritto di voto nell’affare in causa, anche qualora non abbia alcun interesse personale degno di protezione all’annullamento dell’atto impugnato, concerne solo le votazioni e le elezioni popolari, alle quali possono partecipare i cittadini aventi diritto di voto”. In tale ambito la legittimazione a ricorrere “è definita infatti in modo specifico ed esaustivo dall’articolo 89 capoverso 3 della Legge sul Tribunale federale, norma non richiamata dai ricorrenti. Essa dipende esclusivamente dal fatto che una persona sia titolare del diritto di voto. Estendere questa qualità a qualsiasi persona che dispone di un interesse degno di protezione ai sensi dell’articolo 89 capoverso 1 LTf equivarrebbe a snaturare lo specifico rimedio di diritto previsto dall’articolo 82 lettera c LTf, il cui scopo è strettamente limitato alla salvaguardia dei diritti politici”.
Non solo. “Giova rilevare – annotano ancora i giudici di Mon Repos – che quando non è dato il ricorso per violazione dei diritti politici, non è dato neppure quello sussidiario in materia costituzionale”.
Se il discorso è chiuso sul piano giuridico, potrebbe riaprirsi su quello politico. «È un peccato non essere andati al nocciolo della questione. Si tratta di un’occasione persa», commenta Ivo Durisch: «Considerando inammissibile il nostro ricorso, il Tribunale federale rinuncia a esprimersi sul merito del calcolo di ripartizione, evitando di fare chiarezza per il futuro». Secondo il capogruppo del Ps, quella presa a maggio dal Gran Consiglio rimane «una decisione ingiusta e una scorretta interpretazione della legge che ha prodotto delle storture nella proporzionalità di rappresentanza con alcuni partiti sovrarappresentati nelle commissioni rispetto al proprio peso elettorale. Una decisione che ora penalizza noi ma che in futuro potrebbe farlo anche con altri partiti». Di più: «Dal nostro punto di vista è una questione molto rilevante perché le commissioni influenzano il parlamento e di conseguenza anche la vita dei cittadini. Pure lo stesso Tf riconosce un impatto sulla popolazione, ma di tipo indiretto e non lo ritiene sufficiente per un’entrata in materia». La recriminazione principale del Ps è che così «si sottrae al controllo giudiziario l’interpretazione di leggi anche importanti che hanno ripercussioni sulla democrazia di un cantone e questo non va bene in uno Stato di diritto», afferma Durisch, che però non demorde: «Sicuramente proporremo di istituire tramite un’iniziativa parlamentare un’istanza cantonale di ricorso che permetta a un tribunale cantonale di controllare la legalità di decisioni come queste».
Sostiene a sua volta il capogruppo del Centro Maurizio Agustoni: «Al di là della sentenza, varrebbe comunque la pena in Gran Consiglio avviare una riflessione sulla norma vigente che regola la ripartizione dei seggi nelle commissioni, dato che la sua applicazione può effettivamente portare a dei risultati che non rispecchiano i rapporti di forza in parlamento. Entro la fine della legislatura sarebbe pertanto opportuno precisare la disposizione legislativa affinché la sua attuazione non dia più adito a dubbi e interpretazioni».
Alessandra Gianella, capogruppo del Partito liberale radicale a cui il Ps contesta una sovrarappresentanza nelle commissioni (cinque deputati a fronte dei 21 totali, mentre per i socialisti la proporzione è 2 a 12), dichiara di accogliere «sicuramente in modo positivo la decisione del Tf». E ribadisce quanto detto in Gran Consiglio: «L’articolo di legge in questione era stato votato da tutto il plenum a novembre 2018 al momento della modifica legislativa. Se a qualcuno non andava bene lo avrebbe dovuto impugnare allora, in modo da eventualmente cambiarlo per tempo. Se ora il Ps vuole proporre un’iniziativa parlamentare, cosa che poteva fare già molto tempo fa, è ovviamente legittimato a farlo, la proposta seguirà tutto l’iter parlamentare e se ne discuterà». Tuttavia secondo Gianella l’attuale legge è già molto chiara e non lascia spazio a interpretazioni: «Noi ne abbiamo chiesto semplicemente l’applicazione letterale e il Gran Consiglio ci ha seguiti». E quel che conta per la capogruppo Plr è che per questa legislatura non ci saranno modifiche alla composizione delle commissioni: «Questa è la cosa importante, poiché abbiamo tanti dossier urgenti sul tavolo da portare avanti».