Un ricordo del politico e giornalista quarant’anni dopo la sua morte. ‘Criticava tutto quanto puzzasse di interesse privato in cose pubbliche’
Il ricordo che segue, letto da Sergio Salvioni il 28 settembre 2007 in occasione di una serata commemorativa a 100 anni dalla nascita di Plinio Verda, era stato pubblicato integralmente il giorno dopo su ‘laRegione’ e poi in un opuscolo fuori commercio edito dal Club Plinio Verda. Qui lo riproponiamo in una versione abbreviata a cura di Simone Bionda, membro di Comitato del Club Plinio Verda.
Di Plinio Verda, delle sue qualità e dei suoi meriti, è stato già detto l’essenziale nella triste occasione della sua scomparsa e, poi, in diverse successive ricorrenze. Ebbe anche riconoscimenti da parte dei giornali avversari che tanto temevano la sua penna fulminante.
Ancora studente, solo per dire, organizzò una vivace protesta nel liceo di Lugano contro il Direttore Francesco Chiesa che aveva contribuito a impedire una conferenza di Gaetano Salvemini (il grande storico, politico e antifascista italiano) in Ticino. Ciò nonostante, Verda era un uomo d’ordine, che riteneva doveroso tener ben distinti uomini e istituzioni. Queste sue qualità sono risaltate in modo evidente nella sua attività giornalistica e politica. Mi piace ricordare che durante i 40 anni costellati di polemiche anche molto dure, egli ha sempre criticato determinati uomini per certi fatti precisi, ma mai le istituzioni. È a mio giudizio una differenza di fondamentale importanza, perché demolire le istituzioni significa demolire lo Stato e avviarsi a grandi passi verso il disordine e l’anarchia che non fanno bene a un ordinamento democratico come Verda, amante della storia e delle istituzioni svizzere, sapeva bene. E l’appuntamento con la storia Plinio Verda l’ebbe nel 1946. La fusione tra liberali e democratici, dopo la scissione del 1934, mi ricorda il verso di Orazio: “Graecia capta ferum victorem cepit”: ossia, il bellicoso vincitore fu soggiogato dal vinto dopo la sua cattura. Infatti il partito, uscito dalla fusione, si era in sostanza riproposto come programma gli obiettivi dell’ala democratica: ciò fu sicuramente facilitato dalla caduta del fascismo che ammutolì i suoi simpatizzanti locali, nonché dall’opera di moderazione di Verda. Egli si è quindi trovato a un crocevia nella storia del Plr e quindi del Cantone Ticino: assieme a Olgiati e agli amici della sua generazione non si è lasciato sfuggire l’occasione, perché certi treni passano solo una volta nella vita degli uomini.
Nell’attività giornalistica eccelsero il suo stile, la sua lingua e le sue invenzioni che lo resero celebre in tutto il Cantone. Ma questo non basta: Verda prima di scrivere le sue “istantanee” si documentava meticolosamente, e quindi raramente i suoi contraddittori erano in grado di smentirlo. Aveva nel suo studio un fascicolo intitolato ‘Per conoscerli meglio’. In questo fascicolo inseriva tutte le dichiarazioni, articoli e pubblicazioni di uomini politici per poi, se in una certa occasione avessero dichiarato il contrario, prenderli in castagna. Tuttavia, quella che lui chiamava il “due di coppe”, cioè la briscola, non la sfoderava all’inizio ma la teneva e la giocava dopo che l’avversario si era invischiato in una serie di contraddizioni. Verda, invece, non si è mai contraddetto, dimostrando una incredibile coerenza durante 35 anni, ed è sempre stato in grado di dimostrare la verità o almeno la sua buonafede. Ciò gli risultava d’altronde anche facilitato dal fatto che nella sua vita privata egli, per restare indipendente, aveva sistematicamente rifiutato incarichi anche finanziariamente interessanti che gli erano stati prospettati da grosse ditte che si illudevano, in caso di una sua accettazione, di poterlo addomesticare. In un paese in cui, purtroppo, spesso la politica va di pari passo con la scalata sociale e con la corsa ai Consigli di amministrazione, si tratta certamente di un caso raro. Questa sua scelta è stata il prezzo che ha pagato per restare intransigente, per criticare tutto quanto puzzava di interesse privato in cose pubbliche. Le quotidiane “istantanee” riproponevano l’esigenza di chiarezza e di pulizia negli affari pubblici e rappresentavano un monito costante sia per gli aderenti al Plr, sia per gli uomini politici in generale. Questa presenza, durata quasi 40 anni, ha plasmato la mentalità di gran parte degli aderenti al partito ribadendo costantemente l’importanza di una gestione corretta dei pubblici affari e ha, a mio giudizio, assicurato per lo stesso periodo un’adesione compatta al Plr in occasione dei diversi confronti elettorali; un indizio potrebbe essere dato anche dall’aumento della tiratura del ‘Dovere’ nel periodo 1950-1980.
Alcune generazioni di liberali, tra le quali la mia, sono cresciuti con questa visione della politica e hanno ancora oggi grosse difficoltà ad accettare che l’etica (parola che Verda non ha mai citato, ma che ha praticato con la sua azione) sia oggi diventata un optional; che l’uomo pubblico possa concedersi comportamenti illeciti o discutibili mantenendo le sue funzioni, con l’appoggio del partito; che questo necessario rigore sia comodamente liquidato come “moralismo”: questa è, a mio giudizio, una delle ragioni dell’attuale disaffezione e sfiducia della gente nei confronti della politica. Ma Verda non ha “mangiato” solo pane e politica: la sua verve letteraria faceva capolino non appena si presentava un’occasione. Verda viveva la politica e l’attività di giornalista come passione e come privilegio. Credo che avrebbe continuato a scrivere anche se fosse stato licenziato: il suo ufficio era colmo di giornali affastellati in un, oggi si direbbe con un ossimoro, “caos organizzato”, dove egli trovava con facilità i documenti che gli interessavano. Durante il giorno ti ascoltava ed esprimeva le sue considerazioni, sempre azzeccate: aveva una maschera di finto burbero, ma la sua onestà intellettuale non riusciva a nascondere i suoi sentimenti: capace di scherzare su cose molto serie, con un piacere goliardico, denotando spesso una giocosa venatura di spirito anarchico. Durante i 35 anni di attività quale Direttore del ‘Dovere’ e polemista, credo che i risultati politici elettorali del Plr siano da ascrivere in larga parte all’attività di Verda, quale moderatore del dinamismo di Olgiati: un binomio sicuramente di grande efficacia.
Fuori dai consueti omaggi di circostanza, credo infine di poter dire, con convinzione, che una società ha bisogno di uomini come Plinio Verda, uomini che invece di servirsi del Partito, lo servono senza pretese. A noi il dovere di esprimere la nostra riconoscenza.
Nacque dalle ceneri di un’altra testata, il giornale che avete tra le mani. Nel 1992, cessò di essere pubblicato ‘Il Dovere’, che, unitamente al trisettimanale ‘L’Eco di Locarno’, diede vita a un terzo quotidiano cosiddetto indipendente della Svizzera italiana. Si aggiungeva al ‘Corriere del Ticino’ e al ‘Giornale del Popolo’.
Si chiuse un’epoca, tre decenni fa, per la stampa ticinese. Nel breve volgere di un triennio, fra il 1990 e il 1993, smisero di apparire a cadenza quotidiana quattro giornali che avevano segnato la storia del Cantone. Li accomunava una caratteristica: erano sì mezzi di informazione, ma al contempo erano strumenti di propaganda riconducibili a schieramenti ideologici che potevano essere facilmente individuati. Tre di essi erano persino organi di stampa ufficiali di una forza politica. Fra questi ‘Il Dovere’, fondato nella seconda metà dell’Ottocento, in una stagione di lotte politiche, culturali e sociali, spesso ancora violente, che vedevano contrapposte in modo sempre più nitido due fazioni, quella conservatrice e quella liberale radicale. Di quest’ultima, il quotidiano inizialmente stampato a Locarno e poi, dalla fine del secolo, a Bellinzona, era la tribuna cartacea, dalla quale venivano ogni giorno lanciati gli appelli all’impegno politico e le esortazioni a contrastare l’avversario. Del resto, con una parola mazziniana, la testata stessa ricordava a ciascun lettore cosa occorresse compiere.
Un’arma apparve sempre più potente agli occhi dei vertici dei partiti a mano a mano che il Ticino, a cavallo fra i due secoli, provava a lasciarsi alle spalle la violenza partigiana: la polemica giornalistica. Fra i fogli di natura politica, e allora tutti lo erano ancora, quantomeno in una certa misura, avevano luogo vivaci scambi di opinioni di cui erano artefici direttori e redattori. Non che in precedenza non fosse stato così. Certo, la stampa politica già aveva contribuito a rivoluzioni e riforme, ma ora aveva il pregio di sostituire definitivamente la lotta armata e lo scontro fisico. Benché per esigenze propagandistiche se ne mutuasse talora il linguaggio, il confronto ora si giocava su un altro campo.
Nell’ambiente liberale radicale, spiccava viepiù ‘Il Dovere’, che nel 1934 divenne unico organo di stampa ufficiale del partito. Alla sua redazione contribuirono abili pubblicisti, spesso, come per gli altri giornali, di formazione giuristi o docenti. Ne furono un esempio, alla testa del quotidiano stampato nella capitale, Emilio Bossi o Giuseppe Buffi, rispettivamente all’inizio e durante la seconda metà del Novecento. Nella parte centrale del secolo, invece, spicca la presenza di Plinio Verda, personalità emblematica della figura del polemista. Come usava allora, chi occupava ruoli di rilievo nell’apparato di un partito era sovente prolifico sul relativo organo di stampa, in alcuni casi nelle vesti di direttore, come nel caso di Plinio Verda. Lettori ed elettori apprendevano da quelle pagine i dibattiti in corso, stimolati da quegli accesi confronti, talvolta irritati dalle accuse e dai motteggi dei rivali, in altre occasioni sicuramente galvanizzati e persino divertiti dai toni utilizzati dai propri esponenti. Resta che questo fenomeno rinfocolava le passioni e destava un significativo interesse in seno all’opinione pubblica, indipendentemente dalla fede ideologica. In quella che Francesco Chiesa argutamente definì la “Repubblica dell’iperbole”, è verosimile che membri e sostenitori fossero avidi di conoscere di giorno in giorno la posizione del proprio partito, o che semplicemente amassero leggerla ribadita con lo stile e il fervore delle firme più frequenti e più lette. In questo contesto, si inserisce la rubrica “Istantanee” firmata proprio da Plinio Verda, che animò e commentò per decenni la vita pubblica del Cantone. Un’attività giornalistica, la sua, ispirata da un intenso impegno politico, oltre che nel partito, in seno alle istituzioni, in qualità di consigliere comunale, municipale e poi deputato in Gran Consiglio per quarant’anni.
Ancora oggi, i più anziani ricordano probabilmente le parole con cui si apostrofavano di volta in volta il direttore de ‘Il Dovere’ e i suoi omologhi di parte conservatrice e clericale, alla testa del ‘Popolo e Libertà’ e del ‘Giornale del Popolo’. Chi le dovesse confrontare al linguaggio un po’ patinato della Svizzera italiana odierna – che pure ha conservato due soli quotidiani, ma che è senz’altro ancor più mediatizzata – ne potrebbe trarre l’impressione di un confronto paradossalmente meno aggressivo, di un gioco del quale si cerca normalmente di osservare le regole, talora serbando il dovuto rispetto per l’avversario.
Il Club Plinio Verda, attualmente presieduto da Diego Erba, è un’associazione che si propone di “tenere vivo, difendere e promuovere lo spirito critico e laico della cultura illuminista”. Istituita nel 2007, l’associazione organizza da anni dei cicli di conferenze, aperte a tutti gli interessati, su temi storici e d’attualità, come quello in corso dal titolo “Clima, vita, società”, ospitando relatori illustri. Il Club ha inoltre pubblicato con l’editore Salvioni alcune raccolte di saggi: ‘Primavera laica. Radici intellettuali delle libertà dei moderni’ (2010); ‘Giuseppe Rensi. Politica e filosofia tra Svizzera e Italia’ (2013); ‘La stampa d’opinione in Ticino (anni 50-80). Dall’apogeo al declino’ (2018).
Per ulteriori informazioni si rinvia al sito internet www.plinioverda.ch.