È imminente il lancio della gigantesca nave spaziale che Elon Musk ha progettato per aprire la strada alla colonizzazione di Marte (e non solo)
È alto 120 metri ed è dotato di 33 motori
E si tratta di un progetto multimiliardario
Si dovrà attendere ancora un po’ per vedere la gigantesca nave spaziale Starship decollare. Il lancio, previsto ieri, è infatti stato rinviato. Un secondo tentativo alla Starbase di Space X, in Texas, è imminente. Il decollo porterà in orbita il razzo, impilato sul Super Heavy Booster il primo stadio che darà la spinta iniziale per 2 minuti fino a un’altezza di 65 chilometri. In totale si parla di un razzoastronave di 120 metri d’altezza con potenza doppia per rapporto a Saturno 5 che, se questo secondo tentativo andrà bene, effettuerà un’orbita attorno alla Terra. Ma è stato progettato per raggiungere Marte e anche oltre. Sarà comunque solo una prima prova parziale, i due elementi non saranno infatti recuperati e finiranno in mare. L’astronave Starship Spaceraft – alta 50 metri e larga 9, dotata di 6 motori – può trasportare 100 persone o un carico utile di 100-150 tonnellate ed è riutilizzabile come un normale aereo con la differenza che atterra verticalmente. Lo stadio di spinta Super Heavy Booster – 69 metri di altezza e 9 di diametro, dotato di 33 motori – rientra atterrando verticalmente ed è pure riutilizzabile. Un vettore nave spaziale extralarge che Musk ha costruito per colonizzare Marte, il pianeta di riserva sul quale ritiene dobbiamo contare quando presto o tardi il nostro, colpito da un asteroide, non sarà più vivibile. Questa la tesi di Musk alla base del suo multimiliardario progetto. Un salto quantico nella storia dell’accesso allo spazio.
Dopo le grandi innovazioni degli ingegneri Korolev e Von Braun, che realizzarono i primi vettori capaci di raggiungere la velocità orbitale a fine anni 50 del secolo scorso, non ci sono stati sviluppi particolari nei mezzi per portare in orbita un satellite o una sonda interplanetaria (a parte lo Space Shuttle Nasa con la copia made in Urss Buran, nel frattempo abbandonati). Siamo quindi rimasti ai vettori usa e getta del primo dopoguerra che hanno permesso l’accesso allo spazio nel 1958 con lo Sputnik e 10 anni dopo all’uomo di camminare sulla Luna. Che sia un imprenditore privato a innovare in modo rivoluzionario le scienze dei razzi dall’inglese Rocket Science, un campo tecnologico altamente complesso e costoso, affrontabile solo da enti statali, non si spiega solo per quello che potrebbe essere il luogo comune della poca intraprendenza dell’ente pubblico al rischio per rapporto al privato, in questo caso particolarmente intraprendente e nel buon senso del termine pazzo.
La continuità delle agenzie spaziali nazionali nel sviluppare sempre nuovi vettori insistendo sul concetto usa e getta è probabilmente retaggio dell’iniziale motivazione per la realizzazione di quelli che oggi definiamo lanciatori ma che, inizialmente, venivano chiamati missili e rappresentavano un nuovo sistema bellico. Missili non fatti per frenare ma per viaggiare più velocemente e lontano possibile. Missili usati per la prima volta nella Seconda guerra mondiale con i V2 tedeschi che dalla Germania colpivano Londra, poi evoluti in missili balistici intercontinentali con testata nucleare nel primo dopo guerra. Werner Von Braun, giovane appassionato di voli e tecnologia spaziale, ha avuto la grande opportunità di sviluppare i primi razzi dell’esercito tedesco. Iniziò a progettare nuove armi missilistiche poiché la Germania, come indicato dal trattato di capitolazione di Versailles, doveva ridimensionare l’esercito con limiti e divieti in varie tipologie di armi. Il trattato di Versailles non contemplava però il divieto di missili. Come mai? Semplice: nel 1920 non esistevano.
Discorso analogo per Sergei Korolev, che sognava viaggi interplanetari ma che per poter realizzare i suoi lanciatori fu costretto a fare carriera (anche dopo aver passato qualche anno deportato in Siberia) come ingegnere capo del programma spaziale sovietico. Inizialmente si occupò di sviluppare missili balistici intercontinentali per l’Armata Rossa, missili il cui carico utile era una bomba atomica, in particolare la bomba a idrogeno progettata da Sacharov che pesava diverse tonnellate e che richiedeva un missile particolarmente potente. Korolev riuscì poi a convincere Kruschev che inviare un satellite artificiale e poi un uomo nello spazio poteva contribuire a dare all’Urss l’immagine di Paese all’avanguardia tecnologica.
Ora, 65 anni dopo che Korolev e Von Braun riuscirono a raggiungere lo spazio con razzi basati su sviluppi militari, è un imprenditore privato (che ha ben altri obiettivi) a rivoluzionare le tecnologie dei lanciatori. Rivoluzione iniziata da Musk nel 2015 con il Falcon 9, il primo vettore con il primo stadio recuperabile, poi con la capsula spaziale cargo Dragon per il trasporto di materiale da e per la Stazione Spaziale Internazionale e in seguito con Crew Dragon per il trasporto di astronauti. Tutto riutilizzabile, il che vuol dire: forte riduzione dei costi, forte sviluppo delle attività spaziali e meno rottami in fondo ai mari. Un conto è lanciare un missile intercontinentale o di crociera con una testata nucleare, nessun militare esigerebbe di recuperare il razzo, un altro è accedere allo spazio per inviare satelliti di telecomunicazioni o appunto astronauti. Il costo del lanciatore – del primo stadio in particolare – è molto elevato e poterlo utilizzare più di una volta è un’esigenza che Musk ha voluto e risolto sfruttando le nuove tecnologie in modi anche disinvolti, mettendo in conto spettacolari e costosi fallimenti iniziali. Oltre alle dimensioni extralarge di Starship e del Super Heavy (come detto assieme fanno 120 metri di altezza e sono ambedue riutilizzabili) il primo stadio Super Heavy è dotato di ben 33 potentissimi motori Raptor, con una parte orientabili per poter sia indirizzare il vettore durante l’ascesa sia controllare il rientro e la frenata per l’atterraggio.
A titolo di confronto solo il mega vettore sovietico N1, progetto avviato nel 1964 da Korolev (che però morì nel 1966), aveva 30 motori. Quasi altrettanti di Super Heavy Booster. N1 che doveva far da pari a Saturno 5 nella sfida Usa-Urss per la Luna. Fu probabilmente proprio la complessità nel gestire questo grande numero di motori (Saturno 5 ne aveva solo cinque) e la potenza totale che sprigionavano all’origine dell’insuccesso del N1, che dopo quattro lanci falliti fu abbandonato e con esso la corsa alla Luna dell’Urss.
Intanto che Musk corre, innova e si allarga, in Europa dopo i fasti di Ariane 4 e Ariane 5 (quando i vettori europei avevano più del 50% del mercato mondiale) siamo fuori dai giochi. Il progetto Shuttle con il quale gli Usa pensavano di avere realizzato un vettore riutilizzabile, che ogni 15 giorni poteva ripartire per un nuovo trasporto, si è rivelato subito troppo costoso per rapporto ai convenzionali vettori “usa e getta”. Quando poi nel 1986 la navetta Challenger esplose, uccidendo i 7 membri dell’equipaggio la Nasa, si chiuse il capitolo vettore riutilizzabile. Arianespace subentrò e conquistò una bella fetta di mercato mondiale visto che i lanciatori convenzionali statunitensi erano superati e inaffidabili. Ariane 4 funzionava invece benissimo: 113 successi su 115 lanci. Nel 1996 arrivò quindi Ariane 5 che, dopo il primo spettacolare fallimento per un banale errore di conversione dati dell’accelerometro nel programma del microcalcolatore, divenne un vettore affidabile e preciso anche se troppo potente per l’evoluzione dei satelliti che in quegli anni iniziava a diminuire in peso. Ariane 5 dal 1996 ha effettuato 115 lanci, ma dai 6-7 per anno tra il 2005 e il 2018 è scesa a 3 lanci annui. Il Falcon 9 di Space X invece dal 2015 ne ha totalizzati 220, di cui 60 nel 2022 e già 23 quest’anno, riutilizzando fino a 15 volte i medesimi primi stadi. Un vantaggio abissale in termini di costi e utili per Musk. Purtroppo il futuro per i lanciatori europei non è molto incoraggiante: dopo la collaborazione con la Russia (ora interrotta per la guerra in Ucraina) integrando dal 2011 il vettore russo Soyuz versione Esa nella flotta Arianespace per i lanci di massa media, Esa ha sviluppato (è operativo dal 2012) il vettore Vega. Si tratta di un apparecchio più piccolo: a 4 stadi con motori a propellente solido nettamente più semplice e meno costoso dei motori a ossigeno, idrogeno o metano liquido di Falcon 9 o di Ariane 5. La nuova versione Vega C, dopo un primo lancio effettuato con successo lo scorso mese di luglio, ha fallito il secondo a dicembre generando forti interrogativi sulle capacità europee nel settore. Esa ha inoltre in corso lo sviluppo del successore di Ariane 5 – l’Ariane 6 – un progetto che purtroppo è nato vecchio, non riutilizzabile e comunque in ritardo se pensiamo che lo sviluppo è stato avviato quando a Musk era riuscito il primo recupero di un lanciatore Falcon 9. Ora anche Esa lavora al riutilizzabile, ma intanto andrà avanti per almeno un decennio con “l’usa e getta”.
Le geniali innovazioni di Musk non solo gli hanno procurato un forte vantaggio competitivo sul mercato mondiale e americano – intaccando anche il monopolio della United Launch Alliance (joint venture di Lockheed Martin e Boeing) con i vettori Delta Heavy IV e Atlas V per i lanci istituzionali della Nasa o del Dipartimento della difesa – ma ha permesso a Musk di sviluppare il nuovo settore delle telecomunicazioni spaziali e la rete internet globale Spacelink con una costellazione di satelliti che ormai ha superato le 2’000 unità. Messi in orbita, tra l’altro, a costi bassissimi: un singolo Falcon 9 riutilizzato quindici volte può arrivare a mettere in orbita oltre 900 satelliti. Spacelink che si sta rapidamente diffondendo nel mondo portando internet a banda larga anche nelle regioni periferiche con velocità superiori alla rete fissa di molti Paesi. A fine 2022 Musk aveva raggiunto il milione di utenti, tra questi: un pacchetto di terminali offerti all’esercito ucraino, strumento fondamentale per la comunicazione delle truppe al fronte. Starship è una scala più grande di Falcon 9, considerato che Musk ha presentato il progetto pochi anni fa nel 2016 possiamo dire che a confronto di tutti gli altri progetti di nuovi vettori degli ultimi decenni e della complessità di Starship sta avanzando “come un razzo”. Vedremo se funzionerà e se diventerà operativo perché in programma c’è un contratto con la Nasa per la prima missione sulla Luna nel 2025. A parte questa prima missione lunare, vedremo anche quali altri effetti collaterali produrrà Starship in termini di nuovi prodotti o servizi. Questo dando per scontato, come detto, che il sistema funzioni anche operativamente. Siamo in un’altra scala ed è difficile immaginare che cosa se ne potrà fare, a parte l’ipotesi di andare su Marte. In ogni caso qualche idea arriverà: magari liberare l’orbita terrestre dai rottami che mettono a rischio i sempre più numerosi satelliti che usiamo per l’osservazione della Terra e del clima o per la navigazione e per le comunicazioni.