Codificati diritto di essere sentito e accesso agli atti, monitoraggio periodico dell’attività dei magistrati... Sì del Gran Consiglio al rapporto Pagani
Si volta pagina (così si spera). Il Gran Consiglio ha oggi approvato all’unanimità le proposte, anche di natura normativa, formulate dalla propria commissione ‘Giustizia e diritti’, attraverso il rapporto di Luca Pagani del Centro, per evitare il ripetersi di quanto accaduto tre anni fa nell’ambito del rinnovo delle cariche in seno al Ministero pubblico, allorché il Consiglio della magistratura (Cdm) dell’epoca preavvisò negativamente la rielezione di cinque procuratori con valutazioni insolitamente dure, nei toni e nei contenuti. Il Cdm venne però smentito dapprima dalla maggioranza della ‘Giustizia e diritti’ e poi da quella del plenum del parlamento, che nel dicembre del 2020 rielesse tutti i pp, compresi i cinque, che si erano ricandidati a un ulteriore mandato decennale. Ma venne sconfessato anche dal Tribunale d’appello con una sentenza, emessa nel novembre 2021 e innescata da un’istanza di ricusazione, piuttosto severa. A conferma della procedura lacunosa (violato fra l’altro il diritto di essere sentito) seguita nell’occasione dal Consiglio della magistratura.
Il rapporto di Pagani deriva dal mandato attribuito alla commissione ‘Giustizia e diritti’ dal Gran Consiglio (senza il sostegno del Plr) il 14 dicembre del 2020, contestualmente alla rielezione dei procuratori, allo scopo di migliorare la procedura di designazione dei magistrati, in particolare di coloro che alla scadenza del periodo di nomina si ricandidano alla medesima funzione, con relativo preavviso sulla loro idoneità a ricoprire la carica espresso dal Consiglio della magistratura all’indirizzo dell’autorità di nomina di pp e giudici, cioè il Gran Consiglio. È stato lo stesso Pagani a ricordare i rimedi individuati: il Cdm si doterà di un regolamento che dovrà contemplare, quale «contenuto minimo» e «imprescindibile», una norma che riconosca ai magistrati che si ricandidano il diritto di essere sentito e l’accesso «a tutti gli atti che li concernono»; verrà introdotta la possibilità di ricusare il Cdm anche quando agisce come autorità di preavviso delle (ri)candidature e fra i motivi di ricusa anche l’appartenenza di un componente del Consiglio «alla medesima sezione o Camera di cui fa parte il magistrato che postula la rielezione»; da parte del Cdm e dei vertici delle singole autorità giudiziarie dovrà esserci un monitoraggio costante, perlomeno periodico, così da non attendere il rinnovo delle cariche per accorgersi che un magistrato non è in grado di assolvere il proprio compito. Ma il rapporto redatto da Pagani si occupa anche del Ministero pubblico. Per la ‘Giustizia e diritti’ occorre "mantenere alta l’attenzione" su alcuni aspetti, come "il rafforzamento" del controllo interno "per un carico di lavoro quanto più omogeneo e celermente evaso".
Con il rapporto commissionale e le relative proposte, ha osservato il socialista Nicola Corti, «si ricuce lo strappo istituzionale» consumatosi nel 2020 tra il potere giudiziario e quello legislativo. Stavolta anche i membri liberali radicali della ‘Giustizia e diritti’ hanno sottoscritto il documento della commissione. Ma quella del gruppo parlamentare, di cui si è fatto portavoce Matteo Quadranti, è un’adesione critica al rapporto. «Ci sono voluti due anni e due perizie (assegnate dalla commissione al già presidente del Tribunale federale Claude Rouiller, ndr), costate complessivamente 45mila franchi, per dire che bisogna migliorare la valutazione dei pp in carica... cosa invero già nota – ha sostenuto il deputato del Plr –. Ci saremmo quindi aspettati delle proposte concrete sul piano normativo e su quello operativo». Quadranti ha inoltre parlato di rapporto «incompleto», alludendo al mancato seguito di alcuni suggerimenti avanzati dal procuratore generale Andrea Pagani, fra cui, ha rammentato il parlamentare, quello di dotare il Ministero pubblico della figura del procuratore supplente, che richiama quella del giudice supplente del Tribunale d’appello. Dal rapporto, ha tenuto a puntualizzare Sabrina Aldi (Lega), difendendo il lavoro della ‘Giustizia e diritti’ «sono uscite proposte puntuali: d’accordo, non stravolgono il sistema. Ma permettono di migliorarlo».
La democentrista Roberta Soldati si è soffermata sulle «sfide che ci attendono» e una è quella di «uscire dalle dinamiche del manuale Cencelli, che vedono oggi rappresentati a Palazzo di giustizia soltanto magistrati appartenenti alle aree dei partiti di governo. Per contro tutte le aree di pensiero devono essere rappresentate. E l’accesso alle cariche in magistratura deve essere garantito anche a persone che, pur essendo idonee a svolgere la funzione di procuratore o giudice, non si riconoscono in alcun partito».