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L’agente che parlò alla piazza. A difesa del servizio pubblico

Intervista al capitano della Polizia cantonale Giovanni Capoferri, che a fine dicembre andrà in pensione. ‘Cosa mi preoccupa di più? Il disagio giovanile’

Ufficiale della Gendarmeria, da 43 anni in divisa
(Ti-Press)
22 dicembre 2022
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«Sarà magari insolito vedere un agente di polizia che sale sul palco degli oratori non per togliere il microfono a qualche esagitato ma per parlare alla piazza in una manifestazione sindacale, tuttavia anch’io sono un funzionario del Cantone, che ha a cuore il servizio pubblico. E lo difendo. Purtroppo i dipendenti pubblici sono in questi anni bersaglio di critiche gratuite e pesanti mosse da una parte della politica. Non rubiamo lo stipendio. Sia chiaro, nel pubblico come nel privato c’è anche chi si comporta in maniera scorretta e per questo va punito. Nell’Amministrazione si possono migliorare i processi produttivi, le modalità di lavoro, ragionando su proposte che siano però frutto di un dialogo costruttivo fra le parti». A proposito di quelle parole pronunciate mercoledì 28 settembre a Bellinzona alla protesta indetta dall’associazione ErreDiPi contro il prospettato taglio delle pensioni agli statali, ("Bisogna smettere di denigrare i funzionari e il servizio pubblico", un servizio che è anche "a difesa delle fasce più fragili della popolazione"), lui, Giovanni Capoferri, capitano della Polizia cantonale, non ha dubbi: «Le ripeterei senza esitazione alcuna». E a proposito di previdenza, Capoferri ha optato per il prepensionamento. Lascerà a breve, a fine dicembre. A 63 anni. Di cui quarantatré in divisa. Sindacalmente affiliato all’Ocst, dice: «Penso non a me, che andrò in pensione col vecchio sistema assicurativo. Penso ai dipendenti pubblici più giovani assicurati all’Ipct, la cassa pensione degli statali, che in pensione andranno con il primato dei contributi e che rischiano di vedere ridotte le rendite di un ulteriore venti per cento se non vi saranno adeguate misure di compensazione all’annunciato abbassamento del tasso di conversione».

Per più di quarant’anni nella Cantonale: «Ho cominciato la Scuola di polizia il 4 novembre 1979 e ho iniziato come gendarme il 1º luglio del 1980». Col tempo è diventato ufficiale responsabile del Reparto mobile del Sottoceneri, in seguito del Reparto Luganese della Gendarmeria, sempre con sede a Noranco, e capitano. Da un paio d’anni è sostituto del capo della Gendarmeria. Un passato (anni Novanta) che lo ha visto anche in politica, quella attiva, come consigliere comunale del Ppd a Mendrisio per due legislature. E un oggi che lo vede anche presidente (dal 2021) del Rabadan, il carnevale di Bellinzona. Residente a Novazzano. Sposato con Annalisa. Tre figli: Samantha, architetto a Lugano; Gioele, medico a Basilea; Alessia, poliziotta. Assegnata pure lei al Reparto Luganese della Gendarmeria. «Quando entra qui – assicura il padre indicando la porta del posto di polizia di Noranco – per me è come un altro agente. Oltretutto, considerata la linea di comando, lei operativamente dipende dal capogruppo, dal capoposto e dal sostituto di quest’ultimo. Ci sono settimane che Alessia la vedo solo a casa».

Capitano Capoferri, in occasione delle recenti rispettive assemblee, la sezione della Federazione svizzera funzionari di polizia e l’Ocst - Funzionari di polizia hanno lamentato la mancanza di un numero adeguato di agenti proprio nella Gendarmeria…

È così ed è oggettivamente un problema.

In che senso?

All’interno della Polizia cantonale sono stati istituiti, opportunamente, dei servizi ad hoc, come ad esempio quello sulla violenza domestica, per rendere ancor più efficace l’azione, sia sul fronte della repressione sia su quello della prevenzione, contro nuove forme di criminalità. Ebbene, gli agenti che compongono questi servizi arrivano prevalentemente dalla Gendarmeria. Per il Luganese, per esempio, avevamo negli anni Ottanta gruppi di dodici gendarmi, ora si è scesi a nove. Parliamo di gruppi che devono, a rotazione, coprire le ventiquattro ore. Sul terreno soprattutto, ma anche in ufficio per verbali e rapporti. Certo, riusciamo a garantire il servizio, ma ci sono momenti in cui siamo per così dire tirati e questo rischia di incidere sulla qualità del lavoro. Gli agenti si sentono sotto pressione. Le polizie comunali intervengono per la constatazione di un incidente? Se è con ferimento, la competenza passa a noi. I colleghi delle comunali fermano una persona? La competenza passa noi.

A proposito di polizie comunali, di recente è tornato sotto i riflettori della politica ticinese il dossier polizia unica. In seno alla commissione parlamentare ‘Giustizia e diritti’ c’è già un rapporto, stilato dal liberale radicale Giorgio Galusero, favorevole all’iniziativa del socialista Raoul Ghisletta e dunque all’introduzione in Ticino di un solo corpo di polizia, una Polizia cantonale. Non è però da escludere l’arrivo di un secondo rapporto, questo contrario. Lei come la vede?

Sono per la polizia unica. Ci sarebbe un miglior coordinamento e di riflesso una maggiore efficacia della risposta delle forze dell’ordine. Adesso abbiamo due polizie, la Cantonale e le polcomunali, con la Gendarmeria che ha sempre meno effettivi. Ha senso avere oggi due polizie in Ticino? Io non credo. C’è attualmente una dispersione di mezzi e di risorse umane che non si giustifica. Da tempo, peraltro, la formazione degli aspiranti gendarmi della Cantonale e degli aspiranti agenti delle polizie comunali avviene sotto lo stesso tetto. Senza poi dimenticare gli sviluppi del processo delle aggregazioni comunali: quante delle polizie locali cosiddette strutturate resteranno? E poi al cittadino poco importa chi arriva per primo, la Polizia cantonale oppure la Comunale, sul luogo di un incidente della circolazione o del reato. Quando il cittadino ha bisogno chiama la polizia. Punto.

C’è però il discorso della sicurezza di prossimità.

Non mi si venga a dire che una sola polizia, ben organizzata, non riesce a occuparsi anche della sicurezza di prossimità, ascoltando i cittadini, offrendo loro consulenza. Nei Cantoni dove c’è un unico corpo di polizia l’attività di prossimità è stata mantenuta. Aggiungo che i Comuni potrebbero impiegare gli ausiliari di polizia, personale non armato, per il controllo del traffico fermo, quindi posteggi, e per altre mansioni. Semmai occorre dire un’altra cosa.

Quale?

Se, come spero, il Gran Consiglio approverà il rapporto di Galusero e quindi l’iniziativa parlamentare della quale è primo firmatario Ghisletta, bisognerà, dopo questo sì di principio alla polizia unica, studiare attentamente il progetto, dedicandovi tutto il tempo necessario per evitare improvvisazioni. Il dossier è veramente importante e non basterà mettere assieme Polizia cantonale e polizie comunali. Andrà tutto verificato e pianificato nei dettagli. Costi, aspetti operativi eccetera. La fase più impegnativa per governo, parlamento, comuni e tecnici sarà proprio questa. Non mi faccio comunque soverchie illusioni sui tempi: visto che si è in campagna elettorale per le ‘cantonali’ del prossimo aprile e data la delicatezza del tema, molto difficilmente il Gran Consiglio si esprimerà sull’iniziativa Ghisletta ancora entro questa legislatura. Verosimilmente il dossier slitterà al prossimo quadriennio. A quel punto quale deputato sosterrà il rapporto redatto da Galusero, visto che non si ricandiderà?

Torniamo al presente: quali sono i fenomeni che come ufficiale di polizia la preoccupano maggiormente?

Anzitutto il disagio e la violenza giovanili. La premessa è scontata: ci riferiamo a una minoranza dei nostri giovani. Ma è una minoranza della quale dobbiamo occuparci: non va emarginata. Va ascoltata e seguita. Per evitare che questi adolescenti finiscano in un tunnel senza uscita o si trasformino in delinquenti incalliti. Insomma, la repressione non basta. Detta altrimenti, non basta la sola polizia. È assolutamente indispensabile l’intervento di più attori. Non è normale che ogni venerdì sera e ogni sabato sera vengano portati in Pronto soccorso diversi ragazzi ubriachi.

Quanto alla violenza domestica?

Come preannunciato nei giorni scorsi in Gran Consiglio dal direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi, la Polizia cantonale sta rivedendo la propria organizzazione per migliorare ulteriormente l’attività in questo settore. In ogni caso le campagne di sensibilizzazione stanno dando i loro frutti: sono sempre di più le donne che trovano il coraggio di denunciare. Perché sanno di essere ascoltate, seguite e anche protette dalla polizia. Come si usa dire, il velo di omertà si sta squarciando. E questo fa ben sperare.

Quarantatré anni in Polizia cantonale…

I ricordi sono tanti. E ovviamente non tutti piacevoli. Ogni tanto ripenso a una strage familiare accaduta una ventina di anni fa nel Sottoceneri. Protagonista un marito, un papà. Prima di togliersi la vita, uccise a colpi di pistola la moglie e i due figli. Mi recai sul posto dopo essere stato avvertito dalla pattuglia di quanto successo. Vedo ancora il corpo senza vita di uno dei due figli: era scappato in cucina, ma il padre lo aveva raggiunto e ucciso. Quel povero ragazzo aveva l’età di mio figlio. Erano nati nel 1990...

Fra pochi giorni sarà in pensione. Con la politica attiva ha chiuso già negli anni Novanta?

Il Centro/Ppd mi ha chiesto se ero disposto a candidarmi nella lista per il Gran Consiglio. Ho accettato. Credo di poter dare il mio contributo alla politica cantonale. Se eletto, continuerò a battermi anche per la difesa del servizio pubblico. Intanto domani sera (stasera, ndr) sarò a Pregassona al Comitato cantonale. Vedremo.