In aula sei imputati accusati di aver importato e venduto in Ticino 10 chili di ‘roba’ nell’arco di quasi un anno. Fatti ammessi solo in parte.
Un importante traffico di cocaina - oltre dieci chili - dall’Italia al Ticino, dove veniva poi spacciata. Un’attività quella scoperta dagli inquirenti all’interno dell’inchiesta ‘Swiss’ che ha portato oggi davanti alla corte delle Assise criminali di Lugano sei imputati - quattro uomini e due donne - con l’accusa d’infrazione aggravata alla Legge federale sugli stupefacenti e riciclaggio di denaro. Sostanzioso l’importo complessivo passato dalle mani del gruppo: oltre 111mila franchi, come si può leggere nell’atto d’accusa firmato dalla procuratrice pubblica Margherita Lanzillo. Somma raccolta tra marzo e dicembre del 2021, periodo durante il quale il gruppo ha agito a cavallo del confine grazie a una collaudata organizzazione, gestita da un 28enne cittadino albanese - il capo della banda - con l’aiuto della compagna. Questa la ricostruzione degli inquirenti: la sostanza veniva acquistata in Italia e portata oltre confine da una 53enne italiana impiegata come frontaliera in Ticino - la corriera - fino all’abitazione della compagna del capo, dove poi veniva in parte stoccata e distribuita a chi si occupava della vendita diretta in tutto il cantone.
Attività ammessa dagli imputati, che contestano però il quantitativo indicato dagli inquirenti e il "raggio" di vendita. «La nostra attività si limitava a Lugano. Non abbiamo mai portato cocaina a Locarno o custodito la sostanza prima che venisse portata su. Sarebbe andato contro i nostri interessi» ha affermato la coppia, imputando quindi alla 53enne frontaliera la responsabilità dei viaggi nel Sopraceneri. «Non ho mai fatto nulla senza avvisare loro due. Ho cominciato per aiutarli perché volevo loro bene. Io mi sono limitata a fare i trasporti come mi veniva chiesto via telefono» ha risposto la donna, ritrattando però le dichiarazioni fatte a più riprese durante gli interrogatori, quando aveva ammesso che parte della sostanza custodita nell’appartamento del Luganese veniva portata in un secondo momento a Locarno e Ascona per essere venduta. Contraddizioni evidenziate in aula dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti, presidente della Corte (giudici a latere Aurelio Facchi e Giovanna Canepa Meuli). Fumosa la versione della corriera anche per quanto riguarda i quantitativi: «Non ero informata su quanta ‘roba’ avessi tra le mani. Pensavo etti o chili, ma ora che sono in carcere e cucino dolci con la farina mi sono accorta che probabilmente era meno».
«Avevo molti debiti ed ero senza lavoro. Quella dello spaccio mi era sembrata la strada giusta per risolvere i miei problemi. Ora tutti mi danno le colpe, ma in realtà ho fatto molto meno di quello che mi si contesta» ha spiegato il 28enne capo della banda. «Non avevo soldi e per questo potevo vedere poco mia figlia, avuta da una precedente relazione», si è invece giustificata la compagna, che ha ammesso una forte dipendenza dalla sostanza in passato. «Ora però ne sono uscita, grazie anche al mio compagno. Lui non voleva che la toccassi, ma solo che ci facessimo gli affari. Mi sembra comunque esagerato parlare di ‘banda’, eravamo più un ‘gruppo d’acquisto’». Più chiara la posizione degli altri tre imputati, che venivano reclutati dal 28enne per vendere la cocaina sul territorio. «Il prezzo variava dagli 80 ai 100 franchi al grammo, a dipendenza di quanta ne veniva acquistata. Maggiore era il quantitativo e minore il prezzo», hanno affermato. Il processo, che durerà più giorni, proseguirà domani. La parola passerà prima all’accusa per la requisitoria e la richiesta di pena. Successivamente si esprimeranno i sei avvocati difensori. Il giudizio, come sempre, alla Corte.